Johannes Wirix si racconta oltre Comandante, dall’amore per Roma ai film preferiti. “Ho il cuore in Italia”
Abbiamo intervistato l'attore belga Johannes Wirix, che ci racconta del suo esordio al cinema con Comandante, del suo ruolo nel film e del suo amore per il cinema, il teatro e l'Italia.
In Comandante, il film di Edoardo De Angelis ispirato a una storia vera e al cinema dal 31 ottobre 2023, spicca il talento di Johannes Wirix.
La pellicola con Pierfrancesco Favino racconta la storia del comandante Salvatore Todaro – a capo del sommergibile Cappellini della Regia Marina durante la Seconda guerra mondiale – e del gesto eroico che lo ha portato alla storia: quello di salvare l’equipaggio di un mercantile belga, il Kabalo, dopo averlo affondato a seguito di uno scontro a colpi di cannone.
Dopo il nostro fugace incontro al Festival di Venezia, dove il film è stato presentato in concorso come film d’apertura, ci rincontriamo in videochiamata un giovedì pomeriggio. Wirix, classe 1997, con esperienza nel mondo del teatro, grazie a Comandante fa il suo debutto sul grande schermo nei panni di Jacques Reclercq, un giovane dell’equipaggio del Kabalo, che poi fa da mediatore tra i membri delle due navi portando alla salvezza di tutti. Nato in Belgio, cresciuto in Olanda e con un percorso accademico tra Anversa e Roma, Johannes ha sviluppato uno spirito attento e curioso e dimostra anche grande apertura mentale. Come affermato dallo stesso Johannes: “sono belga, sono cresciuto in Olanda, ma ho il cuore in Italia“, e questo lo vediamo. O, meglio dire, lo sentiamo nel suo italiano praticamente perfetto, che destreggia senza timore, tanto che le persone gli fanno i complimenti dicendogli: “parli un perfetto fiammingo nel film“, come se fosse un attore italiano. E lui di questo ne va molto fiero.
Sebbene non ci possa svelare qualcosa in merito ai suoi progetti futuri, perché ancora troppo presto, Johannes lascia trapelare un sentimento di fiducia e ottimismo e si mostra ben lieto di chiacchierare riguardo a Comandante. Infatti, nel corso dell’intervista, ci parla di come è cambiata la sua vita, di come è stata questa sua prima grande esperienza nel cinema, delle differenze e similitudini con il teatro, in una conversazione al cui termine ci sembra di aver avuto modo di conoscere di più questo giovane attore dal futuro promettente.
La nostra intervista a Johannes Wirix, attore rivelazione di Comandante di Edoardo De Angelis
Come è stato vedere il film a Venezia e come è cambiata la tua vita in questi ultimi due mesi?
“L’esperienza a Venezia è stata incredibile… mi sentivo su un altro pianeta. La mia vita è speciale da quando sono stato a Venezia e da quando è uscito il film. Per me è stata la prima volta al Lido per la Biennale del Cinema, ma c’ero già stato [nella città] in vacanza con la mia famiglia. Al Festival mi sono trovato veramente molto bene e mi sono fermato a vedere altri film durante tutto il periodo; essere lì in sala, a guardare i film, è stata l’occasione per avere un attimo di respiro, per stare in pace con me stesso e con tutto quello che stava succedendo. Perché è questo quello che ci permette il cinema, vivere delle emozioni al buio, è un posto puro. Mi è piaciuto sia vedere i film che la sensazione di fare parte del Festival”.
“Da lì in poi la mia vita è cambiata in un senso molto poetico, particolare, bello… Da una settimana il film è uscito anche nei cinema e per me è stato un ulteriore passo. Ora le persone hanno iniziato a scrivermi che sono andate a vedere il film, e mi fanno i complimenti. Una persona, per esempio, mi ha scritto: “sei il mio attore italiano preferito”, è incredibile! Io gli ho risposto “non sono italiano, ma grazie mille”. Sono anche andato a fare delle presentazioni di Comandante con il regista Edoardo De Angelis, e lì una signora del pubblico mi ha detto: “voglio fare i complimenti all’attore italiano che ha interpretato il belga, che parlava bene il fiammingo e che ha anche l’aspetto belga”. Per me è un grande complimento, soprattutto per il mio italiano. Il film mi ha cambiato la vita nel senso che mi sento come una sorta di “megafono” per più voci. Sono così grato a Edoardo De Angelis, alla mia agenzia e ai casting director per avermi dato questa possibilità. Il film e i temi affrontati non sono scontati, ed è bello che ad ogni chiacchierata, ad ogni incontro con gli spettatori, ci sia la possibilità di parlare e di confrontarsi su cose veramente importanti. Finalmente mettiamo luce su tematiche importanti e magari abbiamo anche introdotto un nuovo genere nel cinema: la pace invece della guerra. L’umanità vince… almeno nel mondo del cinema. Il cinema può comunque essere un primo passo, l’arte può portare pace”.
Immagino che partecipare ad un film come Comandante ti abbia permesso di farti conoscere da un pubblico più ampio. Raccontaci quindi come è stato il processo di casting e quali consigli daresti ad un giovane aspirante attore che desidera avvicinarsi al mondo del cinema.
“La risposta semplice è quella di fare l’attore, fare l’accademia di arte drammatica, di aspettare, avere pazienza e anche un’agenzia (una presenza invisibile per il pubblico). Di solito il regista ha un casting director, che si mette in contatto con le agenzie. Io per fortuna ho un ottimo rapporto con la mia agente a Roma, ne ho una anche ad Amsterdam, e loro sono figure fondamentali perché creiamo un percorso artistico. Pensano insieme a me quali sono i ruoli più giusti, posso fidarmi di loro che non mi portino delle proposte “sbagliate”, che non c’entrano con la mia visione e con la mia personalità. La risposta più complessa è che non è solo l’attore ad essere importante, ma lo sono anche i suoi interessi e le sue curiosità. Non siamo concorrenti, siamo tutti diversi, e abbiamo le nostre passioni, i nostri valori e le nostre competenze che ci rendono unici nel mestiere. Quando sono andato a Roma [per studiare recitazione] non ho mai pensato che un giorno sarei finito in un film italiano dove c’è un belga nella Seconda Guerra Mondiale che parla italiano. Quando le persone mi chiedevano qual era un mio sogno, rispondevo quello di fare un film in Italia, e ci sono riuscito anche essendo me stesso, imparando l’italiano, studiando e vivendo qui. Sono un belga che parla italiano… e per questo ruolo serviva un belga che sapesse parlare l’italiano. Credo che questo insieme di cose mi hanno reso unico per il ruolo in questione, altrimenti queste vie, la mia strada e quella del film, non si sarebbero mai incrociate”.
“Sul processo di casting invece… Mi hanno chiamato per fare un self-tape, un video in cui dovevo fare due scene (avevo chiesto ad un amico di fare la parte di Todaro), e poi ho dovuto fare una presentazione, in cui ho detto: “sono belga, sono cresciuto in Olanda, ma ho il cuore italiano” e questo è vero, mi descrive molto. Al mio compleanno mi hanno chiamato per fare un provino in presenza con il casting director e con il regista, e lì abbiamo ripreso le stesse scene del self-tape. Pochi giorni dopo mi hanno chiamato per darmi la bellissima notizia, e poi ho ricevuto anche la sceneggiatura. Ho pensato subito che il progetto fosse incredibile”.
Johannes Wirix sul messaggio di Comandante: “Non c’è più la possibilità di non fare niente, o di non avere un’opinione“
Si è spesso parlato del film facendo riferimento ai migranti e al soccorso in mare; girando e promuovendo Comandante pensi che il messaggio del film, in relazione alla situazione attuale, stia arrivando al pubblico?
“Secondo me il messaggio c’è, e non è facile la posizione in cui mettiamo il pubblico. Il film ci mostra un atto umano, e allo stesso tempo coraggioso, e se questo comandante in una situazione tanto critica (perché non c’è una situazione peggiore della guerra), se lui addirittura in quelle circostanze è capace di prendere tale decisione, anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa. La cosa bella dell’arte è che non ci dà una risposta chiara o ben definita, ma ci fa riflettere. Durante il film ci mettiamo nei panni di Todaro, lo vediamo dal suo punto di vista, e lo seguiamo nel percorso che lo porta a prendere e compiere questo atto eroico, ma anche umano. Non è così immediato essere un eroe ed essere anche umani. È possibile, ma deve iniziare dal cuore. Secondo me è un film che rimarrà nella testa della gente, rimane sulla pelle, e può fare da eco, da cassa di risonanza. È un film che parla di tutti, oggi siamo tutti coinvolti in qualche modo in ogni guerra. Non c’è più la possibilità di non fare niente, o di non avere un’opinione, siamo costretti a fare almeno una riflessione su quello che sta accadendo. E il film ci dimostra che non abbiamo solo la responsabilità di pensare qualcosa ma anche di fare qualcosa. Questo messaggio per me è forte nel film e lo sta comunicando alle persone. Spero tanto anche ai giovani, perché il futuro, e come andrà il mondo, è nelle mani della nostra generazione”.
“Ho la sensazione che un film del genere vent’anni fa non si sarebbe realizzato, anche per una questione pratica. Ora si possono realizzare questo genere di film e queste storie, è segno di un cambiamento nella percezione delle persone, nell’arte, e nel mondo”.
Come è recitare in un film così specifico soprattutto dal punto di vista storico? Parlaci di come è essere in una pellicola ambientata nella Seconda Guerra Mondiale: i costumi, il set, il sommergibile…
“Ricordo una cosa che Edoardo De Angelis ha detto ad una persona del pubblico (durante una premiere del film) che aveva chiesto: “ma perché avete ricostruito il sommergibile? Non potevate fare tutto con il green screen?”, e lui ha risposto: “No! Perché in realtà uno dei protagonisti del film è il ferro, che lo senti, che ha questa forza e questa presenza…”. [Per le riprese] Siamo andati a Taranto dove abbiamo girato gli esterni. Il set era incredibile, mi sentivo un po’ come a teatro, e ci ha permesso di entrare nei personaggi, perché eravamo così lontani da noi stessi. Edoardo De Angelis ci ha messo nelle condizioni di immergerci nel periodo e nei personaggi, abbiamo girato di notte, c’era il mare, acqua, onde, fuoco…”.
“Sapendo che il mio personaggio è basato su una persona vera, Jacques Reclercq era un marinaio e un ufficiale del Kabalo, questo porta a delle responsabilità, non solo rispetto alla storia che raccontiamo, ma anche alla storia in generale. [Come attore] Cerchi di entrare nel personaggio e di metterti nelle condizioni di creare una connessione tra te e il ruolo. All’inizio pensavo che ci somigliassimo molto, diversi ma simili, con stesse passioni, voglia di scoprire nuove persone, nuove lingue, di vedere il mondo… penso che lui non sia entrato in guerra per combattere, non era un uomo di mare, di guerra. Però devo ammettere di essermi poi reso conto di essere privilegiato nel non poter immaginare di andare in guerra, e di dover fare questa scelta come lui. Reclercq per fortuna non deve fare “cose di guerra”, anzi, i suoi valori e i suoi talenti gli serviranno a bordo del sommergibile“.
Guardando il film, si percepisce infatti come Reclercq sia diverso rispetto agli altri personaggi, non è lì per propria scelta. Il suo essere uomo di cultura, conosce l’italiano e il greco antico, lo portano ad avere un ruolo chiave nella storia, facendo da mediatore tra i due equipaggi e riuscendo a salvare le vite di tutti. In una situazione critica il tuo personaggio porta anche ad un momento di quiete tra i membri delle due navi…
“Sì, condivido. Devo dire che mi sento rappresentato dal mio ruolo. Senza la sua capacità di conoscere le lingue, non sarebbe stato capace di tradurre il foglio in greco antico per Todaro e di creare una connessione con lui. Secondo me però Reclercq porta anche qualcos’altro, che non è verbale. Ho cercato di portare e mostrare in lui l’umanità, senza l’uso delle parole ed esprimendomi, spero, con gli occhi. Già a prima vista, c’è un qualcosa nel primo incontro con Todaro, che ricorda al comandante della sua casa, di sua moglie, dei figli e delle vite che ci saranno prima e dopo di lui. E al mio personaggio Todaro ricorda invece qualcosa di paternale, qualcosa di più grande, è un essere umano carismatico, vicino, caldo, disponibile. C’è qualcosa nel loro scambio di sguardi che rende questo rapporto, anche non verbale, molto particolare. Quindi a parte l’importanza delle lingue, che ci permettono di comunicare, questo personaggio è importante perché ha qualcosa che lo rende molto umano, che aiuta Todaro nella scelta di salvare la vita a lui e a tutti i naufraghi belgi. Mia mamma guardando il film mi ha detto subito: “Ma è ovvio! Già nel vostro primo incontro Todaro ha scelto di salvarvi, perché ha visto te, ma ha anche visto sé stesso in te”. Ha visto che non siamo nemici, che siamo uomini di mare, siamo simili, pari, e magari la prossima volta sarà lui in mare e io a salvarlo. Possiamo tutti essere quei belgi in quel momento. È bello interpretare un ruolo così, essere quello fuori luogo, l’underdog, che non sembra c’entrare molto ma alla fine è il ruolo chiave”.
Johannes Wirix sul recitare al fianco di Pierfrancesco Favino e di Johan Heldenbergh: “In mezzo a loro due mi sono sentito molto ricco sia come attore che come essere umano“
Parlando di Todaro, raccontaci come è stato lavorare con Pierfrancesco Favino e il collega belga Johan Heldenbergh.
“Li conoscevo tutti e due come attori, sono di un livello altissimo. Diciamo che Johan Heldenbergh è il Favino del Belgio, è super conosciuto e ha fatto diverse esperienze all’estero, ha scritto un film che è stato candidato agli Oscar: The Broken Circe Breakdown [Felix Van Groeningen, 2012], un film emotivamente incredibile. Una curiosità è che lui ha partecipato agli Oscar nell’anno in cui La Grande Bellezza [Paolo Sorrentino, 2012] ha vinto, e sul set di Comandante ha detto “è stato un onore perdere contro quel film””.
“Come attore volevo raggiungere questo livello e arrivare un giorno a recitare con questi colleghi che sembravano prima irraggiungibili. E all’improvviso ero in mezzo a queste persone, e facevo da tramite tra questi due grandi attori. Siamo riusciti a creare un rapporto quasi di padre e figlio, sia tra i personaggi che tra noi attori. Heldenbergh e Favino mi hanno insegnato molte cose di recitazione, anche solo rimanendo sé stessi. Loro sono molto inventivi, e mi hanno aiutato a respirare, a stare nel personaggio e nell’ambiente, a trasmettere insieme a loro le sensazioni e le energie. Con loro sentivo di non dovere fare tanto. La recitazione è anche uno scambio di emozioni, di energie, di respiri, e loro sono bravissimi in questo. In mezzo a loro due mi sono sentito molto ricco sia come attore che come essere umano. Una cosa di cui sono rimasto sorpreso è che il regista ci ha permesso di improvvisare in un film come questo. La scena in cui [abbiamo improvvisato è quella in cui] sono nella cabina del Comandante Todaro, in cui parliamo e ci confrontiamo, in cui ci “togliamo le maschere” di ufficiale e di comandante e rimane solo la vicinanza, l’intimità, l’essere umani. Penso che sia incredibile il modo in cui nel film si vede l’umanità che ho sentito sul set con il regista, con Favino e con Heldenbergh. È stato bellissimo“.
Sappiamo che sei un attore di teatro, quale è stata la maggiore differenza che hai trovato nel recitare in una parte cinematografica?
“Questo è il mio primo film, e paragoni ovviamente posso farli solo con Comandante. A teatro facciamo tante prove, dove approfondisci il rapporto con il ruolo e con le varie dinamiche intorno, e hai l’occasione di sperimentare e fallire, perché lì fai tutte le cose che poi non farai in scena. Al cinema invece, fai tutto in pochissimo tempo, fai le prove, le riprese, tutto in una volta davanti al regista. In Comandante avevamo un set enorme, eravamo 150 persone, ma mi sentivo come sul palcoscenico, perché all’improvviso quando iniziavamo a riprendere c’era questo silenzio magico. E la presenza di così tante persone mi ricordava molto il teatro. Ora che cerco le differenze trovo in realtà più similitudini… Ci sono ovviamente anche cose diverse, nel teatro come attore devi diventare più estroverso per comunicare qualcosa, nel cinema invece il pubblico deve guardarti dentro ed entrare nella tua anima. Nel teatro devo avvicinarmi io al pubblico mentre nel cinema il pubblico deve arrivare a me. Secondo me è molto importante per un attore fare sia cinema che teatro perché fare entrambe le esperienze permette all’attore di approfondire il rapporto che ha con il mestiere, ad essere più vivo, attivo e creativo”.
“L’immaginazione dell’attore è chiave, per me è il luogo dove l’attore sta bene, dove respira. Sono contento che la mia accademia mi abbia insegnato due valori importanti, la mia personalità, io (le mie passioni, i miei interessi, la mia curiosità), e l’importanza dell’immaginazione”.
Il lato cinefilo di Johannes Wirix: i film che gli stanno a cuore e le pellicole del 2023 che lo hanno maggiormente colpito
Immagino che tu sia un cinefilo… Ecco una domanda difficile. Rivelaci qualche film che ti rappresenta, che ti definisce come persona e in cui ti ci rivedi.
“Che bella domanda! Vado per i due film che mi sono subito venuti in mente. C’è l’ultimo film di Lukas Dhont, un regista belga [Close, candidato agli Oscar come miglior film internazionale nel 2023]. Quel film è come un segno sul muro, un segno dei tempi, un film che non si sarebbe fatto 20 anni fa perché parla di un’ambiguità, di amicizia, di sessualità tra due ragazzi. Trasmette tanti messaggi, da spettatore si possono interpretare tante cose. L’ho visto due volte, la prima volta con mia mamma e mio fratello sono stato molto freddo, ma la seconda volta ho pianto dall’inizio fino alla fine e mi sono lasciato andare emotivamente. Ed è così bello, ma così bello… Lo stile cinematografico, le immagini, la poesia, i rapporti diversi, la sorpresa, la tensione. È incredibile, incredibile! Sono orgoglioso di essere belga quando vedo quel film. Poi, c’è quasi un aspetto politico nel film, essendo ragazzini i due protagonisti non si chiedono come si chiama il rapporto che hanno, siamo noi adulti invece che lo nominiamo, lo giudichiamo. È incredibile come rubiamo la possibilità di essere giovani, e di non sapere ancora tutte le cose. Le persone dovrebbero essere più curiose e ingenue”.
“E il secondo film che mi è venuto in mente è La vita è bella [Roberto Benigni, 1997], perché è uno che ho visto da piccolo con la mia famiglia, e dato che mio padre non c’è più, il film è diventato sempre più importante per me, perché parla della forza di un padre che ti prende per la mano e ti fa vedere il mondo con un altro punto di vista, anche in una situazione brutta. Un film importante perché, anche se certamente non il primo film sull’Olocausto, riesce a trasmettere un aspetto molto emotivo, e parla di questo bellissimo rapporto tra padre e figlio in una situazione come quella della Seconda Guerra Mondiale. Bellissimo. Ricordo che la prima volta che l’ho visto non capivo cosa fosse la Seconda Guerra Mondiale, o l’Olocausto… Mi piace però come nel tempo ho visto e capito sempre più cose, e provato anche sempre più cose. Grazie a questo film ho apprezzato di più il rapporto che avevo con mio padre, e come lui riusciva a farci vedere le cose sotto una nuova luce“.
Quali sono invece i film che ti sono piaciuti e ti sono rimasti impressi del 2023?
“A Venezia ho visto moltissimi film, mi è piaciuto quello che ha vinto il Leone d’oro (Poor Things, Yorgos Lanthimos). È incredibile, è un film pazzesco e importante. Parla di temi estremamente importanti. Sono uscito [dalla sala] ed ero confuso, e ho pensato “ma cosa ho visto, ma questo è incredibile!”. Mi ha veramente scombussolato”.
“Un film che invece ho visto in questi giorni è C’è ancora domani [Paola Cortellesi], è importante e sorprendente. Non sono ancora riuscito ad avere una visione ben definita del film, ma mi rimarrà sicuramente in testa. Ci mette di fronte a delle scene, a delle situazioni di misoginia, uomini che odiano le donne e che le mettono in situazioni inferiori… E questo è scioccante, questo modo di vedere e di fare degli uomini, che è ancora molto vivo nei nostri tempi, è incredibile come i tempi non sembrano proprio cambiati. È così difficile vedere come per una donna, come quella del film, sia complicato uscire da quel mondo di violenza, aggressività, sottomissione e dominanza del marito, dell’uomo a casa. Questo mi ha toccato tantissimo, perché ci mostra come, se qualcuno non mette fine, questo circolo di violenze andranno avanti per sempre. E continua nella prossima generazione, nel film con la figlia e il fidanzato. La fine è incredibile. Andate a vederlo, sono andato con una mia amica, lei ha pianto e io ho pianto. Alla fine, mi sono sentito ancora più femminista di prima“.
Invece quale opera teatrale ti ha toccato molto?
“Come nei giorni migliori del regista italiano Leonardo Lidi. Uno spettacolo che parla di una storia d’amore tra due ragazzi… è raro nel teatro italiano togliere le maschere tradizionali, non recitare… Lidi è un regista che mi affascina per le scelte artistiche che fa nei suoi spettacoli, lo fa in modo contemporaneo, fa recitare gli attori in modo autentico, li mette l’uno a contatto con l’altro, e mette sempre lo spettatore in una posizione di terzo ruolo (dove ci sono testo, personaggi, e pubblico). Il pubblico è molto coinvolto nell’atto teatrale, e insieme a questo modo di recitare, rende le opere molto vere, umane ed autentiche”.
Johannes Wirix ci parla delle sue speranze per il futuro
In cosa possiamo vedere Johannes in futuro?
“Non lo posso dire. Posso dire che mi piacerebbe re-incontrarci nel cinema italiano in futuro, e ci stiamo lavorando…. Mi sono sentito incredibilmente benvenuto su questo set bello e accogliente in quella che per me è la capitale del cinema, che è l’Italia. Continuerò ovviamente anche a fare teatro”.
Parlaci di un tuo desiderio per il futuro…
“Spero di non fermarmi mai, di viaggiare e di scoprire il mondo e di continuare a lavorare. Questa è la cosa incredibile del mio mestiere: mi permette di fare cose che non farei da Johannes. Sono molto privilegiato di fare questo mestiere, perché non è scontato”.
“Sarebbe anche bello se un giorno ci fosse una maggiore collaborazione tra le varie produzioni cinematografiche, anche con i paesi dell’Africa. Sarebbe bello vedere rappresentate diverse tradizioni, culture, valori; e che tutto quello che viene rappresentato sul grande schermo ci sia anche su tutti i livelli della collaborazione [cinematografica], costumi, make-up artist… Sarebbe l’ideale per il cinema, ma anche per tutta la società. Posso testimoniare che in questo film, su questo set sono stati protetti e condivisi i valori del film, gli aspetti belgi e italiani. Nel film e sul set di Comandante si è dato valore all’umanità, all’essere umili, e a questo spirito di tendere la mano agli altri”.
Un posto da scoprire dell’Italia?
“Amo follemente Roma, consiglio a tutti di andare a vedere la chiesa di San Giorgio in Velabro perché la semplicità vince”.