Giovanni Piscaglia parla del “suo” Napoleone: un totalitarista d’altri tempi che ha fatto bene all’arte
Il giovane regista ci racconta il suo nuovo documentario con Jeremy Irons. Intervista a cura di Emanuela Bruschi.
Giovanni Piscaglia, marchigiano di nascita e milanese di adozione, si divide tra scrittura e macchina da presa. Nel 2017 ha girato il suo primo film Van Gogh – tra il grano e il cielo. È reduce dal successo di Ermitage – il potere dell’arte, per il quale ha curato la sceneggiatura e che gli è valso un Nastro d’Argento.
Siamo pronti a scommettere sul brillante futuro cinematografico di Piscaglia, che esce in sala dall’8 al 10 novembre 2021 con Napoleone. Nel nome dell’arte, il suo secondo film da regista prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia, in occasione del bicentenario dalla morte di Napoleone. Abbiamo parlato col regista per esplorare insieme a lui la costruzione dei documentario che scandaglia la biografia di uno dei personaggi più importanti della storia contemporanea.
“Per riconoscere una personalità bisogna conoscere tutto, lo studio è alla base di tutto. Se non c’è quest’ultimo non puoi avere le idee giuste e, di conseguenza, l’approccio corretto per applicare schemi e strategie”. – ha spiegato Giovanni Piscaglia in merito al suo approccio alla figura di Napoleone – “Bisogna riuscire ad analizzare dei contenuti e poi sintetizzarli, questo può avvenire solo se si ha un ampio raggio della materia. Napoleone e Van Gogh sono due personaggi agli antipodi, uno apre e l’altro chiude il secolo, Van Gogh mi ha permesso di attuare un approccio più romantico ed intimista, mentre con Napoleone ho giocato molto sull’etica del personaggio.
A me piace sempre cercare di ritrovare le tracce dell’uomo che ha fisicamente vissuto, diversamente dal cinema, il documentario ragiona sempre in absentia.
E questo è ciò che lo rende affascinante per me… come rideva, come parlava, come camminava Napoleone? Ovviamente queste non sono domande alle quali il nostro film intende rispondere, ma per me sono importanti e stanno sotto a tutto ciò che faccio, all’interesse che gli ambienti, le opere, gli oggetti mi suscitano e al modo in cui le restituisco attraverso le immagini”.
La nostra intervista a Giovanni Piscaglia, regista del film Napoleone. Nel nome dell’arte
Parlaci del tuo Napoleone
“Il mio Napoleone è innanzitutto condiviso con Matteo Moneta e Didi Gnocchi, che hanno curato la sceneggiatura del documentario. La nostra intenzione era di trattare Napoleone attraverso l’arte, volevamo dare un’immagine di cosa resta di lui nell’attualità. Da una parte l’arte e dall’altra le sue città: Parigi e Milano che sono state il riflesso del suo potere. La pellicola vuole raccontare quale significato avessero per lui le opere d’arte, un mezzo con cui esprimeva la sua potenza e la sua cultura”.
Credi che Napoleone abbia fatto bene o male all’arte?
“Sicuramene il suo lascito è ambivalente, ovviamente ci ha tolto tante cose. L’Italia era una nazione divisa, ogni paese ha gestito la restituzione delle opere d’arte dopo il regime napoleonico a modo suo. Nel nostro caso il Papa non fece il massimo per riottenere le opere requisite. Sicuramente il lascito di Napoleone ha una spinta moderna. Se le grandi raccolte dei musei enciclopedici, come li conosciamo oggi, esistono è perché è stato Napoleone ad inventarli; dobbiamo a lui la nascita del Louvre e della Pinacoteca di Brera. Napoleone è il primo interprete delle realtà museali che raccolgono grandi capolavori dei propri paesi e questi luoghi garantiscono una cura e uno studio delle opere d’arte”.
Dove sono avvenute le riprese?
“Le riprese si sono svolte prevalentemente tra Parigi e Milano. Nella città meneghina abbiamo girato in diverse location, come il Duomo, Biblioteca Bredense, Arcore. Ma abbiamo girato anche delle scene all’Isola d’Elba e a Parma. Roma invece è la città dove si esplicita il suo interesse per l’archeologia, nonostante Napoleone non l’abbia mai visitata, fece arrivare diverse opere importanti come il Laoconte. Il documentario è stato girato durante il lockdown ed è stata molto più dura del previsto, ma siamo riusciti anche dal punto di vista geografico abbracciare diverse città in cui l’imperatore ha lasciato la sua impronta”.
Alla guida del documentario c’è il premio Oscar Jeremy Irons, ma intervengono anche diversi personaggi noti, come i nostrani Ernesto Ferrero e Salvatore Settis, com’è stato lavorare con loro?
“È stato un onore per me poter intervistare questi importanti studiosi. Sono personaggi che hanno fatto capire quanto viva sia l’eredità di Napoleone e quanto ci sia la necessità di parlare di lui in chiave moderna. Quello che ci hanno aiutato a far emergere è che Napoleone era una persona che ragionava per immagine, usava l’arte come mezzo di divulgazione, per questo motivo oggi anche i grandi manager studiano la sua figura. Per quanto riguarda il totalitarismo, è un dato di fatto che i grandi despoti del ‘900 si siano ispirati a lui, però Napoleone non è mai scaduto nei soprusi perpetuati nel secolo scorso”.