Intervista al montatore Jacopo Quadri: “Un augurio al cinema? Di sopravvivere”
Il montatore Jacopo Quadri, più volte premiato per la sua opera nel cinema italiano, ci racconta del suo lavoro al montaggio e della sua visione del cinema in un momento così delicato per la Settima Arte - una visione tutto sommato fiduciosa.
Dalla fine degli anni ’80 Jacopo Quadri si è affermato come uno dei maggiori montatori del cinema italiano. Lavorando a fianco di grandi registi come Bernardo Bertolucci, Paolo Virzì, Gianfranco Rosi e Mario Martone ha montato titoli indimenticabili tra cui Ovosodo (1997), The Dreamers (2003), Fuocoammare (2016) e Capri-Revolution (2018).
Nel 1998 Jacopo Quadri ha ricevuto il David di Donatello al Miglior Montatore per il film Teatro di Guerra diretto dal regista Mario Martone, con cui ha sempre lavorato e tuttora continua a collaborare. Dopo il Ciak d’oro nel 2016 al Miglior Montaggio per il lavoro sul documentario che narrava il dramma dei migranti e degli sbarchi di Lampedusa, Fuocoammare, l’anno dopo ha diretto e curato il montaggio di un altro documentario: il suo Lorello e Brunello, che racconta il lavoro contadino nella Maremma toscana e che gli è valso la Menzione Speciale Nastro D’Argento Doc.
Quest’anno è stato candidato al Miglior Montaggio nell’edizione 2020 dei Nastri d’Argento con il film Il sindaco del Rione Sanità di Mario Martone.
Presente tra i membri della giuria al festival palermitano dedicato al genere documentaristico – il Sole Luna Doc Festival 2020 – Jacopo Quadri ci ha raccontato del suo lavoro e della sua visione futura del cinema in un momento così delicato per la Settima Arte.
Jacopo Quadri: la nostra intervista al montatore durante il Sole Luna Doc Festival
Di recente è stato presente al Sole Luna Doc Festival di Palermo in qualità di membro della giuria. Lei è vicino al genere del documentario per i lavori con Rosi, ma anche e soprattutto per il suo Lorello e Brunello. Cos’ha di diverso e di affascinante l’universo del documentario da quello del racconto di finzione e come cambia l’approccio del montaggio al genere?
“Più che tra documentari e film di finzione, secondo me la differenza è tra film che non hanno sceneggiatura – i documentari – e film che invece ce l’hanno. Sostanzialmente, al montaggio sei avvantaggiato quando c’è una sceneggiatura perché hai già una guida e hai già un riferimento molto preciso di dove comincia il film, di dove finisce e anche di come sono distribuite e costruite le scene al loro interno perché la sceneggiatura è una mappa – a volte molto precisa – che nel documentario non c’è. Nei documentari ci si ritrova a scrivere la narrazione del film e lo si fa al montaggio, con il regista. Nel caso di Lorello e Brunello io ero regista e anche montatore quindi ero da solo, con un materiale eterogeno si cerca di dare una storia che abbia un capo e una coda e una serie di emozioni compiute. Quindi sì, montare documentari è più difficile che montare i film con una sceneggiatura.”
Lei ha stretto un sodalizio artistico con Mario Martone, però spesso il rapporto tra regista e montatore può essere conflittuale. Ci sono state volte in cui lo sguardo diverso del montaggio ha creato divergenze?
“Con Martone no, anche se abbiamo fatto tanti film e continuiamo a lavorare – la settimana prossima sarò di nuovo con Martone che sta girando un film che si chiama Qui rido io – ma con lui devo dire che non è successo. Con altri sì però, ma più che sul progetto sono divergenze sul modo di vedere le cose. Di solito il montatore si adatta al progetto, però a volte non ci si trova anche caratterialmente o non ci si sopporta e quindi stare molto tempo insieme non sempre fa bene.”
Ma c’è qualche caratteristica che un montatore deve avere per essere in grado di sostenere questo ruolo di confronto?
“Si, deve avere molta pazienza, punto. Deve poter incassare, riuscire a non rispondere tante volte. Si tratta di una questione di pazienza e di concentrazione anche, certo se ti fai vedere distratto perdi subito la fiducia però è anche la stessa cosa con un regista, anche un regista non dovrebbe essere distratto però per quanto riguarda il montatore soprattutto deve avere pazienza e attendere il momento giusto per esprimersi e molto spesso stare in silenzio, con un atteggiamento zen.”
Perché ha deciso di dedicarsi al montaggio, l’affascina questa capacità di poter anche ribaltare una visione originale di una storia o cos’altro?
“Il montaggio rispetto a tutti gli altri luoghi del cinema – quindi rispetto al set – è un posto calmo, dove si può riflettere e si ha tempo (ecco perché la storia della pazienza). Se una cosa non la risolvi oggi, la puoi risolvere domani. È un luogo dove tieni le cose in ordine e forse insomma alla fine ha rispecchiato una parte del mio carattere più calma e più riflessiva e forse anche un certo bisogno di mettere le cose in ordine. Io in realtà volevo fare altro all’inizio, volevo fare cinema in generale ma poi mi sono trovato a fare montaggio e mi son trovato bene. Nel momento in cui ho montato il mio primo saggio a scuola ho capito che questo luogo buio – perché poi prima si lavorava in moviola, con la pellicola, quindi c’era anche un buio e c’era una riflessione anche nella scenografia – e questa cosa del concentrarsi e di cercare di risolvere e mettere a posto a volte si ribalta, ma quella è una cosa ulteriore. Dopo il montaggio il film è finito, è quel film lì, non ci sono altri che te lo disfano quindi in questo hai anche delle soddisfazioni.”
Se dovesse fare un augurio al cinema cosa direbbe?
“Un augurio? Di sopravvivere, di cercare di farcela e di andare avanti più che può.”
Come vede il futuro del cinema in questo momento?
“Lo vedo bene, ma non so se lo vedo in sala purtroppo. Da qualche parte lo vedo, non so come verrà fruito dopo la batosta di questa primavera, però io vedo che in particolare in Italia stranamente il cinema si continua a fare e i registi e i talenti ci sono e in particolare nel documentario, perché il documentario italiano ha un rilievo mondiale e nei festival è sempre molto valutato e questo è un buon segno, c’è un’ottima scuola in Italia e anche a Palermo. Su questo sono fiducioso.”