Fabio Amurri su La città proibita: una colonna sonora che celebra la multiculturalità

Dopo le serie Call My Agent - Italia e Miss Fallaci, il compositore Fabio Amurri ha curato la colonna sonora del terzo lungometraggio diretto da Gabriele Mainetti. Al cinema dal 13 marzo

Una colonna sonora che mescola elementi tradizionali ed etnici in un equilibrio dinamico, un tessuto ritmico di percussioni stratificate che unisce i mondi dei protagonisti. Così si era espresso, in fase di promozione, il compositore Fabio Amurri riguardo alla musica de La città proibita, il terzo film di Gabriele Mainetti, disponibile nelle sale cinematografiche italiane dal 13 marzo. Egli è poi passato anche dai nostri microfoni, proprio in concomitanza con l’uscita di quella che è, senza dubbio, la sua collaborazione più prestigiosa fino a questo momento, raccontandoci di sé e del suo lavoro.
Nato a Porto Sant’Elpidio nel 1989, Amurri è un Compositore e arrangiatore italiano residente a Londra, specializzatosi in Musica da Film presso la National Film and Television School nel Regno Unito. Ha esordito al cinema con il film di produzione tedesca German Angst (di Jörg Buttgereit, Michal Kosakowski e Andreas Marschall) e ha poi lavorato a numerosi cortometraggi, fino a ottenere l’importante opportunità di curare la colonna sonora di Call My Agent – Italia, poi seguita da Miss Fallaci, serie rimasta a lungo in produzione ma distribuita solo di recente. Di seguito, le parole del compositore, che ci ha raccontato le sue esperienze, soffermandosi in particolare sul film di Mainetti, e ha poi condiviso sogni, ambizioni e speranze, accennando anche al suo lavoro anche come compositore e orchestratore per videogiochi.

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Fabio Amurri tra musica, cinema e La città proibita: “Ho voluto celebrare e sfruttare la multiculturalità”

Fabio Amurri cinematographe.it

1. Raccontaci chi è Fabio Amurri; qual è stato il tuo percorso musicale e com’è nato il tuo rapporto con il cinema?
“Ho cominciato ad avvicinarmi alla musica quando ero molto giovane, grazie a mia madre, che era pianista. Per lungo tempo, tuttavia, ho accantonato l’idea che potesse diventare parte integrante della mia vita. Più avanti ho ripreso gli studi in conservatorio e credo che, già allora, una parte di me che fantasticasse di entrare in contatto con il cinema, ma la consideravo una possibilità davvero molto remota. Durante il percorso di studi, ho avuto l’occasione di cimentarmi in alcune esperienze, facendo qualche notte in bianco pur di preparare qualcosa da far sentire ai grandi compositori che venivano in visita.
Ad un certo punto, ho deciso di venire in Inghilterra per proseguire gli studi, sempre in una classe di musica ma, questa volta, all’interno di una scuola di cinema. Lì ho conosciuto una persona, tramite cui sono entrato in un pool di compositori per la realizzazione del pitch di ‘Call my agent – Italia’. Il progetto è andato molto bene, e da lì si è innescata una serie di conseguenze che mi hanno portato fino a qui.
Per quanto riguarda il cinema, verso i 13/14 anni giravo e montavo i filmini con i miei amici e ricordo anche quando, precedentemente, andavo al cinema all’aperto di Porto Sant’Elpidio. Tuttavia, per moltissimo tempo, mi è sembrato un mondo totalmente inarrivabile per me.”

2. Hai accennato ad altri lavori ma, prima de La città proibita, avevi già lavorato su alcuni lungometraggi?
“Sì. In realtà, il mio primo lavoro in ambito cinematografico è arrivato in modo piuttosto fortuito: si tratta di ‘German Angst’, un film horror di produzione tedesca, realizzato tra il 2013 e il 2014. È strano pensare che, successivamente, io abbia lavorato per moltissimi cortometraggi. Solo a posteriori mi sono reso conto di quando fossi stato fortunato ad esordire con un lungo. In seguito, ho collaborato ad altri film, soprattutto opere indipendenti, tra cui un bellissimo progetto in Arabia Saudita: il primo film realizzato dopo la riapertura dell’industria cinematografica nel paese.”

3. Passando a La città proibita, com’è stato lavorare con Mainetti? Cosa pensi del suo lavoro per il cinema e, in particolare, per il cinema italiano?
“A livello umano, credo si sia creato un ottimo rapporto: ci siamo piaciuti da subito, nonostante la distanza, che ovviamente rendeva tutto più complesso. Mi sembra di conoscerlo da molto più tempo di quanto effettivamente sia, ma credo che sia una sensazione comune quando si condividono esperienze così intense. Lavorare con lui comporta inevitabilmente una certa pressione e aspettative elevate. Creare musica per un regista che è anche compositore, e che ha già raggiunto importanti risultati in questo campo, non è semplice. È chiaro che siamo andati a curare ogni minimo dettaglio, ma credo che lui abbia avuto un occhio di riguardo nei miei confronti. Mi ha spinto al massimo e, quando ha visto il mio massimo, ha espresso una certa soddisfazione.”

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4. Il film parla di multiculturalità, di culture che si mescolano e si contaminano; hai cercato di raccontare questo anche tramite la tua colonna sonora?
“Si dice che la musica debba aggiungere qualcosa a ciò che l’immagine già porta. Qui, oltre a raccontare la multiculturalità, ho voluto prima di tutto celebrarla e, al tempo stesso, sfruttarla per risolvere il problema principale che avevamo: trovare una maggiore coesione. Non volevamo appesantire troppo la musica con un’impronta di genere legata esclusivamente alla Cina, quindi ho spinto per un approccio etnico molto più variegato.”

5. Ti sei ispirato a qualche film o qualche opera in particolare?
“Per quanto riguarda i riferimenti, cerco sempre di attingere, per quanto possibile, al di fuori della musica da film. Penso che sia importante allontanarsi un po’ da quel mondo per non pagarne le conseguenze in termini di originalità. Gli ascolti che ho fatto sono stati estremamente vari. Se devo citare un’opera, è risaputo quanto Mainetti sia un grande fan di ‘Old Boy’ e, prima di iniziare, mi ha chiesto esplicitamente di rivederlo. Da lì, ho tratto ispirazione per enfatizzare l’epicità della prima parte del film, legata alla storia di Mei, con quei toni asiatici che abbiamo poi richiamato nel finale.”

6. Quanto tempo vi ci è voluto per la realizzazione di questo film?
“Inizialmente, il progetto doveva essere realizzato in tempi piuttosto rapidi, ma poi abbiamo capito che, per fare le cose per bene, serviva più tempo. Alla fine, ci abbiamo lavorato per circa cinque mesi, anche perché Gabriele non si accontenta mai: se c’è qualcosa che non lo convince, indipendentemente dalle pressioni produttive, cerca sempre di risolverla. Ma è molto meglio così, ci avrei impiegato volentieri anche più tempo.”

Gli altri lavori, la serialità e la composizione

La città proibita Fabio Amurri cinematographe.it

7. Di recente è uscito Miss Fallaci, progetto su cui sei da molto tempo e per cui ha curato la colonna sonora; com’è andata? E come era stata, invece, l’esperienza di Call My Agent – Italia?
“‘Call My Agent’ è stato il mio primo lavoro con una rilevanza di pubblico significativa, e si può immaginare quanto ci abbia messo tutte le energie a mia disposizione. Ero guidato da Luca Ribuoli, che ha una cultura musicale ben più vasta della mia, e sono stato felicissimo di farne parte. Ora torno sempre molto volentieri a quella serie e presto dovrò farlo per la terza stagione.
Con ‘Miss Fallaci’ ho ritrovato lo stesso Ribuoli, affiancato da altri due registi per me nuovi: Alessandra Gonnella e Giacomo Martelli. È stata un’esperienza bellissima e, ora che la serie è finalmente uscita, rivederla e riascoltarla mi riempie di soddisfazione. Ho dato il massimo per questa colonna sonora, sperando che la musica riuscisse a rendere giustizia al personaggio”.

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8. Abbiamo parlato sia di cinema che di televisione e serialità. Ci sono grosse differenze tra composizione della colonna sonora di una serie e quella di un film? E, se ci sono, quale presenta più problematiche?
“Io credo che, generalmente, l’unica difficoltà legata alla serialità, che a volte fa pensare a un ritorno esclusivo al cinema, sia legata alle tempistiche, che sono sempre molto strette. Poi può capitare che anche un film abbia scadenze ristrette, e in quel caso è ancora più complicato. In realtà, credo che i progetti più difficili su cui lavorare siano i cortometraggi di cui parlavamo prima. Più la storia si accorcia, più ogni secondo, ogni dettaglio, diventa cruciale.
Per quanto riguarda la serialità, inoltre, c’è un approccio diverso: ci sono momenti per cui è necessario comporre musiche ad hoc e altri in cui si realizzano temi ricorrenti che definiscono quel particolare tipo di scena e vengono ripresi nel corso della serie.”

9. Oltre al cinema e alla televisione di cosa ti occupi? Stai portando avanti altri progetti?
“Dopo molto tempo, sto tornando a collaborare come orchestratore o co-writer per alcune colonne sonore di videogiochi. Il mio passato da nerd riaffiora in un ambito che mi piacerebbe esplorare e approfondire ulteriormente. Inoltre, mi riprometto sempre di tornare a comporre musica al di fuori delle immagini, perché credo che noi compositori dovremmo coltivare prima di tutto questa ambizione. Tuttavia, il cinema, in un certo senso, ci impigrisce: ci appoggiamo alla storia di qualcun altro per superare il blocco creativo e riempire la pagina bianca.”

10. Qual è, o quali sono, le colonne sonore che ti piacciono a tal punto che avresti voluto comporle tu? E quali sono le tue ambizioni per il futuro?
“Mi sarebbe piaciuto tantissimo scrivere la colonna sonora di uno dei tanti classici Disney con cui siamo cresciuti. Se dovessi sceglierne uno, probabilmente direi ‘Aladdin’.
Per quanto riguarda le mie ambizioni, mi sento già molto fortunato ad aver preso parte a ‘La città proibita’ e spero di poter lavorare ad altri film altrettanto importanti, con lo stesso livello di impegno. È un ottimo modo per conoscere i propri limiti, perché un compositore di musica per il cinema può esprimersi pienamente solo quando la sceneggiatura gli offre l’opportunità di farlo.”

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