Lorenzo Parrotto si racconta: dall’incontro con Pilar Fogliati all’amore per il cinema “un bellissimo esercizio di problem solving”
Intervista al giovane attore romano che fa parte del cast di Romantiche di Pilar Fogliati e vedremo prossimamente protagonista del film Gli altri.
Romano, classe 1993, diplomato all’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, Lorenzo Parrotto è uno tra i più promettenti attori della nuova generazione teatrale (e non solo). Ha partecipato a diverse produzioni diretto da maestri come Roberto Andò (Ferito a morte), Massimo Popolizio (Ragazzi di vita), Lorenzo Salveti, Massimiliano Farau, Giorgio Barberio Corsetti, Galatea Ranzi e Massimiliano Civica, per citarne alcuni, e da poco è cominciata per lui anche l’“avventura” al cinema nella commedia di successo diretta e interpretata da Pilar Fogliati, Romantiche. Prossimamente lo vedremo come protagonista di Gli altri di Daniele Salvo che verrà presentato in concorso in anteprima al Bif&st–Bari International Film&Tv Festival (24 marzo-1° aprile 2023).
La nostra intervista all’attore Lorenzo Parrotto
Sei reduce dal successo dello spettacolo teatrale Ferito a morte diretto da Roberto Andò, e tratto dall’omonimo romanzo di Raffaele La Capria, adattato per la scena da Emanuele Trevi, com’è andata questa esperienza?
“È andata molto bene, siamo partiti da Napoli dove il romanzo di La Capria è un cult, perché ha parlato di questa città in un modo che ha ispirato anche tanta cinematografia, e abbiamo conquistato anche il pubblico in altri posti. Per la prima volta con Trevi si è adattato un testo che fino a quel momento non era stato affrontato in un modo così importante, ognuno ha trovato le sue suggestioni e i suoi rimandi, è un testo che tratta dell’abbandono di casa, di un tradimento per poter crescere, che è un po’ quello che Sorrentino racconta in È stata la mano di Dio, ognuno poteva rivedersi in una parte dello spettacolo”.
Come fanno tutte le grandi opere che riescono a parlare a molti, a essere universali anche se lontane da noi….
“Sì, anche se spesso non lo fanno subito, secondo me bisogna comunque dare tempo a un’opera, non tutte possono essere di comprensione o di accoglienza immediata. C’è un tempo per tutto e secondo me questo vale anche per Ferito a morte.”
Come è stato lavorare con un maestro come Roberto Andò?
“Roberto Andò io lo definisco un galantuomo, in tutti i sensi, il suo è stato un continuo invito, lui aveva chiara la situazione, ma era come se ti tendesse sempre la mano e ti chiedesse “ti va di andare lì con me? Di andare verso quella direzione insieme?”. Ha dato molte responsabilità a noi attori. Per me è stato interessante passare da Andrea De Rosa e Massimo Popolizio a un regista che ragiona anche cinematograficamente, ragiona per immagini, è incredibile come anche la scenografia era settata in questo senso. È stato davvero interessante tradurre in atto quello che lui intendeva anche a livello visivo. Spero veramente di poterci lavorare di nuovo”.
Lorenzo Parrotto e l’emozione di lavorare con Pilar Fogliati in Romantiche
Dopo tanto teatro hai recentemente esordito al cinema nel primo film da regista di Pilar Fogliati, Romantiche, che sta raccogliendo ampi consensi…
“È inutile nascondere l’emozione, toccavo il cielo con un dito sia sul set sia quando Pilar dopo mi ha chiamato per dirmi che era andata bene. Poi rincontrare una persona che avevo conosciuto in Accademia, vederla e “vederci crescere” è stato bellissimo. È stato difficile non ridere sul set, ridevano pure i tecnici per quanto Pilar sia brava. Bisogna essere sempre grati perché ci sono tanti professionisti, tanti colleghi che per un motivo o per un altro non riescono ad accedere a questo tipo di mondo ed è un peccato, perché abbiamo tanto da dire e tanto da dare, e Pilar ne è la dimostrazione. Pilar è la dimostrazione che esistono giovani attori e registi di talento. Tantissimi colleghi non combattono per avere una grande carriera, ma combattono per avere un’occasione. Io vorrei dire a chi ha la responsabilità di una produzione, a chi decide, di provare a rischiare e a investire perché secondo me il ritorno è tantissimo. Come ha fatto Giovanni Veronesi con Pilar”.
E com’è questo mondo del cinema rispetto a quello del teatro?
“È rapido, forsennato, è collaborazione pura, mille reparti, albe, ore piccole, tutto per quel minuto dopo il ciak, quindi è riuscire a incanalare tutte le tue energie in quei 60 secondi, e dietro quei 60 secondi c’è l’edizione, i costumi, i provini, la memoria, lo studio del personaggio, lo studio del testo, il rapporto con il collega, il trucco più o meno lungo. Il teatro è il contrario, quindi c’è una dilatazione del tempo di prova per poi magari concentrare tutto in una settimana di repliche, magari. Il cinema è un bellissimo esercizio di problem solving, nel senso che meno problemi crei più il lavoro riesce, è un continuo voltare pagina, è un continuo provare a risolvere un problema di scrittura o scenico”.
Al Bif&st di Bari verrà presentato invece il tuo primo film da protagonista, Gli altri, opera prima di Daniele Salvo, cosa mi puoi raccontare a riguardo?
“Il film è stato apprezzatissimo dalla direzione artistica del festival ed è stato preso in concorso, quindi noi siamo felicissimi. Daniele Salvo per anni è stato attore e primo assistente di Luca Ronconi, quindi anche qui c’è una mistura di linguaggi che mi suonano familiari. E poi devo assolutamente citare Ida Di Benedetto nelle vesti di produttrice e attrice, è stata proprio come una madre sul set. È un film ambientato negli anni ’50, in un non luogo, e ha a che fare con l’identità, un’identità che potrebbe essere stata rubata, è la storia di due gemelli, e io interpreto entrambi, uno dei due sul letto di morte per polmonite fa il nome di una donna, Amelia, un’anziana signora. Il film è un continuo tentativo di capire cosa sia successo tra i due, e quindi si parla di destini, amori e identità incrociate, è un domino, un giallo. E poi ho accanto attori del calibro di Gianfranco Gallo, Peppe Servillo, c’è solo da imparare da loro. Sono molto emozionato perché probabilmente metterò lo smoking che mi regalò mia nonna, mi disse: “Questo lo indosserai per il tuo primo film da protagonista”. Purtroppo lei non c’è più, però la promessa forse la dovrò mantenere”.
Tornando alle tue origini cosa o chi ti ha ispirato, e quando hai capito che volevi fare l’attore?
“Io penso sempre che il confronto con gli altri sia quello che ci determina, quindi non sono io in quanto io ma io insieme ad altre persone, quindi a incontri, tradizioni, costumi, valori, esperienze, contesti, situazioni diverse. Io sin da piccolo ho sempre percepito una bellissima sensazione, qualcosa di inspiegabile, nel momento in cui raccontavo delle storie, nel momento in cui leggevo, nel momento in cui provavo a essere qualcun altro. Appena ho finito il liceo sono andato subito da Laura Jacobbi, che è la mia maestra d’arte, di vita, da cui torno per qualsiasi dubbio, anche d’amore, i maestri veri sono questi. Grazie a lei sono riuscito a entrare in Accademia al secondo tentativo. La mia era una fiammella che doveva essere alimentata”.
Tornando al cinema, quali registi apprezzi maggiormente e con chi ti piacerebbe lavorare in futuro?
“Amo moltissimo il cinema di Gabriele Mainetti, di Marco Bellocchio e di Alice Rohrwacher, e devo dire che l’ultimo film di Roberto Andò (La stranezza) mi ha davvero entusiasmato. Al livello internazionale poi il sogno di una vita è Christopher Nolan, oltre a Ken Loach, Adam McKay e Tim Burton”.