Mirko Perri racconta la storia e l’evoluzione del montaggio sonoro e la nuova tendenza italiana
Una lezione di cinema firmata Mirko Perri, tre volte vincitore del David di Donatello, sul montaggio sonoro tra presente, passato e futuro.
Nel panorama cinematografico italiano c’è ancora la tendenza a considerare il linguaggio sonoro come secondario, accessorio rispetto agli altri ingredienti che cooperano alla riuscita di una pellicola. Un punto di vista in totale controtendenza rispetto alla visione e all’attenzione che gli si concede se si allarga lo sguardo al mondo del cinema internazionale.
“Un fattore culturale, ma le cose stanno cambiando“, spiega Mirko Perri, un’istituzione nel cinema italiano, tre volte vincitore del David di Donatello nella categoria Miglior Suono per Veloce come il Vento e Il Primo Re di Matteo Rovere e Dogman di Matteo Garrone, ma sound designer, tra gli altri, anche dei lavori di Paolo Sorrentino (da La Grande Bellezza in poi) e di Sydney Sibilia.
Con lui abbiamo ripercorso il cammino che ha portato il montaggio sonoro ad essere quello che è oggi, parlando anche del modo di lavorare nell’industria nostrana e provando a proiettarci verso il futuro.
Mirko Perri esplora la storia del sound design e svela i dettagli della sua carriera nella nostra intervista
Partiamo proprio dal termine “montaggio sonoro”, intorno al quale si è creato un velo di ambiguità, considerando le tantissime mansione alle quali viene associato.
“Si, ormai c’è veramente il far west, anche se a dir la verità fu un problema fin da subito, anche per gli americani.
Il termine “sound designer” fu inventato da Walter Murch, che lo pensò equiparando il suo lavoro a quello della decorazione di ambienti dell’interior designer. Negli anni ha poi acquisito sfaccettature diversissime: ci si identifica chi si occupa di creazione di suoni, chi assembla il materiale creato oppure chi ha la direzione totale del sonoro di un film.
Per quanto riguarda me, firmo il mio lavoro in quel modo solo se me lo chiede il regista oppure se ho supervisionato tutto il suono.”
L’introduzione del montaggio sonoro in senso moderno nel cinema è tradizionalmente annoverato al 1979 con Apocalypse Now.
“In quel momento compirono uno step fondamentale, ma la rivoluzione era già partita.
Fino ad un certo momento storico sul sonoro si faceva un lavoro standardizzato, di servizio, non c’era nessuna cognizione che potesse essere un elemento narrativo. Poi, nel 1969, Coppola e Lucas decisero di staccarsi dagli Studios e di trasferirsi a San Francisco e aprirono l’American Zoetrope, dove, a livello di montaggio del suono, cambiarono completamente le carte in tavola. Tra l’altro si da sempre merito agli americani di questa rivoluzione, ma la nuova idea di approccio al sonoro la presero da gente come Godard ed in generale dalla Nouvelle Vague.
Il primo film con il nuovo metodo di lavoro mi pare che fu THX 1138 (1971) di Lucas, ma un ruolo ancora più importante lo ebbe Barbara Streisand che decise di fare il “suo” A star is born (1976) completamente in stereo, in un mondo in cui tutti i film erano distribuiti in mono, ottenendo un successo di critica tale che sembrò che il sonoro non fosse mai esistito prima di allora.
Apocalypse Now fu invece il primo film riuscito in sorround. Dico riuscito dal momento che ci furono vari esperimenti già negli anni ’50 (penso a Fantasia), ma non ebbero successo particolare per un problema strettamente tecnico. Al contrario di quello che successe con Coppola, la cui idea sonora fu supportata dalla Dolby.”
Ma come funziona il mondo del sonoro in Italia? Mirko Perri risponde:
“Normalmente in Italia facciamo i film ‘talking head’ e quindi abbiamo iniziato ad appoggiarci molto alla presa diretta. Io, con la frustrazione del creatore di effetti sonori, quando mi occupo di tutto il lavoro sul film cerco sempre di scomporre il suono a diversi livelli usando registrazioni di qualsiasi provenienza e dando a tutte pari importanza.
Intendiamoci, il suono sul set è fondamentale: le performance degli attori sono da prendere e da conservare gelosamente in quel momento, perché è lì che sono ‘caldi’, ma oltre questo è spesso difficile salvare altro.
Per esempio, anche il lavoro di pulizia del sonoro che abbiamo fatto su Il Primo Re, nonostante l’incredibile conduzione del team audio sul set guidato da Angelo Bonanni e il risultato così eccelso da essere quasi inspiegabile data l’assenza di radiomicrofoni sugli attori e la presenza costante di vari rumori sullo sfondo, non poté bastare per un film così. Ma per il semplice motivo che rimaneva suono in presa diretta, quindi mono, non adatto ad ottenere l’effetto di spazializzazione che serve per la sala cinematografica.
Da qui nasce il nostro lavoro parallelo di registrazione, tramite l’uso di microfoni speciali, di suoni ambientali non inquinati da rumori indesiderati e di successiva creazione di librerie di suoni ad hoc per ogni film.
Chi fa questo lavoro si chiama field recordist, il mio è l’impagabile Gabriele Fasano.”
Il tuo metodo di lavoro? Per quello che puoi o vuoi dire.
“Prima di tutto leggo la sceneggiatura, il che è di grande aiuto perché ti permette di cogliere il senso letterario del suono, oltre che a permetterti di cominciare a fare la lista delle cose che ti possono servire e ad organizzare il lavoro.
La seconda fase inizia a montaggio quasi concluso: guardo le scene senza audio per cominciare a simulare i suoni nella mia testa e cercando pian piano di immaginare come deve essere la sonorizzazione. Spulcio poi la libreria e comincio a tirare giù tutto quello che penso mi occorra, ragionando sempre per timbro: non è detto che il rumore che senti sia connesso all’elemento o all’azione che lo provoca nel film, magari un singolo suono è composto da più elementi. Sempre tornando a Il Primo Re, i passi nel fango sono stati ottenuti schiacciando pompelmi o pezzi di verdure da Mauro Eusepi, il foley artist con cui ho una collaborazione decennale. L’importante è stratificare tutti vari suoni per arrivare il più vicino possibile a quello che si ha in testa. Io non sono mai soddisfatto, se sono fortunato arrivo al 60%… più o meno.
La mia fortuna è avere la fiducia di molti dei registi con cui lavoro, che mi concedono un certo tipo di indipendenza.”
Mirko Perri: “La sceneggiatura ti permette di cogliere il senso letterario del suono”
Quali sono i tempi in cui si lavora sul montaggio sonoro in Italia?
“Noi siamo gli ultimi ad intervenire sul film prima che esca, quindi la pressione è tantissima e i tempi non sono quasi mai quelli consoni alla realizzazione di un lavoro come ce l’ho in testa io.
Il suono nel nostro sistema è visto ancora come una cosa accessoria, è un problema culturale del nostro Paese. Anche a livello di budget è raro che la produzione venga incontro alle tue esigenze, ti combini bene quando il regista è anche produttore, oppure è particolarmente attento al mio ambito. La perfezione è quando è entrambe le cose, come con Matteo (Rovere) che è un vero un nerd audio e non a caso con lui abbiamo vinto 2 David.
Lui, che è l’ideale, ti concede anche 6 mesi per lavorare, mentre la media in Italia è 8 settimane.”
Spesso hai detto che “lavori per non farti sentire”, perché “il lavoro è ben fatto solo quando non si nota.” Eppure ne Il Primo Re il comparto sonoro si nota molto, proprio perché ben fatto.
“Si sente e lo apprezzi perché è un film di genere, con un impianto molto particolare.
Matteo (Rovere) voleva essere storicamente il più corretto possibile e io decisi di assecondarlo. Quindi cominciai a ricercare, attraverso gli studi sulla forma del cranio degli ominidi, sull’ecologia acustica e via dicendo, il modo per ricreare i suoni il più possibile veritieri per l’epoca in cui il film è ambientato.
Ti faccio un esempio: leggendo una ricerca sulla comparazione dei suoni delle varie specie animali in base all’inquinamento acustico scoprimmo che gli uccelli strillano di più in prossimità dei centri urbani, mentre adottano un tono più basso in zone remote. Motivo per cui rallentammo tutti i versi nella pellicola per abbassarne in tono, ottenendo un incedere del sonoro molto particolare, ma fondamentale per inseguire idealmente le condizioni ambientali dell’epoca in cui il film è ambientato.”
In un certo senso il ragionamento che si è fatto anche per il riferimento linguistico…
“Esatto! Tu pensa che si era pensato inizialmente di sonorizzare anche i dialoghi come se fossero immersi nell’ambiente. Andando contro la tendenza italiana secondo cui la prima richiesta è sempre ‘Mi alzi la finale?’, (altrimenti sembra che non si capisca quello che dicono i protagonisti), pensammo ‘Tanto non si capiscono comunque, tanto vale provare questa soluzione.’
Dopo aver provato ci siamo però accorti che questa cosa risultava fastidiosissima, perché chi guarda e sente ha 100 anni di grammatica sonora codificata alle spalle e il suo orecchio si è ormai abituato ad un certo modo di ascoltare.
I primi film sonorizzati avevano una banda di frequenza limitata e dunque non in grado di riprodurre troppe informazioni audio contemporaneamente senza creare confusione, per cui si tendeva ad alternare i dialoghi, la musica e gli effetti sonori, portando l’orecchio umano ad introiettare un certo tipo di struttura sonora e quindi di linguaggio. Motivo per cui ora che si può mixare l’inverosimile paradossalmente bisogna stare molto più attenti ed essere selettivi. Ed ecco perché dà fastidio vedere un film girato, fotografato e montato in un certo modo e che poi suona come se fosse un documentario.”
L’approccio in Romulus sarà simile a quello del sonoro de Il Primo Re?
“Ni. La questione di Romulus è legata al media e al formato. L’impianto così come l’approccio rimarranno quelli, ma in TV ci sono dei parametri diversi, anche per via della serialità in cui i tempi sono per forza più stringenti.”
Il tuo è un lavoro in cui la flessibilità è all’ordine del giorno, come gestisci questo aspetto e, se ci sono, quali sono i registi o i generi con cui ti trovi meglio?
“Ma sai, il fatto che ogni volta si ricominci da capo è un aspetto bello del mio lavoro. Ti permette di metterti alla prova con tante richieste e tante visioni diverse. Paolo (Sorrentino) ti fa vedere il montato di una scena e ti dice “Fammi l’estate romana più calda che c’è” e tu cerchi di raggiungere l’obiettivo, sapendo che lui lavora appoggiandosi molto sulle musiche e dosando invece il sonoro, in modo da non dopare oltre modo la carica già alta della sua impronta visiva. Lui poi è di una intelligenza mostruosa, sa esattamente quello che vuole e dove lo vuole, è un direttore d’orchestra incredibile. La sua parola d’ordine è ‘naturalistico’, che è la cosa più difficile, l’elemento principale della frase ‘lavoro per non farmi sentire’ che mi contestavi. Visto che tutto quello che senti è stratificato e ricostruito, io devo essere nature, ma ti devo raccontare sempre qualcosa, il che mi porta per forza ad escludere degli elementi, ma devo fare in modo anche che il tuo orecchio non ne avverta l’assenza.
Da poco ho finito il film di Cupellini, tratto dal fumetto di Gipi, quasi interamente girato in esterna e in cui si sono dovuti escludere i versi di tutti gli animali, senza però farne sentire la mancanza. Doveva essere naturale, ma senza diventare monotono. Che fai? Lavori solo col vento? Aggiungi l’acqua? In quel momento devi cominciare a giocare con tutti i suoni possibili, ma senza far accorgere il pubblico.
Ti ripeto, in Italia manca un po’ la componente culturale del sonoro, a dir la verità fino a poco tempo fa sono mancati anche i film.”
Ora la situazione sta cambiando?
“Diciamo che la nuova generazione sta assorbendo un tipo di cultura più internazionale, in cui il suono è molto importante. Parlo dei vari Mainetti, con cui sto lavorando su Freaks Out o Sybilia con cui sto lavorando su L’isola delle Rose. Io ho avuto anche un po’ di fortuna di imbroccare questa nuova tendenza.
Le tecnologie del suono stanno andando tutte verso l’immersività. L’approccio musicale è cambiato nel cinema moderno, tutto è credibile con le immagini, i grandissimi temi alla Williams dei decenni passati rischiano di diventare subito overacting oggi. Si sta andando sempre di più verso una predilezione di un sonoro extradiegetico e di una colonna sonora meno melodica. Non devi più aiutare l’immagine a convincere lo spettatore come succedeva prima.
L’obiettivo del futuro e un po’ anche del presente è cercare di portare la tridimensionalità audio della sala anche nello streaming, naturalmente quando si indossano gli auricolari. Per farlo su utilizza la binauralità, spacciata come una tecnologia nuova, ma in realtà scoperta da 50 anni, che permette di filtrare il suono come lo filtra l’orecchio umano. Nei blu ray di Veloce come il vento e de Il Primo Re ci sta proprio la bonus track binaurale, in cui trovi una stereofonia presa dal 7.1 che si ascolta al cinema. Il prossimo passo sarà ritrovarlo anche nei servizi streaming.”