Le otto montagne: i registi svelano quella dolorosa verità dietro al film [VIDEO]
Un dolore accomuna i registi a Paolo Cognetti. Ecco cosa ci hanno svelato Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch durante le interviste video e cosa ha rivelato il cast in conferenza stampa.
L’attesissima trasposizione cinematografica del successo letterario Le otto montagne edito da Einaudi e scritto da Paolo Cognetti nel 2015, è finalmente in uscita nelle sale cinematografiche italiane, dopo essere stato presentato alla 75° edizione del Festival di Cannes ottenendo il Premio della Giuria.
Il film scritto e diretto dal duo belga Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, cui dobbiamo uno dei film più commoventi e tragici sulla passione per la musica e le conseguenze della perdita rispetto all’amore mai realmente indistruttibile (Alabama Monroe) è tornato per sorprenderci ancora, regalando tanto ai fan del romanzo, quanto al pubblico più generalista un film incredibilmente sincero, realista e malinconico sulla forza dell’amicizia e le conseguenze del male generato volontariamente e non dalla famiglia.
La nostra intervista video a Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, registi de Le otto montagne
Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, parlando del legame con il romanzo hanno svelato anche quel dolore che li accomuna a Cognetti. “Io e Charlotte abbiamo perso i nostri padri molto presto e forse anche questo ha avuto un ruolo.” – ha svelato Felix Van Groeningen – “Ciò che certamente ci ha incoraggiati a dire sì e mettercela tutta per portare a termine questo progetto sono stati i valori di purezza e realtà che già appartenevano al libro di Paolo, una sorta di purezza assoluta, di candore davvero sorprendente. Ecco cos’ha significato e prodotto questa storia per noi. Questa è una storia che parla dell’importanza dei legami. Quello di cui tutti noi abbiamo bisogno. L’importanza di creare e mantenere legami profondi, ed è proprio il nostro bisogno di legami, quello che ciascuno di noi ha, che ha condotto alla realizzazione del film, non altro.”
Cosa hanno svelato Alessandro Borghi e Luca Marinelli su Le otto montagne?
Durante la conferenza stampa abbiamo avuto modo di raccogliere anche i commenti dei protagonisti, interpretati da Alessandro Borghi e Luca Marinelli.
Borghi, che nella pellicola interpreta Bruno, ha parlato della potenza della sala cinematografica, dicendo: “Io lavoro, anzi, vivo di cinema. Quella della sala è per me un’esperienza unica e irripetibile. Quello che penso è che durante la fase Covid qualcuno si sia reso conto di non aver troppo bisogno del cinema, commettendo un errore totale. Io mi approccio al cinema accettando e prendendo parte unicamente a progetti che vedrei volentieri da spettatore e non per un discorso economico e di successo. Sono un convinto sostenitore del motto, fai quello che ti piace fare e fai quello che ti piacerebbe vedere. Interpretare questo film in ogni caso è stato un vero e proprio regalo da parte di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Una benedizione del lavoro”.
Luca Marinelli, che interpreta Pietro, ha invece detto parlando de Le otto montagne: “Per quanto mi riguarda vita e lavoro si sommano e confondono continuamente. Mettere i pensieri in ordine per me è complesso, preferisco riflettere e magari scrivere. Così come Alessandro anche io considero il lavoro una benedizione, un regalo. Per me lavorare nel cinema e nella creatività cinematografica significa seguire una direzione, guardare e chiedere qualcosa in avanti e attendersi una risposta dal cammino. Qualsiasi cosa questo voglia dire. Il luogo e approccio naturale per questo film comunque non potevano che essere la natura e il cammino in essa e credo che l’unico modo possibile per fruire di quest’esperienza sia la sala cinematografica come esperienza di condivisione pazzesca nel bene e nel male. Un’esperienza sociale sempre più importante ed eternamente meravigliosa”.
Parlando dell’amicizia, Alessandro Borghi ha svelato di confondere spesso il confine tra amore e amicizia. “Questo perché mi è accaduto nel corso del tempo di aver confuso l’una e l’altra cosa, innamorandomi di qualcuno che mi era amico e che non provava per me quell’altro sentimento di natura simile e allo stesso tempo opposta. Se rifletto sull’amicizia che mi lega a Luca invece mi viene da pensare che nonostante la nostra conoscenza vada avanti da sette anni, siamo due amici che vivono molto distanti l’uno dall’altro (Borghi a Roma, Marinelli a Berlino) e che nonostante tutto non possono che considerarsi dei vicini di casa. Non dobbiamo spiegarci niente tra noi, non ci giudichiamo e ridiamo dei reciproci difetti e differenza senza alcuna paura. Così come quella tra Pietro e Bruno, anche la nostra è un’amicizia che resiste ai colpi del tempo e che nonostante i drammi e gli accadimenti resta lì, salda”
È del suo stesso parere Luca Marinelli, che risponde con ironia dicendo: “Se lo domandate a me invece vi rispondo che l’amicizia è un apostrofo rosa tra le parole Ci-Sono. A parte gli scherzi, l’esserci è quello che considero più importante e decisivo. Questa è l’amicizia, l’esserci sempre, nonostante tutto. Penso per esempio ad una scena del film, nella quale Pietro (Io) è in Nepal e riceve una chiamata dall’amico della vita Bruno (Alessandro) e nonostante i due non si vedano da tempo, a seguito di conflitti, incomprensioni e classici accadimenti della vita, lo scambio tra loro è più o meno questo: Vuoi che torno? Sarebbe bello”.
Interessante, inoltre, la considerazione fatta da Alessandro Borghi sul cinema italiano: “Quasi tutto il cinema italiano, così come anche il cinema americano tendono a ricostruire grazie alla magnificenza e incredibile tecnologia dei VFX interi luoghi e scenari, tanto rispetto agli esterni, quanto agli interni. È stata una sorpresa lavorare a questo film sapendo che nulla sarebbe stato ricostruito, e che avremmo condotto tutti insieme un lavoro solido di ricerca del realismo, girando concretamente in quei luoghi, sfidando la montagna e interfacciandoci con quella realtà, quel freddo e quei silenzi. È qualcosa che da attore vivi nel profondo, che ti entra dentro e ti aiuta moltissimo. Non c’è mai una simulazione dell’emotività, c’è realtà. Il mio ricordo più bello comunque resta quello del provino fatto per l’ottenimento della parte di Bruno. Una delle esperienze più belle della mia vita perché sapevo che ad attendermi lì, a farmi da spalla ci sarebbe stato il mio amico Luca Marinelli. Un amico che ti fa da spalla ti permette di vivere quel momento restando tranquillo, senza agitarti mai, dandoti anzi sicurezza e conforto. Un’esperienza che considero simile a quella avuta per Non essere cattivo, dove la mia spalla fu Valerio Mastandrea, un altro grande amico”.
L’autore Paolo Cognetti sul rapporto con i registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch
Durante la conferenza ha preso la parola anche Paolo Cognetti, autore del romanzo da cui è tratto il libro. Lo scrittore ha dichiarato di non essere spaventato all’idea della trasposizione, ma ciò che gli premeva era “incontrarsi umanamente con gli autori del film”. Ha poi continuato dicendo: “Considero il cinema come un mondo a me distante, perché troppo pieno di ego. Perciò trascorrere molto tempo insieme con Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch in montagna è stato di grande aiuto, ha abbattuto l’ego e il timore della distanza umana e spirituale. Camminare in montagna è qualcosa di molto potente per la vita e per sé. È un’esperienza che conosco profondamente e che mi ha aiutato in primo luogo a vincermi, superandomi e migliorando me stesso di continuo. Noi abbiamo cercato insieme tutti i luoghi del film attraversandoli fisicamente e vivendo quella fatica. Un rapporto poi che è nato un po’ a sorpresa è stato con Luca Marinelli, che in qualche modo ho addestrato e allenato, portandolo con me sulle montagne. Così è nato il nostro legame e rapporto, con le camminate, la chitarra, il vino, le cene e tutto il tempo trascorso insieme. Quando rivedo il film (e l’ho visto ormai molte volte) lo ricollego un po’ alla baita che Pietro e Bruno mantengono solo per loro due, per sentirsi al sicuro e avere un loro posto nel mondo. Questo film per me è proprio quella baita, un’opera creata in amicizia e un rifugio a cui tornare nei momenti di sconforto e del bisogno. Un rifugio fermo, immobile, che resta lì, nonostante le crepe e i segni del tempo. Un qualcosa di incredibilmente saldo, proprio come l’amicizia reale”
Le otto montagne: cosa pensa il resto del cast?
Filippo Timi: “Interpretare un padre è stato bello e spaventoso allo stesso tempo. Qui poi non faccio il padre di un solo ragazzo, sono padre di due ragazzi, che diventano uomini nel tempo e riflettono sulla propria condizione di figli legandola alle conseguenze di quel rapporto paterno forse non così idilliaco ed emotivamente corretto. In ogni caso aver interpretato il padre di Alessandro Borghi per me è stato folle e assurdo, io amo Alessandro, lo vorrei sposare domani e il guaio a quel punto sarebbe se lui mi rispondesse di sì”.
Elena Lietti parla del rapporto con Filippo Timi, a cui la lega un’amicizia decennale: “Interpretare Francesca Guasti per me è stato magico. Recitare poi il matrimonio con Filippo Timi che conosco da quindici anni avendo lavorato insieme per moltissimo tempo a teatro e poi ne cinema mi ha permesso di non dover ricreare nulla attraverso la finzione di un legame in realtà inesistente. Non ci dovevamo riconoscere, non dovevamo recitare quell’intimità, perché c’era già tutto, era reale, ci apparteneva. Fantastico”
Per Elisabetta Mazzullo il film segna invece l’esordio sul grande schermo: “Questa prima esperienza da attrice è stata certamente di altissimo livello. Lara, il personaggio che interpreto è così interessante, conflittuale e scomoda per certi versi. Una donna che si realizza attraverso gli uomini che ama, che emula, pur non trovando mai realmente una piena soddisfazione, piuttosto che una via chiara e definita. Non c’è una vocazione che la porti a condurre una vita solida. Sbaglia e prova ancora e ancora. Io ho trascorso dieci giorni in montagna con Paolo e con Charlotte e Felix a fare tutto quello che i montanari fanno e sentirsi parte appieno fin da subito di un progetto come questo non era scontato. Un progetto che soprattutto aveva a che fare totalmente con la vita e delle scelte umane così profonde e radicali. In più non avere paranoie grazie a questa accoglienza lavorativa incredibile mi ha permesso di entrare nel vivo del personaggio e nel mondo del film senza il timore di sbagliare e di non essere abbastanza. Le difficoltà però ci sono state, mi basta pensare alla scelta autoriale (e lavorativa) di Felix e Charlotte che hanno scelto volutamente di non dare alcuna indicazione precisa, preferendo il silenzio, l’ascolto, la ricerca degli odori, dando perciò meno peso alle parole, e per un’attrice alla sua prima prova questa scelta sembrava davvero singolare e complessa. Spero di esserci riuscita”.
Infine non mancano le dichiarazioni di Massimiliano Orfei (Amministratore Delegato di Vision Distribution) in merito alla promozione del film, che ha definito “un vero gioiello”, motivo per cui la distribuzione gli ha dedicato “il corridoio distributivo più importante, quello natalizio, superando le 400 sale, il massimo dell’uscita commerciale in questo paese. Proporre al pubblico durante le festività un’alternativa alla commedia larga o al fantasy o superhero movie di turno ci sembrava qualcosa di doveroso e interessante. Le otto montagne è un cinema differente, di qualità e di peso. La ragion d’essere del cinema stesso è dare importanza a questo genere di film e alla loro portata simbolica ed emotiva”.
Sul rapporto con i registi ha invece svelato: “Tutti erano convinti che Felix volesse fare il film da solo girandolo in America. Senza Charlotte, affronta l’operazione in autonomia e solitudine. In realtà fin da subito l’idea era quella di lavorare al film insieme, visitando e vivendo i luoghi del romanzo, in Italia, nella volontà totale di girare lì e non altrove. Loro due sono saliti in montagna da soli, in camper, pur di conoscere quei luoghi e quella cultura a fondo, imparandola nel dettaglio. Hanno condotto una vera e propria ricerca linguistica, di variazioni, villaggi, cadenze e non solo. Questo amore per la ricerca dà l’idea io credo della bellezza creativa e del peso notevole di questo film. La volontà di stare personalmente a contatto con le stagioni che i personaggi e poi gli interpreti avrebbero affrontato, per poter conoscere eventualmente tutti quei classici impedimenti di regia che fanno parte del loro mestiere. Un lavoro incredibilmente minuzioso e attento. Quello che più mi ha sorpreso della loro ricerca è stata però una riflessione condotta e poi spiegatami in un secondo tempo e cioè che ad ogni persona sarebbe corrisposta una quota, una scala emotiva e sociale ben definita, legate alla quota della montagna. Molto interessante”.