Michael Maggi su Those About to Die: “È la realizzazione di un sogno”
Il giovane interprete fa parte del cast della nuova serie diretta da Roland Emmerich e Marco Kreuzpaintner, con protagonista Anthony Hopkins, disponibile su Amazon Prime Video da venerdì 19 luglio
Come nasce la carriera di un interprete? Come si evolve? Cosa significa inseguire un obbiettivo? A queste e a molte altre domande ha risposto Michael Maggi, l’attore trentunenne cresciuto nei pressi di Milano che, a partire da venerdì 19 luglio, troveremo in Those About to Die, la nuova serie tv distribuita da Amazon Prime Video che vede la partecipazione illustre di Anthony Hopkins, oltre a quella di altri grandi interpreti quali, ad esempio, Iwan Rheon (Il trono di spade), Jojo Macari (Sex Education), Tom Hughes (The English, Victoria) e Sara Martins (Non dirlo a nessuno, Delitti in Paradiso). Il progetto, una serie televisiva di produzione italo-tedesco-statunitense dedicata al mondo dell’antica Roma e, nello specifico, alla realtà delle arene e delle lotte tra gladiatori, è stato diretto da Marco Kreuzpaintner (Progetto Lazarus, Soulmates) e dal leggendario Roland Emmerich, noto per le regie di Independence Day (1996), Godzilla, The Day After Tomorrow, e altri ancora.
Partendo dai primi piccoli passi che lo hanno avvicinato al mondo del cinema e arrivando a descrivere la magniloquenza di una produzione internazionale che lo ha portato a contatto con quel mondo che egli sognava sin dai più lontani ricordi, Michael Maggi ha dato prova di tutta la passione che da sempre lo muove in direzione della macchina da presa. I sogni di un bambino determinato si trasformano in una realtà difficilmente credibile, quasi surreale, e descrivono un mondo che, sebbene spesso venga idealizzato come irraggiungibile, si rivela poi come una realtà in cui potersi sentire accolto, sostenuto, parte di una famiglia. Il giovane interprete si è mostrato, raccontando l’approdo a questa nuova esperienza che, dopo le sue partecipazioni a progetti molto eterogenei come Blocco 181, Another End e Io sono l’abisso, potrebbe rappresentare il vero slancio verso una carriera che, mossa dalla sua ambizione e dal suo talento, lo vedrebbe arrivare sempre più lontano.
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Michael Maggi: dalla nascita del sogno alla sua realizzazione
Partiamo dal tuo percorso: esso passa attraverso la moda, ma come nasce il rapporto con il cinema? Quando hai capito di voler fare l’attore?
“Dalla moda ci sono passato quasi per sbaglio, per un istante, partecipando ad alcuni spot. Per il resto ho questo amore sconfinato fin da bambino, quando già musica, disegno, film, serie e cartoni animati erano il mio pane: recitavo le scene, ricreavo le coreografie. Attorno ai 12 anni ho iniziato a comprendere che effettivamente quella cosa si poteva fare. So che può sembrare una barzelletta ma mi ricordo che un giorno, su un diario che tenevo, ho scritto «io sono un attore» e un paio di settimane dopo, mentre andavo sullo skate con degli amici, una coppia di ragazzi mi ha fermato per chiedermi se volessi fare il protagonista di un loro videoclip musicale. L’esperienza è stata magnifica e ho sentito di aver finalmente trovato qualcosa di mio. Dopo avrei voluto fare l’istituto d’arte ma mio padre, non per limitare i miei sogni ma perché da sempre grande lavoratore, puntava a qualcosa di più stabile e ha preferito che io facessi ragioneria; un figlio artista significa un futuro economico insicuro. Fortuna ha voluto che la mia professoressa di matematica fosse una teatrante e organizzasse spettacoli teatrali; fu lei a propormi di iniziare a seguire dei corsi di recitazione, così ho cominciato con la mia prima piccola scuola. A 21 anni mi sono trasferito a Roma per conoscere scuole, conoscere attori, ma da ragazzo di provincia quale sono, dopo 4 mesi sono scappato a Milano. A quel punto ho iniziato ad accumulare esperienze, lavorative e non, perché convinto che chiunque, per fare l’attore, necessiti di avere del vissuto da portare. Tutto poi è andato a strutturarsi nel tempo, con tantissime esperienze low budget: spot, cortometraggi, film indipendenti, episodi, che mi hanno permesso di farmi le ossa”.
E poi a un certo punto arriva Those About to Die; ti aspettavi di avere una tale opportunità? Com’è arrivata?
“Io non voglio peccare di modestia ma ho sempre studiato alla perfezione l’inglese, perché il mio obbiettivo era proprio quello di lavorare all’interno di progetti internazionali, senza voler ovviamente denigrare l’Italia. Questo mi ha aiutato, ma l’opportunità per la serie è arrivata in maniera abbastanza fortuita, mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto. Mi trovavo al provino di un’altra serie in lingua americana e la direttrice casting Michela Forbicioni mi ha chiesto come me la cavassi a memoria, dicendo che aveva un altro ruolo per me riguardo al quale, però, non poteva rivelarmi nulla. Suonava come uno di quei treni che non bisogna perdere. In 5 minuti ho studiato la scena e l’ho provata, mi hanno mandato a casa e dopo un po’ di tempo mi hanno contattato per rivedermi, senza dirmi ancora nulla sul progetto anche se, con il secondo provino, ho iniziato a capire qualcosa rispetto alla trama. Passato un mese mi ha contatto la mia agente per dirmi che il regista sarebbe stato Roland Emmerich e, con qualche altra telefonata, mi ha poi confermato che ero stato selezionato. Quando ho avuto la notizia definitiva ho iniziato ad urlare, non potevo crederci”.
Michael Maggi e la grandezza di Those About to Die
Come è stato effettivamente lavorare ad una produzione internazionale così grossa? Quali differenze hai trovato rispetto ai lavori passati?
“È stata la realizzazione di un sogno. Da bambino sentivo che in qualche modo avrei fatto l’attore ma quando ti ritrovi in queste realtà, capisci che sono ancora più grandi di quanto avessi mai immaginato. È stato tutto assurdo, ho vissuto 4 mesi alternando alle riprese esperienze inimmaginabili ed indimenticabili, è stato ottimo il rapporto con i colleghi ed anche quello con i due registi Marco Kreuzpaintner e Roland Emmerich. Sono stato accolto, ascoltato, diretto, con una pazienza, una tranquillità e una calma che mi hanno fatto sentire in un posto sicuro, nonostante le paure e le incertezze, un posto in cui avevo anche la possibilità di sbagliare.
Non saprei fare un paragone con il passato perché questa è stata un’esperienza del tutto nuova, diversa. Quel che posso dire è che, come mi è accaduto anche in Italia con altri colleghi, nel confronto con Emmerich mi sono trovato davanti non ad una leggenda straniera, bensì ad una persona, che con la sua pacatezza, la sua tranquillità, il suo sorriso rassicurante, mi ha fatto sentire a casa. Mi considero veramente benedetto e fortunatissimo”.
Parlando di ciò che viene raccontato nella serie, sei appassionato del genere storico? Per la tua interpretazione ti sei ispirato a qualche film o serie del passato?
“Sono super appassionato di qualsiasi genere in costume perché mi strappa via dalla mia realtà, tira fuori il bambino che è in me e riesce a farmi viaggiare in un tempo e uno spazio che altrimenti non potrei vivere. È come se tornassi ad essere un bambino di 6 anni davanti allo schermo.
Per quanto riguarda l’ispirazione sono sempre stato fan sfegatato di Marlon Brando, mi ricordo perfettamente il suo monologo in cui parla della morte di Cesare. A parte questo, per approcciarmi al ruolo di Rufus, ho avvertito l’impellenza di staccarmi da tutte le strutture avute fino a quel momento e ho sentito una fortissima connessione con questo ragazzo, pur essendo lui molto lontano da me come principi, come valori, come modo di fare; questa cosa mi ha portato a non giudicarlo e a non prevedere nulla”.
Quindi come ti sei trovato nei suoi panni? Hai ritrovato in Rufus qualcosa di tuo?
“Sicuramente alcuni tipi di insicurezze, alcuni tipi di paure e la sua tensione alla sopravvivenza, sono le cose che maggiormente ci accomunano e proprio per questo non ho voluto giudicare il personaggio; lui prende strade molto diverse dalle mie ma probabilmente perché partiamo da basi diverse, le sue azioni vanno viste dal suo punto di vista e infatti non so se io, nel suo contesto, avrei agito diversamente. Fin da subito ho sentito una connessione con le sue fragilità, che forse non si vedono chiaramente ma ci sono”.
Dicevi di quanto ti abbiamo aiutato i tuoi colleghi, di quanto tu ti sia sentito accolto. Com’è stato far parte di un cast così talentuoso, capitanato da Anthony Hopkins? Quanto ti hanno trasmesso i tuoi colleghi?
“Credo che anche solo avere il proprio nome scritto in minuscolo vicino a quello di Anthony Hopkins all’interno di una rivista, sia il sogno di qualsiasi attore. Io sfortunatamente non ho avuto l’occasione di conoscerlo perché eravamo in scene differenti, ma posso riportare fedelmente l’impressione dei miei colleghi che mi hanno parlato di un’incredibile umanità, di gentilezza, di simpatia. Spesso abbiamo preconcetti riguardo ai grandi nomi del cinema che poi si dimostrano, invece, molto più umani di quanto si pensi.
Parlando dei colleghi con cui ho lavorato, li ho osservati moltissimo, molti di loro hanno grandi carriere alle spalle e anche i ragazzi di 35 anni vantano già importantissime collaborazioni. Ognuno di loro, per quel che ho potuto vedere assistendo ad alcune riprese da spettatore, ha fatto un lavoro magnifico e sono molto curioso di godermi il risultato. Quel che ho notato è quanto la loro bravura non abbia fatto altro che agevolare anche il mio lavoro, non c’è niente di meglio di un collega in grado offrirti la propria umanità, la propria onestà.
Si è creata una vera e propria famiglia, ho condiviso tutto con i miei colleghi per circa 4 mesi e ho avuto modo di parlare con ognuno di loro, riempiendoli di domande e cercando di assorbire da loro il più possibile”.
Michael Maggi: la breve ma versatile carriera e le ambizioni future
Prima di questo lavoro hai partecipato a Blocco 181, a Another End, a Io sono l’abisso di Carrisi, tutti progetti molto differenti tra loro. Ti piace variare? È una cosa che ricerchi?
“Parte tutto da una necessità, quella di scoprire cose nuove, di vestire, parlare, camminare sempre in modo diverso e io, fino ad ora, ho avuto la fortuna di poterlo fare. Non credo ci sia altro modo per dare dignitosamente voce a qualcuno, se non quello di cercare di esserlo completamente e io non voglio di certo essere etichettato ma solamente riuscire a dare dignità ad ogni personaggio affinché esso risulti vero e far sì che il pubblico faccia quasi fatica a capire che ci sia sempre io dietro a ruoli molto differenti tra loro.
Per Rufus, per esempio, ho sentito la necessità di perdere peso, sentivo che questa fragilità dovesse passare anche attraverso il fisico e che un personaggio di origini umili come le sue, in un contesto come quello, non potesse essere rappresentato tramite un’estetica differente”.
Per concludere cosa puoi dirci rispetto ai tuoi progetti futuri?
“Al momento sta per partire un bel progetto, ma dal momento che non abbiamo ancora una data e c’è ancora molto da definire, non me la sento di dire nulla. Sicuramente c’è qualcosa di molto positivo ma, per il momento, siamo in attesa di conferme. Nel mio futuro adesso c’è la grande attesa per l’uscita della serie: il 18 di luglio su Peacock, negli Stati Uniti, e il 19 anche in Italia, su Amazon Prime Video“.