Paolo Santamaria racconta Cinema e Ambiente Avezzano: “Lavoriamo per un riconoscimento identitario del nostro territorio”

Il suo lavoro da regista, gli obbiettivi del festival, le altre iniziative, le difficoltà e tutto quello che c'è da sapere sul fermento cinematografico dell'entroterra abruzzese

Chi meglio del direttore artistico e fondatore, Paolo Santamaria, poteva raccontarci la storia, l’identità e i propositi del festival Cinema e Ambiente Avezzano e di tutte le iniziative ad esso legate? Tra l’urgenza di comunicare e di avvicinare i cittadini a tematiche legate al territorio, e alla drammatica situazione ambientale, e la pulsione artistica che, al contempo, ancora lo tiene strettamente legato alla macchina da presa e ai suoi progetti autoriali, il regista si è raccontato esaustivamente, dedicando ampi approfondimenti ai tanti lavori che lui e il giovanissimo team al suo seguito promuovono nell’entroterra abruzzese. I festival, la produzione, le difficoltà economiche, il ruolo dei giovani; una chiacchierata a tutto tondo che delucida su quelli che sono gli obbiettivi e le speranze di un territorio alla ricerca di una propria definizione identitaria che, da una decina d’anni, ha trovato nell’artisticità, nel coraggio e nella propositività progettuale di pochi, la spinta per ritrovarsi, per emergere e per raccontarsi.

Paolo Santamaria tra la passione per il cinema e l’impegno per l’ambiente

Paolo Santamaria cinematographe.it

Partiamo dalle basi: quando e come nasce la passione per il cinema? Quando, invece, ti sei interessato alle tematiche ambientali e come è arrivata l’idea di unire le due cose?

“La passione per il cinema, a livello proprio esistenziale, presumo che nasca da bambino quando, mentre giocavo con i Lego e le mie costruzioni, i miei genitori mi bombardavano di film della Disney e quindi, in sottofondo perenne, la mia infanzia ha sempre avuto delle produzioni cinematografiche. In quel contesto, aver subito un’immersione così importante nel mondo cinema, visto dal piccolo schermo, mi ha lasciato qualcosa. Poi in realtà, durante tutta la fase scolastica, non mi sono particolarmente approcciato al mondo dell’espressione artistica, se non al liceo, dove ho fatto un corso di cinema, vari corsi teatrali e ho diretto degli spettacoli. Questi mi hanno smosso un qualcosa, che poi ho cercato di capire come potesse essere concretizzato. In una cittadina come Avezzano non si avevano grandi riferimenti da questo punto di vista perciò, il dramma di mia madre è stato quello di capire dove potessi andare io, e difatti ho fatto tutt’altro: ho fatto l’aeronautica militare come ufficiale, poi la Normale di Pisa e l’unico test che non passai fu per il ruolo di steward ad Italo; mi cassarono perché non ero madre lingua inglese e alla fine mi iscrissi a Lettere Moderne e poi feci l’European Volontary Service e stetti un anno in Inghilterra.
Al rientro ho provato la Gian Maria Volontè, dove non mi hanno preso, e sono quindi entrato al Centro Sperimentale.
Il discorso ambientale parte anch’esso dall’infanzia, quindi dall’essere nato in un contesto iper bucolico, con i nonni formesi che, nel loro piccolo paesino avevano gli animali (erano ex pastori), e dall’aver sempre fatto lo scout, con la voglia costante di andare a fare i campi estivi immersi nella natura.
Nel 2016 quindi, sotto stimolo della cooperativa Ambecò di Avezzano, che si occupa di educazione ambientale, arriva l’idea di portare nelle scuole un progetto ambientale legato al cinema, con l’obiettivo e la volontà anche di sviluppare un potenziale festival, sulla falsariga di Cinemambiente Torino, dal quale siamo stati contatti e noi, inconsapevoli e con grande costernazione, abbiamo dovuto riadattare quello che era il brand, il nome. Però nasce in quel modo, in una maniera abbastanza particolare, e da quell’errore iniziale, quell’andare a impattare con una realtà così grande ci ha portato a voler dimostrare di meritare quell’opportunità. Il festival per noi, oltre che darci l’opportunità di parlare di ambiente ad Avezzano attraverso il cinema, è stato un modo pe tenerci legati. Non a caso il team nasce da persone del territorio e la cosa bella è che ogni anno si allarga a persone che vengono da fuori”
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Secondo te il cinema è effettivamente uno dei canali di divulgazione più potenti che abbiamo?

“Attualmente mi sentieri di dire che non è sicuramente il canale più potente per divulgare, perché comunque richiede una struttura, richiede dei costi, richiede tutta una serie di limiti. Dal punto di vista di divulgazione oggi risulta molto più efficace un social network, un cellulare. Il punto, quindi, è capire in che modo il cinema si possa inserire all’interno di un cellulare, senza far perdere la magia della proiezione sul grande schermo. Fondamentalmente oggi potremmo vederci il film anche dall’orologio e, anche se per me, che faccio il registra, può essere sacrilego, la vedo come un’opportunità.
Va però poi dato il giusto peso al tutto; motivo per cui il cinema, grazie al suo effetto amplificatore, può essere un ottimo strumento per andare poi a divulgare.
Un festival, da questo punto di vista, diventa un’ottima arma perché può essere declinato in tanti modi differenti: con una mostra, con una brochure, con delle Gif, con la qualunque. Far quadrare il tutto e permettere che la visione di un film diventi poi, essa stessa, materiale divulgativo è un po’ più complesso. Il caso di Food for profit attualmente ne è un esempio: ha vissuto di spinta cinematografica o di spinta social, mediatica?
Fare un prodotto cinematografico che riesca anche a divulgare, credo sia molto complesso; che riesca a far riflettere è diverso. Stando in termini ambientali, tu puoi far scaturire e innescare una riflessione, ma per fare divulgazione credo sia molto più utile, per esempio, il video podcast che stiamo facendo ogni mattina. I talk che facciamo al pomeriggio sono la più potente divulgazione, ma arrivano a quelle 30 persone sedute; se riusciamo a renderli disseminabili online, tramite diffusione streaming, possono arrivare a molte più persone”.

Il percorso di Cinema e Ambiente Avezzano dal 2016 ad oggi

Cinema e Ambiente Avezzano cinematographe.it

In questi 9 anni quali sono stati i più grandi ostacoli incontrati? E in cosa, invece, hai visto crescere particolarmente di questo festival?

L’ostacolo maggiore per un festival è ovviamente quello di trovare le risorse economiche per farlo. Noi abbiamo fatto il primo grande salto di qualità nel 2019, quando io vinsi un bando SIAE; per me fu inizialmente un disastro a livello di tasse, però mi aveva spinto a fare le cose per bene. Il punto però è che mantenere quel livello lì, quando un anno prendi un determinato budget ma gli anni dopo non è assicurato, dà una grande incertezza e mette particolarmente in difficoltà. Anche il ministero stesso, che un anno ci finanzia e l’anno dopo no, è una grande incognita e le realtà locali non hanno continuità da questo punto di vista, o comunque non mettono in campo risorse importanti. Ecco che The Factory, ed io in prima persona, abbiamo coperto i costi di tutta l’operatività. Però non è così che dovrebbero andare certe dinamiche: il motivo stesso per cui i ministeri, ma in particolare il mistero della cultura, finanzia i festival del cinema, o i festival di arti dello spettacolo, è perché non può fare quel lavoro capillare sui territori di divulgazione culturale, quindi lascia che siano i privati, attraverso un sostegno pubblico, a lavorare in tal senso.
È giusto che quindi, su un bando pubblico, ci sia una ripartizione di una fetta di risorse, che possano essere messe a disposizione da questo punto di vista. Ma in Italia non c’è mai certezza, perché la ripartizione non è equa. Se hai risorse illimitate è tutto più facile, altrimenti devi stare attento anche al più piccolo dettaglio.

L’aspetto più positivo è vedere che le persone che lavorano al festival, al netto del suo valore economico, sono motivate a farlo crescere, a provarci quantomeno, e soprattutto è bello vedere le persone da fuori, che vengono a conoscenza del festival come ospiti e poi vogliono restare, vogliono avere un ruolo“.

A tal proposito, parliamo di un team molto giovane, quanto è importante che effettivamente siano i giovani a impegnarsi in questo contesto?

È importante che il team sia giovane perché il motivo per cui noi facciamo Cinema e Ambiente Avezzano è che un territorio come Avezzano ha alla base una mancanza di identità forte, legata a due eventi morfologici cataclismatici, che sono il prosciugamento del Lago del Fucino, a fine ‘800, ad opera del principe Torlonia, che portò ad un cambiamento climatico, antropologico, sociale e ad un boom che quadruplicò la popolazione, e il terremoto del 1915, che riportò la cittadinanza a 3000 abitanti (il secondo evento più disastroso della storia d’Italia, a livello di morti a causa di un terremoto).
Questo è un territorio mutato che ha un collegamento fortissimo con il lascito ambientale, naturale. Io sento che c’è qualcosa nell’aria che mi richiama, sento quell’assenza dell’acqua che mi richiama.
C’è, pertanto, questa grande perdita d’identità e, mancando un percorso di studi completo universitario, la maggior parte delle persone coetanee studia fuori e resta fuori. I giovani partono dal presupposto che studiano al liceo ma poi devono andare via e quindi non scelgono un tipo di università ma direttamente una città.
Questa necessità di fuga, legata poi alla crisi delle aree interne, è un nostro conflitto che dobbiamo affrontare e perciò, che siano i giovani a portare avanti un’iniziativa come questa, credo sia un processo di roll modeling importante, perché altre realtà possano imparare da noi; il fatto di avere qua 5 tirocinanti coetanei da Potenza, nella Lucania, che è ancora più depressa in termini antropologici, come regione dell’entroterra Appennino, ne è la riprova.
Poi c’è sempre da considerare che un team giovane è un team fatto di poca esperienza, poca seniority e quindi ne vive tutti i drammi, anche emotivi. E questo si lega ad una crisi generazionale forte: nel mondo del lavoro attuale, la nostra generazione repelle il concetto di sacrificio, ma non si può mollare alla prima difficoltà o aspettarsi che tutto sia rose e fiori”.

Stando sul discorso generazionale, pensando al percorso fatto dal 2016 ad oggi, vedi, in generale, un interesse ed un impegno differente da parte delle persone, rispetto alle tematiche ambientali? Cosa è cambiato?

In termini generali l’attenzione verso le tematiche ambientali si è totalmente rivoluzionata in 10 anni. Noi abbiamo iniziato parlando di raccolta differenziata, adesso parliamo di desertificazione, di tutt’altri tipi concetti. Quanto abbia avuto un impatto qua sulle giovanissime generazioni non lo so, non vedo tanti passi avanti da questo punto di vista. Se parliamo per massimi sistemi è cambiato radicalmente, ma c’è da considerare anche quanto l’attenzione verso l’ambiente sia la tendenza: le persone hanno voglia di mettersi in bocca certi termini o argomenti. Però ecco, se guardo alla città di Avezzano, credo che il vero step – lato nostro – sia quello di riuscire ad entrare nelle menti di quelle generazioni giovanissime che frequentano le scuole e riuscire a segnare lì un cambiamento importante. Ad esempio nel 2016, per la prima edizione del Festival, feci un lavoro con tutte le scuole e portai un seminario sul viaggio dell’eroe, poi feci predisporre dei soggetti cinematografici, premiando il più valido. Facemmo anche un percorso di cineforum dedicato all’ambiente che fu molto educativo. Una classe di queste vinse il contest e sviluppammo un cartone d’animazione e la consapevolezza che ho avuto negli anni successivi è che la metà delle persone di quella classe, ha poi intrapreso una strada cinematografica.
Quello che era l’asset principale ora l’ho un po’ perso ma sarebbe il nostro punto arrivo e spero che con la decima edizione si possa concretizzare un lavoro con le scuole più strutturato, perché poi quello, a livello economico e di visibilità, porterebbe ad avere un ‘effetto Giffoni’. Ma il problema è sempre lì: se le risorse per attirare questo tipo di progetti sono così difficili da trovare, come si fa a strutturare un lavoro con le scuole che, a loro volta, non hanno il budget per sostenerlo?”

Non solo Cinema e Ambiente Avezzano

Avezzano 2024 cinematographe.it

Ci sono poi altri progetti che porti avanti qui sul territorio: vuoi parlacene un po’?

“In quello che il mio amico Nicola Nocella chiama simpaticamente il Santa Maria Universe, c’è una parte a scopo di lucro che è fatta di imprese legate al cinema, con la produzione di The Factory, non solo cinematografica ma audiovisiva e digitale a 360°. Di fatto siamo diventati una fucina artistica, creativa, che permette di fare un lavoro quasi da boutique, in termini comunicativi. In termini cinematografici abbiamo coprodotto i miei due lungometraggi, distribuiti da Wonder Pictures, e quest’anno siamo stati classificati secondi dalla Calabria Film Commission e quarti dalla Marche Film Commission. Il problema poi ritorna nel momento in cui vinci, ma non arriva niente dal ministero.
Abbiamo poi un’altra società che fa distribuzione cinematografia, la Red Couch Pictures, con cui stiamo sviluppando una piattaforma streaming nostra, con focus mirato sulle scuole e sui festival.
Questo è il lato business, che però si allaccia a quella parte di promozione culturale, quindi no profit, legata a CinemAbruzzo Aps, che ho fondato anni fa e adesso ho passato a Valentina Traini e che ha creato una rete cinematografica regionale, in una regione in cui la Film Commission non c’è ancora. Questo ha permesso la nascita di un sistema festivaliero, con appunto Cinema e Ambiente Avezzano, Garofano Rosso Film Festival – che si realizza a settembre a Forme di Massa D’Albe e parla di tematiche complementari all’ambiente, quindi l’inclusività, la marginalità, l’uguaglianza di genere, la disabilità, l’infanzia e così via – e il Festival Itinerante Appennino – che partirà ufficialmente l’anno prossimo perché abbiamo vinto un bando europeo con Action Aid e porterà in giro ricerche cinematografiche fatte da altri festival, tramite un Cinecamper sostenibile.
L’altra attività interessante, legata alla formazione, vede nel Cinema Abruzzo Campus la case history più interessante la quale, essendo l’ultima iniziativa da noi sviluppata – nasce 3 anni fa – si porta dietro tutta una serie di esperienze pregresse che hanno permesso di renderla veramente accattivante. È la prima residenza al mondo basata sulla green production. Noi selezioniamo i registi che applicano gratuitamente da tutto il mondo e facciamo un percorso di accompagnamento. Quest’anno ne abbiamo selezionati 20 per avere una formazione a distanza, per poi scendere a 10 potenziali autori ai quali, una volta date delucidazioni relative al nostro territorio, abbiamo chiesto di sviluppare dei soggetti. Tali soggetti sono stati autovalutati da tutti i registi e, in base alle valutazioni ricevute, sono stati scelti i 5 progetti da sviluppare, sulla quale sceneggiatura hanno poi a coppie – chiamiamo persone da tutto il mondo affinché conoscano il nostro territorio e poi scrivano dei soggetti ad esso dedicati. Fanno una prima settimana di scrittura con dei tutor, una seconda di preproduzione, una terza di produzione (con due giornate dedicate alle riprese per le opere di fiction e due documentari, le cui riprese vanno avanti, invece, per tutta la settimana) e una quarta di montaggio. Di fatto realizziamo 5 opere ogni anno, poi montiamo, produciamo e distribuiamo”.

Paolo Santamaria: oltre ai festival la personale inclinazione artistica

Lampi Paolo Santamaria cinematographe.it

Riguardo al tuo lavoro da regista, invece, hai in questo momento progetti tra le mani?

È molto difficile far convivere le due cose, ma è anche vero che non posso mettere a tacere le parti di me. È indubbio che questa parte ha avuto il sopravvento durante il Covid. Dopo aver girato documentari distribuiti da I Wonder Picutres, mi sono ritrovato a chiedermi cosa potessi fare in quel momento; ho iniziato a fare ricerche sui bandi e sulle varie possibilità per i festival e da lì abbiamo attivato un processo di progettazione interna più strutturato, per cercare di dare valore a tutte le idee e le iniziative che avevamo solamente abbozzato.
Questo poi entra certamente in conflitto con la mia esigenza più strettamente creativa: c’è bisogno di lasciar fluire, c’è bisogno di tempo per raccontare storie. La capacità di un regista dovrebbe essere quella di saper osservare la realtà che ha avanti a sé e riuscire a restituirla. Io ho sempre cercato di farlo, a prescindere dalla tipologia di prodotto, che fosse un videoclip, una promo, uno spot ministeriale o un film. La grande difficoltà odierna poi, quando ti strutturi un po’ di più, è sempre trovare risorse per farlo.
Bisogna solo trovare il coraggio per fare delle scelte e capire quanto sia giusto dedicare il mio tempo ad un’attività, piuttosto che ad un’altra. È un percorso che si farà e io ho tanti progetti aperti che, però, aspettano di trovare la giusta valvola di sfogo economica.
Adesso dobbiamo girare un cortometraggio con la Calabria Film Commission, molto a tema col Festival, che parla dei flussi migratori e, nello specifico, dei migranti morti senza nome, e affronta la tematica del MedFever, sul surriscaldamento del Mediterraneo.
Bisogna sempre seguire il flusso delle idee e riuscire a renderle sostenibili; questa è la sfida maggiore, sia in termini di produzione cinematografia, sia in termini di organizzazione di eventi culturali“.

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