L’ultimo stop: intervista al regista Massimo Ivan Falsetta
Abbiamo intervistato il regista Massimo Ivan Falsetta in merito al cortometraggio L'ultimo stop, con protagonista Neri Marcoré: il regista ci racconta della sua voglia di dare anche ai più giovani un messaggio di libertà e di piena consapevolezza delle proprie scelte e decisioni.
Il cortometraggio L’ultimo stop del regista Massimo Ivan Falsetta è uno sguardo delicato, ma deciso e intenso, sul tema dell’eutanasia: protagonista è Nicodemo (Neri Marcorè), un uomo sulla sessantina che ha svolto il mestiere di regista per tutta la vita e che trovandosi nella malattia decide di essere lui stesso in prima persona a dare “l’ultimo stop” alla propria esistenza.
Abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda al regista, che ci ha risposto spiegandoci meglio quanto il cinema abbia da raccontare ai giovani, soprattutto abbracciando tematiche di notevole importanza civile e sociale come quella del suicidio assistito.
Il protagonista Nicodemo è un uomo sulla sessantina: pensa che L’ultimo stop abbia qualcosa da raccontare alle nuove generazioni? Secondo lei come si può affrontare questa tematica con i più giovani?
“La stragrande maggioranza di chi decide di recarsi in Svizzera per il suicidio assistito lo fa perché si ritiene inutile e un peso per gli altri. Questa è la riflessione che porta Nicodemo al suo ultimo stop. Ancora poteva fare molto? Certo. Lo diciamo anche nel corto, ma la sua è una scelta libera che trova il mio rispetto, quello della madre nella finzione (Lucia Batassa) e quello del pubblico che finisce alla fine per capirlo. Questo è il grande insegnamento del film: essere liberi di scelta.
Questo può e deve essere ciò che vogliamo raccontare a tutti, giovani soprattutto, perché sgomitino per la loro libertà e per il loro diritto di scelta. Nessuno si preoccupa di quando nasciamo, perché non può essere lo stesso per il fine vita? È chiaro che, come si fa anche oggi in Svizzera, non ci si accede così come si entra al supermercato, ma dopo una attenta analisi valutativa. I giovani oggi sono molto sofferenti per tanti aspetti e mai ci sogneremmo di dire loro di farla finita per motivi socio culturali, ma anche loro un giorno saranno gli anziani del futuro.
Questo è quello che devono capire i giovani. Loro devono essere liberi di scegliere, sempre. La tematica perciò non va affrontata con partigianerie e favori politici, ma intellettualmente da onesti. Bisogna perciò sdoganare la parola “morte” prima di ogni cosa.
Successivamente la cinematografia soprattutto non può mettere sempre la testa sotto la sabbia, ma deve tornare a dare messaggi. Raccontiamo ai giovani più storie vere e meno cazzate, perché loro sono migliori di quanto crediamo.”
Le scenografie de L’ultimo stop sono molto belle e lo sono anche le riprese aeree: rendono un senso di libertà, quella data dalla scelta di Nicodemo, è una scelta stilistica intenzionale?
“Tutto è e deve essere intenzionale nella scelta di un regista, altrimenti non si può definire tale. Quando andiamo in alto c’è il senso di volare. Nicodemo vuole volare. Il viaggio è verso un qualcosa di più ampio, è la sua anima che sceglie, non il suo corpo. Il suo corpo, al contrario, è quella bottiglia del quale parla che si esaurisce in una bella stanza di un hotel elvetico. Questa è la contrapposizione delle scenografie, chiuso come il suo corpo che inevitabilmente ha chiuso la sua anima in un dolore e con questo gesto estremo lui vuole liberarla.”
Se la sentirebbe in futuro di dirigere un lungometraggio con lo stesso tema adattandolo magari a un pubblico di Millennials o della Generazione Z?
“Certo che sì. Mi verrebbe da dire che non vedo l’ora. Ma in Italia non dipende da noi registi, dipende dai produttori o da chi finanzia le opere. L’ultimo stop è pensato per un film a episodi di cui questo è l’ultimo per l’appunto. Sono riuscito a farlo nascere grazie alla lungimiranza di Donatella Busini, una donna forte e illuminata, ma da soli non possiamo portare avanti il resto del progetto.
Io sono anche un piccolo produttore e potrei girare anche solo con dei privati o aziende disposte, anche grazie agli incentivi fiscali, a finanziare il lungometraggio o parte di esso, perché i grandi temi, quello che i nostri padri hanno fatto per noi, oggi dobbiamo farlo noi per i nostri figli. E se i giovani del Duemila o i figli miei che appartengono alla Generazione Z non prendono coscienza che dovranno sgomitare per avere i diritti che non vengono dati o peggio tendono ad essere cancellati, beh il loro futuro non sarà migliore del nostro, come il mio non è migliore di quello che fu di mio padre.
Parlare di eutanasia oggi, è come parlare di aborto, di legalizzazione di droghe leggere, di lotta alla mafia, di diritto alla salute e al benessere, all’accoglienza e ai diritti civili. Non possiamo credere che la narrazione sia solo destinata a puro intrattenimento per ragazzini che vogliono solo condividere gattini e bravate online. I nostri ragazzi se vogliono possono arrivare molto lontano rispetto a noi, hanno più mezzi, ma c’è bisogno ancora di noi registi, che una morale tentiamo di dargliela.
Quindi si, domani senza timori, con coraggio, perché ce ne vuole tanto quando si trattano questi temi, io sarei pronto. La vera domanda però resta, c’è qualcuno che vuole farmi fare questo film?”