Luca Guadagnino si racconta, da Melissa P. a Chiamami col tuo nome e Suspiria
Il regista, produttore e autore Luca Guadagnino, padre di pellicole come Melissa P. Chiamami col tuo nome, a A Bigger Splash, si racconta a Castiglioncello.
Anche quest’anno, giunta alla sua XIV edizione, si è tenuta la rassegna Parlare di Cinema a Castiglioncello, breve ma intensa triade di giorni che dal 14 al 16 giugno ha visto il comune livornese ospitare in un clima estivo e rilassato uno tra i nomi più significativi del panorama italiano, Luca Guadagnino. La direzione artistica di Paolo Mereghetti si propone ancora una volta di dare un’acuta istantanea delle voci che per il cinema hanno fatto la storia e che si vedono al centro di un contemporaneo rinvigorimento dei suoi mezzi. Luca Guadagnino, che proprio quest’anno è stato celebrato per Chiamami col tuo nome (a suo modo protagonista di una piccola rivoluzione italiana), è senz’altro un autore che sullo stato del cinema nazionale attuale e del suo futuro ha molto da dire.
Nella verde cornice di un caffè letterario prende il via l’incontro tra il critico e l’autore; insieme a lui, il collaboratore di sempre Walter Fasano, nonché montatore e co-sceneggiatore del suo ultimo film. Molteplici sono le vesti che Guadagnino ha indossato all’interno dell’ambiente cinematografico negli ultimi vent’anni: si parla spesso di regia, di autorialità, ma l’attività di produttore?.
Luca Guadagnino si racconta, da Melissa P. al successo di Chiamami col tuo nome
“Come produttore dei miei film, ho capito che non riesco ad essere soddisfatto di quello che faccio se non ho il controllo assoluto; l’altra passione che ho sono i registi, mi piace l’idea di poter essere al servizio di quest’ultimi”. Si portano alla memoria le esperienze produttive che lo vedono collaborare con Asia Argento per il suo cortometraggio Delfinasia (2007), ma anche produzioni più grosse come il documentario di Franco Maresco, Belluscone (2014), mentre Guadagnino ricorda con orgoglio di aver prodotto il cortometraggio del regista coreano Park Chan-wook, A Rose Reborn (2014).
Meno felice, invece, la querelle produttiva che lo investì nel 2005 durante la lavorazione di Melissa P., episodio cinematografico non completamente a fuoco che senz’altro segna una prima battuta di arresto. “Nonostante le difficoltà estreme di quella produzione, credevamo di essere riusciti a gestire il film, e infatti c’era una versione che non ha mai visto la luce di cui noi eravamo contenti. Ahimè, proprio perché dovevamo lavorare con una produttrice esordiente che era Francesca Neri, la quale aveva trovato i soldi da una major hollywoodiana che era la Sony, di fronte allo scontro di visioni noi fummo costretti a capitombolare e il risultato è il film che avete visto, che è altamente compromissorio di ciò che credo eravamo riusciti a fare, però è la vita…”.
Leggi anche Chiamami col tuo nome: la recensione del film
Per quanto semplice, nemmeno il percorso di Chiamami col tuo nome è stato totalmente indenne da incursioni esterne, tanto che, come ricorda Fasano, “C’è stata una fase in cui abbiamo incamerato commenti: Luca è in ascolto e generoso verso i produttori, ma poi li abbiamo sentiti dire una tale messe di scempiaggini che abbiamo deciso di chiudere le barricate e consegnare un film finito». Fasano e Guadagnino si conoscono da venticinque anni, si potrebbe dire che non esiste un progetto per il quale non abbiano lavorato insieme. La libertà espressiva che il regista dà è ricambiata dalla capacità dei suoi collaboratori di correre su binari che egli stesso è stato in grado di gettare, sebbene Fasano giochi spesso al rilancio, proponendo qualcosa di «più Guadagnino di Guadagnino”.
Anche sul concetto di paternità dell’opera il regista tiene a specificare come l’idea tutta europea dell’autorialità legata alla scrittura della sceneggiatura sia “una sorta di bestemmia nella chiesa del cinema. Si possono fare dei film che sono straordinari , ma che sono ripetizione di storie già viste. Vedi Otello di Orson Welles: il film è un capolavoro, eppure è tratto da un’opera famosissima già messa in scena mille volte”.
In quest’ottica, l’attrazione che lo spinge alla rielaborazione cinematografica, avvicinabile a una pratica audace, guardata spesso con sospetto, come il “remake”, acquista completamente senso. Nessun timore reverenziale, se non il necessario per approcciarvisi con rispetto. A Bigger Splash (2015), ispirato a La Piscina (1969) di Jacques Deray e l’imminente, ancor più spregiudicato e coraggioso, Suspiria, letteralmente figlio del suo amore di gioventù per il maestro dell’horror Dario Argento. “La differenza è che io ho sempre trovato La Piscine un film piuttosto brutto e triviale, e ho pensato di provare a rifarlo sotto la prospettiva di tutti quei critici nouvelle-vagisti che criticavano il film all’epoca; mentre ammiro profondamente il film di Argento, anzi, sono cresciuto nella leggenda di questo regista, avevo dieci anni quando vidi il poster di Suspiria e tredici quando guardai il film”. Ad interessare Guadagnino è anche tutto il contesto storico-sociale del 1977, ciò che il film portava con sé, le sue evocazioni, i rimandi e le ispirazioni, gli anni di piombo e il femminismo radicale, tutti elementi ai quali vuole portare omaggio e che ha conservato nel suo film. “Ci saranno tutti”, spiega Guadagnino. “È un film estremo, per niente riconciliato. Un film bombarolo”.
Leggi anche Chiamami Col Tuo Nome dove è stato girato? Le location del film di Luca Guadagnino
La sua vocazione arriva presto: a otto anni inizia a girare filmini in Super 8, poi in VHS, “credo di aver provato tutti i formati tranne il 70mm, forse un giorno”, dice con tono sognante. L’ambizione lo spinge verso un’identità artistica per nulla incerta, come ricorda Fasano: “Quando ci siamo conosciuti a 23-24 anni, Luca mi disse ‘io fra qualche anno voglio fare film internazionali con attori internazionali come Bertolucci'”. Questo gli permette una divagazione sul cinema commerciale e sui Cinecomic di prima generazione. “Non credo di poter dirigere Spider-man 3, ma forse Spider-man 4”, le sue parole all’epoca dell’uscita della trilogia di Sam Raimi. “Il suo secondo Spider-man era un capolavoro. Anche Batman Returns era un film magnifico. Non penso di poter dire la stessa cosa [dei cinecomic di] adesso”.
Luca Guadagnino e l’incontro con Tilda Swinton
Con l’ambizione, la virtù di sapere guardare lontano, con pazienza, “una capacità di attesa da samurai”, continua Fasano. “Quando conobbe Tilda (Swinton) nel 1994, è stato per 2-3 mesi a Londra da solo in attesa di una sua risposta che non arrivava e con le pressioni della produzione. Io ero il suo aiuto regista, da lui poi definito ‘il peggior aiuto regista che io abbia mai avuto’. Ai tempi ci scrivevamo lettere, un giorno mi spedì un messaggio da dare alla troupe a Roma, ‘sono convinto che il film si farà’, e infatti un paio di mesi e Tilda disse di sì”. Cinque anni dopo uscì infatti il suo esordio nel lungometraggio, The Protagonists, cast internazionale, anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1999.
Negli anni ha maturato e consolidato un’idea di regia molto forte. Anche in Chiamami col tuo nome sono state operate delle scelte quantomeno azzardate, o atipiche. Esemplare la scena d’amore notturna tra Elio e Oliver. “Non ha nulla a che vedere con una forma di autocensura. A me piaceva che gli alberi guardassero gli amanti, non che noi guardassimo loro. Essendo un film sull’intimità non trovo che con un rapporto sessuale visto dallo spettatore avremmo potuto comprendere qualcosa di più. Mi piace l’idea che tutto partecipasse all’amore di questi ragazzi”. Una definizione di umanesimo netto nel quale il regista si rispecchia molto. “Tutti i registi che amo sono registi umanisti. Il post-moderno, la forma per la forma, il linguaggio sbriciolato… Anche Brian DePalma, con tutti i suoi eccessi metalinguistici, è un grande regista umanista”.
Alla classica domanda intorno alle predilezioni sul cinema contemporaneo internazionale, Guadagnino non ha dubbi.
“Il più grande regista vivente è Hirokazu Kore’eda (Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes). Un cineasta sublime. Non riesco a capire come faccia i suoi film. Quando non capisco il meccanismo mentale del regista sono conquistato”. La sua essenza iper-formale, insieme all’umanità dei mondi che racconta, coincide con una sintesi rara di quanto è quintessenziale per l’autore. Si snocciolano nomi come Paul Thomas Anderson, R.W. Fassbinder, il regista cinese Jia Zhangke, anch’egli in concorso all’ultima kermesse cannense e il coreano Hong Sang-soo. Quanto alle influenze letterarie, al primo posto i Buddenbrook di Thomas Mann, che lesse da bambino e che continua a rileggere, sperando di poterli, un giorno, traslare in un film. Ma ancora, reminescenze delle teorie sul “genere” della filosofa americana Judith Butler e del suo Bodies that matter si rintracciano facilmente in Chiamami col tuo nome, “i corpi di Elio e Oliver sono corpi che contano in quanto espressione di un desiderio e non possono essere incasellati. Troppe volte le politiche delle comunità LGBTQ hanno costretto, allo stesso modo delle politiche conservatrici-patriarcali, all’applicazione di un’idea specifica. Il desiderio è molto più sfuggente, misterioso”.
Luca Guadagnino parla dei suoi progetti futuri
Riguardo ai suoi progetti futuri, Guadagnino ammette di non essere interessato alla serialità televisiva, né di guardarla, (fatta eccezione per Twin Peaks), “non credo alla storia, soprattutto non credo al dialogo come autosufficiente”. E quando interrogato sul tema principale della rassegna, “Cinema italiano, quale futuro possibile?”, non esita a fornire un ritratto piuttosto disincantato e realista sulla qualità delle produzioni nazionali:
“C’è un certo cinema italiano che purtroppo vive nella sicurezza del proprio metodo e si conserva in una prassi che è un po’ fuori dal mondo. E poi ci sono dei radicali liberi che fanno delle cose bellissime, penso a Comodin (L’estate di Giacomo, 2012). Sogno una riforma per cui le pratiche di finanziamento pubbliche, come in Francia, permettano la fioritura di diversi tipi di cinema. Siamo costretti spesso a film i cui titoli e le cui facce son sempre le stesse. Ma il cinema è un linguaggio politico, e non di una parte politica, come è stato per anni, con una classe che ora è avvizzita insieme ai suoi film. Siamo tutti come un cerbiatto con gli occhi sgranati davanti ai fari di una macchina, bisogna uscire da questa empasse”. Quando è portato a fare i nomi di questi “radicali liberi”, tentenna. “Trovo che Stefano Mordini sia un cineasta molto serio. Pericle Nero era un film sbilanciato, ma che aveva cose molto belle”. Lui stesso, d’altronde, per anni, è stato parzialmente respinto dalla critica italiana, sebbene questo si sia rivelato, in retrospettiva, una fortuna: “una condizione perfetta per lavorare è scomparire. Non esserci è meglio che esserci, per me. Però amo che adesso i rapporti siano sereni”.
Chiamami col tuo nome: le scene inedite del film
E del suo rapporto col cinema? “Io concepisco il cinema come una sorta di comunità di zingari che si muovono con i caravan in giro, come nel film Scarpette rosse. Mi sento un po’ Lermontov”.
In occasione della rassegna e in maniera del tutto generosa, il regista e il suo montatore hanno presentato, al termine della proiezione serale del film, ben due scene inedite selezionate dal materiale eliminato. Nella prima, Elio e Oliver sono protagonisti di una sorta di “schermaglia amorosa” collocata, nel montaggio originale, dopo il loro primo bacio. Nella seconda, invece, un inserto di tenerezza tra i coniugi Annella e il sig. Perlman che, ispirati dalle voci degli amanti in giardino, si sentono risvegliati dagli stessi sentimenti che si erano sopiti. Per adesso, nessuna certezza sulla distribuzione o reperibilità futura di queste scene, ma ci auguriamo che news non tardino ad arrivare.