Micaela Ramazzotti parla di Naufragi: “La mia protagonista non è una donna fragile”
Con tutta la buona volontà del mondo, riesce davvero complicato immaginarsi un corpo (e un’anima) diversi da quelli di Micaela Ramazzotti per Maria, la complicata e appassionatissima protagonista di Naufragi. Il film è un intenso dramma famigliare diretto da Stefano Chiantini e prodotto da World Video Production e Rai Cinema. Distribuito da Adler Entertainment, sarà disponibile in streaming su AppleTv/iTunes, Google Play, Amazon TVOD, Rakuten e Chili dal 9 luglio 2021, poi su Sky dal 16. Forse, chissà, non si può mai dire, anche in sala.
La storia di una madre che lotta per tenere unita la famiglia, anche quando la vita le si mette paurosamente contro. Con una sola attrice in testa, spiega il regista. “Ho sempre scritto pensando a Micaela. Avevo l’ambizione e la velleità che lei accettasse. Più avanti” prosegue Chiantini, che sceneggia pure “ho avuto modo di conoscerla, e questo mi ha permesso di precisare la scrittura adattandomi a lei. Ho colto aspetti personali di Micaela che conoscevo tramite il suo lavoro: emozione, passione, fragilità”.
Il gusto di Micaela Ramazzotti per i personaggi “nati storti”
In effetti, il mix di passione violenta, carnalità e sfumature vulnerabili caratterizza da sempre il percorso della brava attrice romana, che di Maria ha accettato tutto, ambiguità comprese. Sulle origini della donna dice “potrebbe essere figlia di circensi, o hippie, non la colloco in termini di ceto sociale. Una creatura pura, un animaletto selvatico”. L’ha analizzata a lungo, e quello che ha notato di lei “è che sembra che pensieri, coscienza, comportamento, memoria, identità, niente di tutto questo sia integrato.” C’è qualcosa di anomalo in Maria, dunque, e per Micaela Ramazzotti è proprio questo il punto. “Sembra nata storta, un po’ buona a nulla, si sente inetta. Una bambina, come i suoi figli. Il marito si occupa di tutti e tre, lei manco paga le bollette. Fugge dalle responsabilità sociali. Mi piace concentrarmi su questo tipo di personaggi”.
Con una precisazione doverosa. “Fantasiosa, stravagante, ma non fragile. Cade in ginocchio, ma non a tappeto. Alla fine riesce anche a dare una speranza forte”. Ha parole al miele per il suo regista Stefano Chiantini, di cui ha apprezzato il fatto che “mi ha lasciato molta libertà. Mi sono divertita a girare questo film, c’era un bel clima tra noi, la troupe, tutte le persone che hanno lavorato al film. Nonostante le cose brutte che succedono”. La storia di Maria ha i suoi angoli bui, pure, spiega la protagonista, l’atmosfera non è affatto senza speranza. “Amo il cinema di Lars von Trier e di Cassavetes. Artisti che parlano di debolezze umane. Qui c’è l’elaborazione del lutto, che Stefano ha affrontato piano piano, in un modo dolce. Oserei dire morbido e lieto”.
Nella vita di tutti i giorni Micaela Ramazzotti si definisce “una mamma che ama stare con i suoi figli, vederli crescere. Portarli a esplorare il mondo. Li spio un po’ ma sto cercando di lavorarci” e per le bollette si affida “al bonifico automatico!”. Nella seconda parte del film gioca al gatto con il topo con Marguerite Abouet, scrittrice e fumettista ivoriana. Che, del legame tra le due donne, dice “Hanno in comune un passato doloroso che le ha portate a costruirsi una corazza. Diffidenti. Non hanno fiducia nelle persone. Ma con il loro rapporto superano la sofferenza”.
Naufragi affronta tematiche sociali, ma il focus è sull’esplorazione dell’animo di una donna
La lavorazione del film è troncata a metà dal lockdown della primavera del 2020. Naufragi è il primo film a riprendere dopo l’interruzione pandemica e Stefano Chiantini lo ha girato in ordine cronologico perché “mi metto sempre a disposizione del film. Considero il set un territorio di ricerca”.
Ha girato il film nell’alto Lazio, tra Civitavecchia e Montalto di Castro, ma la collocazione geografica non è definita con chiarezza, e la cosa è intenzionale. “I luoghi del film sono una specie di provincia meccanica, dove il progresso è passato senza diventare mai presente. Il Lazio del film geograficamente è un non luogo. Ma anche un posto dell’anima. Mi piace girare e considerare le località dove mi trovo come fossero teatri di posa. Per questo non uso comparse ma “rubo” dal vivo. Cerco di eliminare la messa in scena e assecondare il progetto”.
Il passato della protagonista resta fumoso, ma per il regista riempire gli spazi bianchi non è mai stata una priorità. “Ho riflettuto sulla solitudine di Maria, sul mondo da cui veniva. Ma non avevo la necessità di raccontare quello che c’era intorno”. Quest’enfasi sulla soggettività della donna è confermata dalla scelta di tenere in secondo piano il versante sociale della storia. Incidenti sul lavoro (capiteranno a Mario Sgueglia, marito di Maria nel film) e il sistema di assistenza sociale nel nostro paese vengono tirati in ballo, ma non prendono il sopravvento. Il pensiero di Stefano Chiantini è chiaro. “Ho raccolto informazioni su entrambi gli argomenti. Che però funzionano da espedienti. Sono marginali, ma credibili. Quello che mi interessava era esplorare l’animo di una donna alle prese con l’elaborazione del lutto, e mostrarne la capacità di resistenza. Volevo raccontare l’emozione dell’animo umano”.