LFFEC17 – Willem Dafoe incontra il pubblico: “io sono interessato alla tensione emotiva della recitazione”
Il resoconto dell'incontro del celebre attore americano Willem Dafoe con il pubblico del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2017.
Il Lucca Film Festival e Europa Cinema 2017 ha ospitato una lunga e particolarmente interessante conversazione con Willem Dafoe, celebre attore americano che nel corso della manifestazione sarà omaggiato anche con un premio per la sua memorabile carriera. Nel corso del dibattito moderato dal direttore del Lucca Comics & Games Emanuele Vietina e dal giornalista Gianluca Pulsoni, l’attore ha ripercorso le tappe principali della sua carriera e sviscerato la sua passione per l’arte recitativa a 360°, passando per cinema, teatro, e doppiaggio.
La prima tematica su cui si è espresso Willem Dafoe è stata la differenza fra il mestiere di attore al teatro e al cinema, dopo essere stato imbeccato con l’opinione in merito di Vittorio Gassman, ovvero: nel teatro si recita, nel cinema bisogna essere. L’attore ha dichiarato:
Non sono d’accordo con questa citazione. Noi come attori conosciamo bene le differenze fra i mezzi con cui ci confrontiamo, e il motivo per cui non sono d’accordo è che l’essere a teatro è altrettanto importante. A teatro ci confrontiamo con la recitazione tutte le sere, e per certi versi è come se la rianimassimo dalla morte. Nel cinema c’è più flessibilità, perché non devi riproporre sempre la stessa cosa. Nel film si tratta di catturare un momento, nel teatro di farlo rivivere. Nel teatro sei padrone dei tuoi ritmi, mentre nel cinema il ritmo è dettato dal montaggio.
Willem Dafoe ha poi così parlato a proposito del suo difficile rapporto con le riprese in digitale:
Il digitale fa perdere l’emozione dell’immediatezza del ciak. Filmare in digitale consente agli attori di essere più rilassati, la ricerca è meno spasmodica perché non sei preoccupato di sprecare pellicola. Puoi rigirare la scena più volte e con calma. Può essere un vantaggio per la naturalezza della recitazione, ma questo a me non interessa: io sono interessato alla tensione creativa della recitazione.
Successivamente, l’attore ha parlato del suo metodo recitativo e dell’evoluzione della propria professionalità:
Io in verità non ho un vero e proprio metodo. Per ogni progetto che intraprendo la ricerca è completamente diversa. A volte devi cercare qualcosa, altre volte sai già cosa stai cercando. Essere un attore è sempre diverso in ogni evento. Io sono una persona semplice e non ho imparato molto, so solo che quando sono stato in scena ci sono stato già. Questo è un mestiere che rafforza la fiducia in se stessi, devi essere pronto a ricevere quello che il pubblico ti dà per poi restituirlo. Quando sei più giovane hai ambizioni diverse. Io sono meno ambizioso rispetto a prima per quanto concerne la mia carriera, e più ambizioso riguardo a cosa voglio che nutra il mio spirito, cosa mi fa andare avanti e cosa invece posso lasciare perdere.
Willem Dafoe ha poi parlato del suo rapporto lavorativo con alcuni celebri registi:
Baso gran parte delle mie scelte sull’attrazione che provo per un regista, perché io sono lì per servire loro. Può sembrare un atteggiamento debole, ma per me è importante ascoltare ogni regista e capire cosa vogliono da me. Michael Cimino mi ha licenziato perché stavo ridendo per una barzelletta dietro le quinte. Con Paul Schrader ho lavorato 5-6 volte. È una persona molto formale. Durante il primo film insieme non mi parlava mai, al punto che mi stava mandando in paranoia. Un giorno venne da me e mi disse “non ti sto dicendo molto perché stai facendo un buon lavoro, continua così”.
Con Walter Hill mi sono divertito tantissimo. Strade di fuoco è stato il mio primo film con un grande studio, e lui voleva che io recitassi lo stesso ruolo che avevo precedentemente interpretato in The Loveless di Kathryn Bigelow, ma in un contesto diverso; aveva fatto una lista delle cose che amava del cinema da ragazzo, come baci sotto la pioggia e sparatorie, e ogni volta che inseriva una di queste cose in un suo film la spuntava dalla lista. Con Martin Scorsese ho girato L’ultima tentazione di Cristo. È stata un’esperienza molto importante per me, perché mi ha chiesto molto. Interpretare Gesù era un lavoro di grande responsabilità, ma ho dovuto imparare a lasciare fuori la responsabilità e a convincermi che non stavo recitando il vero Gesù, ma un nostro Gesù, che rifletteva il punto di vista del regista.
Dafoe è poi intervenuto sul discusso ruolo della censura nel cinema americano e sulle preoccupazioni di possibili limitazioni della libertà con la nuova amministrazione Trump:
Sulla censura non ho molto da dire, perché non mi tocca da vicino. Non penso che in questo periodo si stiano censurando film, sono più preoccupato dalla distribuzione. Credo che la censura possa presentarsi sotto molte forme diverse. La censura che condividiamo tutti è basata sulla commercializzazione, e non dipende da Trump. I film sono una forma d’arte popolare, e la televisione sta sempre più determinando la direzione dell’industia cinematografica. Spesso vengono creati film fatti su misura del pubblico, e questo non promuove lo spirito indipendente. Questo non vuol dire che la censura non esista, per cui dobbiamo sempre e comunque rimanere vigili a proposito.
Willem Dafoe ha disquisito sulla sua esperienza in ambito videoludico con Beyond: Due anime, videogioco ideato da David Cage a cui l’attore ha prestato voce e volto tramite la tecnica della motion capture:
Io non conosco i videogame. Ne ho fatto uno ed è stata una grande esperienza. David Cage è una grande persona con cui lavorare. Pensa in maniera indipendente, e voleva creare qualcosa di personale e per cui lui stesso era curioso. Non mi sono mai sentito libero quanto durante la lavorazione di Beyond: Due anime. I ritmi erano veloci, e il nostro lavoro di motion capture era collezionare materiale su cui potessero poi lavorare gli animatori. Un attore deve essere pronto a dare via quello che ha generato. Deve fare un passaggio di testimone e permettere a quello che ha creato di diventare qualcosa di diverso. Ciò che è veramente importante è essere tutt’uno col materiale ed essere in ogni momento integerrimi. L’attore non deve pensare ai suoi bisogni, un attore si deve perdere nel recitare.
Si è poi passati a parlare delle sue collaborazioni con Oliver Stone, altra leggenda del cinema omaggiata in quest’edizione del Lucca Film Festival:
Ho lavorato con Oliver Stone in Platoon e Nato il quattro luglio. Platoon è stato un’esperienza meravigliosa, mentre in Nato il quattro luglio avevo un ruolo più piccolo. Vedo i due film come parti dello stesso racconto sull’epopea del Vietnam: come se uno dei ragazzi sopravvissuti a Platoon venisse proiettato nel futuro in Nato il quattro luglio.
Willem Dafoe si è poi così espresso a proposito di altri interpreti che lui ammira e che vede come modelli di riferimento:
Non ho modelli, ma ci sono attori che vado a vedere quando fanno nuovi film, come Isabelle Huppert che seguo sia al cinema che in teatro. Fare una lista è difficile, perché fare un film è prima di tutto un atto collaborativo. Ci sono attori che ti danno piacere quando li vedi perché non stanno facendo cavolate, ma mi chiedo: è possibile avere una performance buona in un brutto film? Secondo me no, perché l’attore deve essere al servizio del film. Può essere piacevole, coraggioso e scintillante, ma se non serve per il film è più un esercizio che altro. Ci può però essere una cattiva performance in un bel film!
L’attoreha anche parlato del suo rapporto con l’Italia, senza risparmiare una stoccata alla tendenza tipicamente nostrana del doppiaggio:
Ho girato molti film in italia, per alcuni film italiani, per altri internazionali e per altri ancora statunitensi. Adoro lavorare con i tecnici italiani, che in alcuni campi sono i migliori del mondo, deve essere una cosa genetica. So che andate fieri della vostra tradizione nel doppiaggio, ma tutte le volte che sento la parola doppiaggio mi vengono i brividi, perché per me il doppiaggio uccide un film. Per quanto riguarda invece il prestare la voce a personaggi animati, devo dire che ho avuto molta soddisfazione. Devi fare una cosa molto specifica, e col regista si sviluppa una specie di ping pong, in cui lui ti chiede di fare una cosa e tu rispondi cambiando dinamica, modulazione della voce. Il non utilizzare il corpo non significa che tu non stia mettendo tutto il tuo corpo nella cosa, è un’attività molto simile al canto.
Willem Dafoe è stato poi interrogato dal pubblico a proposito di Mississippi Burning e del suo rapporto con Gene Hackman. L’attore ha cosi dichiarato:
Gene Hackman è un gigante. Io accettai il ruolo in Mississippi Burning proprio per poter lavorare con lui, perché quando lessi la sceneggiatura il mio ruolo non era così importante, anche se poi si è rivelato più interessante di quanto mi aspettassi. A me piacciono gli attori che ti fanno sentire di non trovarti di fronte a un attore, ma davanti a una persona, e Gene Hackman è uno di questi.
Dafoe ha poi parlato del suo rapporto con Wim Wenders durante la lavorazione di Così lontano, così vicino:
Wim Wenders sapeva quello che stava facendo? Assolutamente sì. Sapeva cosa stava ricercando? Chi lo sa. È stata un’esperienza molto stimolante. Eravamo a Berlino quando era appena crollato il muro. Anche se questo film non è poetico quanto Il cielo sopra Berlino, Wim è riuscito a catturare lo spirito che aleggiava sulla città in quel momento. Avevamo parlato per diversi anni di collaborare insieme, ma non ce n’era ancora stata l’occasione.
Una delle cose che ho amato più di tutte è stata la possibilità di lavorare in una cultura diversa dalla mia, e studiare altro rispetto a quello che già conoscevo, cosa che poi è successo anche nella mia vita personale: vi ricordo che io ho un passaporto italiano! È stato bello stare in Germania in quel periodo di gioia, in cui le due nazioni si sono riunificate e hanno unito le loro potenzialità. L’identità è un concetto estremamente flessibile che si può sintetizzare nella frase: se salti nel fiume, ti bagni.
Willem Dafoe è poi ritornato sulla sua concezione di metodo recitativo, che in passato ha riassunto con la massima I like to disappear, ovvero Mi piace sparire:
Credo che questa frase spesso sia mal interpretata. L’attore deve sparire, ma sparire in qualcos’altro. Deve darsi completamente al ruolo. Molti anni fa mi hanno insegnato la differenza fra fare e apparire. Padre di mia moglie Giada Colagrande per esempio è un film fatto in casa. Lei è anche l’attrice principale, chi ha aiutato a scrivere la storia è un medico, Franco Battiato recita insieme ad altri attori. Per me l’obbiettivo principale era non puzzare di attore. Quando parlo di sparire non sto parlando di naturalezza. Un attore deve comunque conservare le sue capacità. La cosa più importante è il ruolo che dai al tuo ego. Devi illudere te stesso, come quando ci si innamora, che faresti qualsiasi cosa per la causa, e perdere in qualche modo la tua identità.
L’incontro si è concluso col racconto della sua esperienza a teatro con Robert Wilson e Mikhail Baryshnikov in The Old Woman:
Lavorare con Baryshnikov è stata una grande esperienza. Lui e Bob mi chiesero di partecipare al film e di ballare insieme. Siamo simili come struttura fisica quindi quando recitiamo insieme sembriamo proprio due gemelli. Con Bob Wilson avevo già lavorato, mi è piaciuto molto lavorare di nuovo con lui. Il suo linguaggio è molto teatrale, e alcuni attori si sentono oppressi da lui. Ma se tu ti apri e ti abbandoni al linguaggio, esso ti libera. C’è sempre un conflitto fra struttura e abbandono: se ti avvicini troppo alla struttura diventi sterile, se ti avvicini tropo all’abbandono tutto diventa senza forma, quindi devi negoziare fra questi due poli.