Miriam Leone su L’amore a domicilio: “Non credo che lo streaming tolga qualcosa alla sala” [VIDEO]
In uscita il 10 giugno, il nuovo film di Emiliano Corapi è stato presentato alla stampa in una conferenza streaming di cui riportiamo il video integrale.
In tempi di Covid le conferenze stampa si svolgono online, così come quella per L’amore a domicilio, dal 10 giugno online su Amazon Prime Video. Questa nuova storia sentimentale e agrodolce fa incontrare una ex-rapinatrice ai domiciliari con un assicuratore che per la prima volta decide di affrontare a viso aperto un sentimento amoroso. Presenti in collegamento per l’attività stampa i protagonisti Miriam Leone e Simone Liberati, nonché l’autore Emiliano Corapi, che hanno risposto alle domande dei giornalisti e critici in streaming. Ne riportiamo alcuni scambi. La versione integrale è contenuta nel video.
L’amore a domicilio: la conferenza stampa video con Miriam Leone, Simone Liberati ed Emiliano Corapi
Rischio in amore, due persone distanti messe insieme dal caso. Si parte da questo spunto di giallo, noir e mistero.
Emiliano Corapi: “Il film ruota proprio intorno a questa ambientazione degli arresti domiciliari, nei quali si trova Miriam, e a un personaggio che decide di intraprendere un’avventura sentimentale perché crede di essere garantito dalla condizione di lei. Simone fa un personaggio pavido, che a un certo punto decide in maniera parradossale”.
Miriam, ci hai abituati a personaggi in bilico, che hanno due facce, a volte tre. Qual è stato il tuo interesse per questa rapinatrice apparentemente un po’ inafferrabile, ma con dei punti interrogativi dentro belli forti?
Miriam Leone: “Il bilico è la ragione di questo lavoro. Quando trovi un personaggio con luci e ombre scritto con molti contrasti si accende dentro qualcosa che ti fa dire: lo voglio fare. Quando ho letto la sceneggiatura di Emiliano mi è piaciuta molto questa bad girl quanto un animale in gabbia. Poi l’abbiamo fatta parlare in siciliano, catanese, e ci siamo divertiti in questo set unico che è la casa. È un personaggio molto moderno, conduce lei il gioco. Vuole fare sesso con Renato e non ha alcun problema a svelare che sta cercando solo il piacere. Ma avrà un’evoluzione molto interessante”.
Simone, nel passaggio tra Cuori puri a Suburra a altri film, qui anche tu vivi in bilico. Ma il concetto fondamentale è il mettersi in gioco per essere travolti da un insolito destino.
Simone Liberati: “In questo bilico c’è qualcosa di molto simile a un vissuto generazionale comune a tutti i coetanei di Renato, un giovane adulto che condivide angosce e fragilità dei neo-lavoratori che approcciano al lavoro. Renato lo fa credendo molto in ciò che fa, vendere assicurazioni pensando non di raggirare ma di proporre soluzioni alle persone per le loro vite. Si è costruito una struttura iper-protetta per evitare ogni coinvolgimento emotivo, ma l’incontro con Anna è l’elemento imprevedibile della vita che sfugge al suo calcolo. Un concetto racchiuso nella metafora della bicicletta a inizio film. Meglio non volare troppo alto per evitare un brusco atterraggio, o una caduta dolorosa”.
Simone per la prima volta compare in una commedia amorosa leggera, mentre per Miriam è la prima volta che recita nel suo catanese. Ci raccontereste come sono andate queste prime volte?
S.L.: “Era anche la prima volta che lavoravamo insieme. Con Miriam abbiamo scelto di rendere il primo incontro in scena quasi il primo incontro tra noi, perché ci eravamo visti solo al provino, e lì decidemmo di far accadere delle cose soltanto durante il set, per preservare la purezza dell’incontro. Essendo una prima volta i domiciliari erano un elemento nuovo, ma pur essendo tra quattro mura succederà davvero di tutto”.
M.L.: “Questa ricerca della radice del dialetto, dell’accento, puntava a raccontare un personaggio immaturo sentimentalmente tornando un po’ al mio passato, quindi il mio periodo universitario. Sono andata a cercare anche personaggi della mia Catania dei primi duemila, quando frequentavo l’Università dei Benedettini. Questa giovane donna è ancora adolescenziale, ma maturerà nell’arco del film. Il problema è questo rapporto con la madre che le tiene anche il cuore in gabbia. Vive ai domiciliari, ma anche i suoi sentimenti sono chiusi dentro. Non vive nessun rapporto con l’altro e mi sembrava interessante ricorrere al mio dialetto. È stato un grande piacere lavorare poi con Simone perché è un attore bravissimo. Siamo stati molto insieme con Emiliano ed è accaduto anche qualcosa d’imprevisto sul set, che magari non ci aspettavamo”.
Miriam, il film ti vede agli arresti domiciliari, qualcosa che abbiamo provato tutti ultimamente per via del lockdown. A un certo punto dici “Voglio fare qualcosa che non ho mai fatto, farò sport”. Come sei passata dal film alla realtà dell’isolamento?
M.L.: “Noi tutti ci siamo interrogati sulla casualità di un film sui domiciliari che doveva uscire ad aprile, proprio durante il periodo di quarantena. Non volevamo una promozione così invasiva, però è andata così! Anch’io durante il lockdown ho fatto tantissimo sport, che di solito non faccio, ma è proprio il rapporto fondamentale con sé stessi e con la noia che può diventare positivo, produttivo. C’è una noia positiva che ti fa allargare lo spirito, ma noi siamo abituati a correre. Non abbiamo questo movimento orizzontale, ma solo un movimento verticale che ci fa aspirare a qualcosa. Quindi fermarsi è stato sorprendente. Ho capito molto bene il bisogno di Anna di muoversi fisicamente. Diciamo che Renato diventa il suo fornitore di bisogni materiali. In casa guardi la televisione, ti alleni, cerchi di continuare ad avere una normalità con il corpo. E questo risveglia l’umanità di Anna. Come un animale che ringhia in cattività, lei sorride poco, sfrutta le persone. Ma pian piano, l’umanità che Renato mette nella sua gabbia di cattività la scioglie, facendola liberare da quest’armatura che deriva dal conflitto irrisolto con la madre e da un padre che non esiste. Quindi l’umanità e il prendersi cura di sé stessi sono stati fondamentali anche nel lockdown”.
Ti sono capitate spesso le bad-girl. È frutto di una tua ricerca o è un percorso naturale?
M.L.: “Si, sono due. Una è Veronica Castello di 1992, 1993 e 1994. È un territorio che ho esplorato molto in questi anni perché lontano da me. La cosa più bella di questo mestiere è mettersi nei panni degli altri, fare cose che non faresti mai, entrare in vite e in storie che non ti riguardano. Non credo infatti che diventerò mai una rapinatrice a mano armata. Mi affascina il bivio di chi fa la scelta sbagliata, ma poi ha una redenzione”.
Nel film si riconoscono alcuni scorci di Roma come il quartiere San Lorenzo e San Giovanni. Come sono state scelte le location?
E.C.: “La ricerca delle location è stata una delle cose più impegnative. Erano stati scelti altri luoghi, poi non più disponibili. Aveva lo stesso sapore, la casa sarebbe stata scenografata com’è stato con quella utilizzata alla fine, ma sarebbero cambiati molto gli esterni. Dal punto di vista narrativo la casa dovrebbe essere collocata intorno a San Giovanni, anche se tu hai ben riconosciuto San Lorenzo perché lei va a fare l’esame nella città universitaria, che si trova lì. Anche casa di Anna è in via delle Provincie. L’intenzione era di restituire l’impressione della casa della madre. Doveva avere il sapore degli stessi eccessi del personaggio della madre”.
A causa della pandemia il vostro film esce online e non al cinema. Come vedete questa nuova relazione con lo spettatore e che rapporto avete con il cinema online?
M.L.: “Noi siamo felici dell’uscita del film e speriamo raggiunga più persone possibile. L’esperimento della sala che accompagna il divano di casa era già avvenuto prima del lockdown con titoli come Roma e Sulla mia pelle. Non credo che lo streaming tolga qualcosa alla sala perché l’esperienza della condivisione e del cinema sarà sempre amata da chi la amava. Io amo andare al cinema, e mi manca. Ma amo anche vedere i contenuti a casa. Spero che i cinema riaprano presto. Magari ci sarà la possibilità delle arene e dei drive in di cui si parlava. Il divano di casa ha un suo perché, ma nel mio cuore non sostituisce la sala. Ieri guardavo su Instagram una foto bellissima che ha pubblicato Carlo Verdone. Era al cinema con Massimo Troisi, parlavano con le persone, sorridevano. Ecco, mi piace molto la condivisione della sala”.
S.L.: “In quest’ultimo periodo, paradossalmente, abbiamo stabilito un rapporto ancora più intimo con il cinema. Grazie alla piattaforma digitale è stato possibile per tutti fare incetta di film, che sono stati nostri compagni di viaggio. Direi che è stato il mezzo che ha permesso di mantenere un contatto con le storie narrate dal cinema. Nonostante noi viviamo il paradosso della sospensione momentanea del nostro lavoro in senso stretto”.