Paolo Sorrentino a Napoli per È stata la mano di Dio: Maradona, Troisi e la perenne “idea di futuro”
“Presentare questo film per me è emozionante come partecipare al mio matrimonio, è una prova non facile da affrontare”, così il regista Paolo Sorrentino descrive il suo rapporto con È stata la mano di Dio, ad una settimana dall’uscita ufficiale del film nelle sale il 24 Novembre distribuito da Lucky Red e il 15 Dicembre su Netflix.
Il film, prodotto da The Apartment e presentato in anteprima a Venezia 78 dove ha segnato con commozione e trasporto condensati in nove minuti di applausi, è infatti per il regista il lavoro più intimo ma anche il più doloroso e liberatorio allo stesso tempo.
Paolo Sorrentino e Toni Servillo a Napoli
Ci sono i ricordi napoletani del regista, la sua adolescenza, la Napoli vista attraverso i suoi occhi e non un’idea o una confezione nella quale trovare analisi ideologiche, sociologiche o politiche. E su questo punto infatti Sorrentino è molto attento in conferenza stampa a sgusciare da chi cerca di volerlo portare per queste strade: “Napoli in questo film è protagonista, non ha un ruolo tangente come ne L’uomo in più. La Napoli che racconto non è un’idea, ma è un ricordo, quella che ho vissuto, fatta dei luoghi fondamentali per me sulla base degli eventi che mi sono capitati”. E a chi gli chiede quale sia il suo sguardo attuale su Napoli, conclude: “Napoli se la cava egregiamente da tempo, non è facile possa diventare altro da ciò che è ed è sempre stata”.
Assertivo e di sottile ironia, in questa missione che lo porta a fuggire da ogni tentativo di domanda che possa spostare l’attenzione su Napoli, raccontata con naturalezza e bellezza, ci pensa a sostenerlo anche Toni Servillo, che confessa di non poter vivere da nessun’altra parte se non a Napoli, ma torna a focalizzare l’attenzione sul cinema di Sorrentino che lo ha sbalordito e commosso, questa volta più delle altre.
È stata la mano di Dio, per Paolo Sorrentino è “una scorciatoia per non affondare nelle proprie pene”
In È stata la mano di Dio sono tanti gli argomenti che vengono toccati e affrontati da Sorrentino, che tra verità, finzioni e metafora, trova il coraggio di raccontare la sua storia adolescenziale, di affrontare e guardare in faccia quei fantasmi che ciascuno si porta dietro. Trova così una nuova estetica, sperimenta la formula di semplificare, ricercare la verità per ottenere il massimo: “Mi sono lasciato ispirare da quei colleghi che con grande semplicità riescono a tirare fuori la verità, ottenendo il massimo risultato“, ed infatti in questa occasione Sorrentino ha dato massima libertà d’espressione agli attori. “In questo caso c’era bisogno che gli attori si sentissero liberi, non costretti a fare dei movimenti precisi, senza preoccuparsi di altro se non dare il meglio in verità”.
Libertà, esigenza di espressione, sembrano essere la parole chiave che hanno guidato Sorrentino dalla scrittura alla regia in un film che bolliva in pentola da tanto tempo, destinato a dare una scossa nuova al suo cinema:“Era un film che avevo in mente da molti anni e che ho trovato il coraggio di fare. A 50 anni mi sembrava fosse arrivato il momento, ma non ci sono ragioni profonde che mi hanno spinto a farlo, anzi se ci fossero preferisco non conoscerle”. Il risultato infatti è un film che da personale si trasforma in un viaggio di formazione universale nella gioia e nel dolore, per il regista un percorso quasi catartico, dalla sua realizzazione alla presentazione: “Parlando di questo film sta diventando quotidiano il dolore, persino noioso. Ma la noia, annoiarsi dei propri dolori, è un ottimo antidoto, una scorciatoia per non farsi affondare dalle proprie pene.
Un film di padri, da Maradona a Troisi, che difende sempre un’idea di futuro
Ad accompagnare questo nuovo viaggio cinematografico di Paolo Sorrentino c’è ancora una volta Toni Servillo, per il regista un fratello maggiore ma anche una figura paterna, e di padri, anche artistici, ce ne sono tanti in È stata la mano di Dio: “Il padre che si racconta nel film è uno di quei padri che si sentono inadeguati, finiscono per essere simpatici nella loro cialtroneria per nascondere la loro incapacità di sentirsi all’altezza”, spiega Servillo, incantato da come Sorrentino sia riuscito a creare una connessione tra padri e talento nel percorso di formazione del protagonista: “Uno dei momenti più appassionanti del film è proprio l’incontro di Fabietto (il protagonista del film interpretato da Filippo Scotti, ndr) con il regista Antonio Capuano che gli chiede se per fare cinema abbia qualcosa da dire. Capuano ha innescato qualcosa a quel tempo nel cinema napoletano, e che può essere letto come una forma di paternità. Paolo mette in circolo tutti questi argomenti, li stende su una città così capace di accoglierli, Napoli, e crea una connessione tra queste paternità che si alternano tra calcio, spettacolo, religione e famiglia”.
Se il regista Antonio Capuano lo si può definire un padre artistico, Maradona invece con il suo talento e perseveranza è un padre di vita, non è solo il deus ex machina che salva per caso il giovane protagonista del film da una tragedia, è l’emblema della costanza, della fatica di cercare ogni giorno un risultato con insistenza, conflitto e difficoltà. Ed uno di questi risultato è certamente riuscire ad avere un’idea di futuro nonostante tutto, un messaggio che Sorrentino nasconde tra le righe del film: “Il film contiene sempre, nonostante gli ostacoli, un’idea di futuro. Quando si è adolescenti spesso non si riesce a vedere un futuro per sé, ma nel film voglio dire proprio questo, che un futuro c’è sempre“.
Nonostante i padri siano al centro della pellicola, tuttavia Sorrentino allontana subito l’idea che ci possano essere padri cinematografici con rispettivi riferimenti, ma solo una figura veglia su tutto il film ed è quella di Troisi regista:“Questo film è vicino alla sensibilità di Troisi ed infatti termina come potrebbe terminare solo un suo film”.