Nate Parker e Spike Lee su American Skin: “Speriamo possa salvare anche solo una vita”
Spike Lee accompagna Nate Parker per la presentazione di American Skin, film importante per il produttore e il regista, di cui ci parlano in prima persona.
L’America secondo Nate Parker. Accompagnato dall’amico e mentore Spike Lee, che alla Mostra di Venezia ha presentato la seconda opera del cineasta, il regista di The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo crea il suo personale tribunale per parlare di razzismo, lotta di classe, differenze e diritti, tutto nel suo nuovo American Skin, presentato nella sezione parallela del festival Sconfini. Un film per salvare anche solo una vita, ecco in cosa spera il suo regista Nate Parker, mentre presenta al Lido il suo ultimo lavoro, sostenuto dall’appoggio e dall’ammirazione del collega e amico Spike Lee.
Nate, questo ultimo periodo ci sono stati parecchi sconvolgimenti nella tua vita, cosa pensi ti sia rimasto e come pensi di andare avanti da ora in poi?
“Negli ultimi tre anni ho imparato molto. Ne ho parlato con molte persone che volevano sapere come mi sentissi e devo ammettere che ero sordo riguardo a temi come le molestie e il resto. Quindi, in questo tempo, ho imparato ad ascoltare, approcciandomi in maniera differente sia all’argomento che alla mia vita. Ora posso solo dire di sentirmi benedetto per la fortuna di essere qui a Venezia come artista. Il nostro lavoro, diceva Nina Simone, è quello di riflettere la nostra contemporaneità. Devo ancora apprendere molto, nonostante i miei trentanove anni, e per me è importante avere vicino persone che mi aiutino a capire fino a dove posso spingermi.”
Alcuni giornali riportano la notizia che sei cristiano. Credi che la religione possa essere un modo attraverso cui affrontare i temi che sono poi alla base del tuo film e delle tensioni della società?
“Sì, sono cristiano. Per me la fede non è soltanto qualcosa da cui trarre ispirazione, ma che ispira a sua volta la mia vita. Mi spinge a diventare l’uomo che voglio essere. Ossia un regista che riesce a riflettere sui tempi che sta vivendo per poter permettere un futuro migliore ai suoi figli. Questo è il centro e il nucleo del mio lavoro.”
Il tuo esordio trattava di una ribellione e, con American Skin, l’argomento non sembra mutato. Come mai continuare sullo stesso tema?
“Sento che c’è un’emergenza in America, ma anche da ogni altra parte del mondo. Quello che bisogna fare è riuscire a creare delle conversazioni, di far uscire le persone dal cinema e farle sedere intorno ad un tavolo a parlare di ciò che hanno visto. Questo è il potere del cinema e con American Skin sentivo che bisognava portare questo messaggio presto in sala. E se questo film può salvare in qualche modo anche solo una vita, per noi è importante. Che sia un bambino, un adulto, un nero o un bianco. Se riesce ad essere questo, allora il nostro scopo è stato raggiunto. Quello che vogliamo con Spike è di far girare il film il più possibile, anche nelle stazioni di polizia, per cambiare il modo di pensare e di educare gli agenti. Sentivo questo bisogno di intervenire, per ridare una nuova dignità agli uomini.”
Spike Lee: “Era da tanto, tanto, tanto tempo che non mi commuovevo così per un film”
Spike, puoi raccontarci come sei stato convolto nel progetto?
“Nate mi ha chiamato e abbiamo parlato a lungo, visto che non ci vedevamo da tanto. Mi ha detto che aveva questo film e l’ho voluto subito vedere, senza farmi dire nulla. E devo dirlo, era da tanto, tanto, tanto, tanto tempo che non mi commuovevo così per un film. Così ho chiesto a Nate cosa voleva da me e abbiamo fatto un patto, che tutto quel dolore che ha provato in questo periodo lo avrebbe elaborato e sarebbe poi andato avanti.”
Hai dato qualche suggerimento a Nate per il film?
“Nate scrive, dirige e recita nel film. È il suo lavoro e non ho cercato affatto di cambiarlo, fosse solo che il film era anche già pronto quando l’ho visto.”
Fin dai tuoi esordi hai raccontato la lotta necessaria per cambiare la società e, oggi, un altro cineasta sta percorrendo la tua stessa strada. Questo ti rende ancora fiducioso sul domani?
“Verso la fine del suo mandato Obama aveva detto che le elezioni successive sarebbero state fondamentali per il nostro Paese, e guardate in che schifo siamo ora. Con Agent Orange, perché io non lo chiamo per nome, quello che sta succedendo è tremendo. Il presidente permette che i bambini siano strappati dalle braccia delle loro madri, separa le famiglie senza alcuna intenzione di rimetterle poi insieme. In questo Paese, che si presume sia la culla della democrazia in cui il presidente dovrebbe rappresentare il leader del mondo libero, non solo non c’è libertà, ma il presedente ha messo le persone in una gabbia.”