Riccardo Milani su Grazie Ragazzi: “Porto al pubblico temi difficili, raccontati in modo semplice”
Riccardo Milani presenta a Roma, insieme al cast, Grazie Ragazzi. Teatro, carcere e libertà, il film è in uscita nelle sale italiane a partire dal 12 gennaio 2023.
Grazie Ragazzi è un film che non si presta a facili generalizzazioni. Riccardo Milani dirige (Corro da te), in sala in Italia per Vision Distribution a partire dal 12 gennaio 2023 per la bellezza di 450 sale (che è un bel numero), cinema più cinema meno. Con Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Nicola Rignanese, Fabrizio Bentivoglio, Giorgio Montanini, Giacomo Ferrara e Andrea Lattanzi. Commedia ma anche un po’ dramma, libertà e galera, teatro dell’assurdo e assurdità della vita, il film nasce da un bel mix di fatti e cinema. Parte tutto da una storia vera occorsa in Svezia alla metà degli anni ’80, servita poi da sfondo a un film francese arrivato qualche anno più tardi dal titolo Un Triomphe. Quindi arriva Riccardo Milani.
Che non nasconde la sottile ambiguità del progetto, parlandone (insieme al cast) in occasione della presentazione ufficiale; spingendo forte sul versante autoanalisi. “Non so ben definire i film che faccio, non capisco in che direzione vadano fino in fondo. Quello che so è che il mio obiettivo è di presentare al pubblico, in modo semplice, temi ostili”. Il protagonista di Grazie Ragazzi si chiama Antonio, come l’attore che lo interpreta, Antonio Albanese. Curiosamente il personaggio è anche lui un attore, attore teatrale, almeno ci spera. Impantanato nella vita e nel lavoro, trova il modo di rimettersi in gioco dirigendo un laboratorio teatrale in carcere a Velletri (vero set insieme a Rebibbia) dopo aver accettato la proposta dell’amico e collega Fabrizio Bentivoglio. Si porta in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett.
Per Riccardo Milani il senso del percorso del protagonista è di rintracciare l’umanità proprio dove si tende a non cercarla. Antonio Albanese concorda. “La sorpresa del mio personaggio è appunto l’incontro con la verità del teatro in carcere. Io questa verità l’ho sperimentata nella vita. Fino ai 22, 23 anni ero lontano dal teatro, dal cinema, dalla cultura. Al teatro ci sono arrivato per caso, mi ci sono avvicinato e lui mi ha educato. In questo film ho rivisto un po’ i miei inizi”.
Grazie ragazzi: parlano i protagonisti, attori sul set e fuori
I ragazzi di Antonio, al netto di un sostanziale cambiamento nella formazione ufficiale che non va spoilerato, al momento del debutto sul palcoscenico sono quattro più uno. Gli interpreti principali sono Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, con l’ausilio fuori scena e relativa sorpresa (chissà cosa ne avrebbe pensato Beckett) di Bogdan Iordachioiu. Giacomo Ferrara prende la parola per primo perché ha premura di raccontarci come l’esperienza di Grazie Ragazzi si leghi con il suo vissuto. “Per me questo film è l’occasione di chiudere il cerchio. I miei possiedono un hotel e il mio primo ricordo di un set, a otto o nove anni, sono proprio le scene girate da quelle parti da Riccardo Milani. Il film era La guerra degli Antò. Ho sempre voluto fare questa vita, la vita dell’attore. Del teatro mi piace questo aspetto, che è una serie di fallimenti. Tu provi e sbagli, sbagli e sbagli finché non hai successo”.
Andrea Lattanzi illumina il suo metodo. “Io, strutturalmente, cerco di entrare in modo viscerale dentro il personaggio. Sul set mi sono addirittura fatto male. Mi sono ferito alla mano, convinto fosse più forte di un cancello; è che avevo ricevuto una scena piuttosto lunga da recitare proprio all’ultimo. Quando ho saputo che mi avevano preso per il film, ho pianto”. Un gradino (generazionale) più in alto c’è Vinicio Marchioni, che si emoziona quando Andrea Lattanzi lo elegge a modello, senza dimenticarsi di ironizzare. “Comincio a invecchiare! Questo è il mio secondo film con Riccardo (Ma cosa ci dice il cervello, ndr), la persona con più cuore che abbia mai conosciuto. Aspettando Godot è stato il primo spettacolo che ho affrontato alla scuola di recitazione. Il film, a volerlo definire, racconta degli ultimi. Parlare del teatro al cinema è difficile. Vergognoso, poi, che ci sia bisogno di un film per rivalutare il teatro e la sua utilità. Scusatemi, è che oggi mi sono svegliato così”.
Un’altra cosa che sta a cuore a Vinicio Marchioni, virtù di un mood battagliero (ma con ragione) che fa molto lunedì mattina, è di complimentarsi con la co-protagonista Sonia Bergamasco. In Grazie Ragazzi è la direttrice del carcere. La Bergamasco ha infatti appena vinto il Premio Ubu, riconoscimento teatrale italiano di prima grandezza, assegnatole per Chi ha paura di Virginia Woolf. Giusto sottolinearlo, soprattutto perché, spiega Marchioni, in Italia di cultura si parla troppo poco. Sonia Bergamasco elegantemente sorvola e ci ricorda che “quella con Riccardo e con Antonio è una vecchia conoscenza. Mi interessava sapere quante donne, nel nostro paese, ricoprono ruoli di primo piano nei centri di detenzione”.
Fabrizio Bentivoglio è un non protagonista, ma di spessore. La sua caratterizzazione del teatrante tipo prende di petto il luogo comune per rovesciarlo scherzosamente. “Diverso, il mio personaggio, da come uno si immagina l’attore, invidioso, vanesio. Lui è pieno di sé, ma ha un amico sfortunato e prova ad aiutarlo. Quando ci riesce, ne gode. In questi ultimi tribolati anni è nata un’associazione di attori chiamata U.N.I.T.A. Lo specchio di una categoria che non sempre lo è stata, ma lo è diventata”. Nicola Rignanese nel film è una guardia carceraria; nella vita, il membro del cast che sul carcere ha davvero qualcosa da dire. “Io sto dalla parte dei detenuti, per me questo personaggio è stato uno smacco! Ho lavorato per sei anni nel carcere di alta sicurezza di Volterra, anche con gente al 41-bis., in qualità di aiuto regista. Il mio contatto con i carcerati si è risolto in un’esperienza pazzesca. Con loro non è questione di psicologia, quella arriva dopo. Sono velocissimi, reagiscono subito agli stimoli. Il Godot l’ho fatto due volte, tutti i ruoli. Vedere il teatro fa sempre piacere, anche in galera”.
L’importanza della cultura, dentro e fuori il carcere
Grazie Ragazzi è diretto da Riccardo Milani che si occupa della sceneggiatura insieme a Michele Astori. Proprio quest’ultimo, parlando del rapporto tra l’originale francese e la versione italiana, spiega come “il primo impatto con Un Triomphe è stato: questo è un film bellissimo, come faccio a non rovinarlo? L’obiettivo era di renderlo più italiano, più popolare. Il film ha due elementi molto potenti: il potere consolatorio e il riscatto”.
Un aneddoto divertente ce lo racconta Carlo Degli Esposti, che produce per Palomar. “Se mi chiedete se c’è stato qualcosa di semplice in questo film, vi dico che con Riccardo Milani niente, ma proprio niente è semplice. Mi piace molto il risultato finale, lo considero più potente del film francese. Unico neo, è che a un certo punto ho avuto una lunga discussione, al telefono, con Bentivoglio. Gli dicevo, tu sei un attore importante, non accontentarti di questi film in cui fai 6/8 pose. Bene, poco dopo arriva Milani che mi fa: guarda, per il ruolo del direttore del teatro vedo solo Bentivoglio (il numero di pose era più o meno quello, ndr)! Gli ho detto va bene, ci parlo, ma dammi tre giorni che devo fargli sbollire l’arrabbiatura!”.
Riccardo Milani ha portato il cast in tournée a recitare il Godot, proprio come nel film. “Abbiamo girato diversi teatri, era il 2021, li abbiamo visti in condizioni particolari. In abbandono, vuoti, in attesa di ricominciare. Entrandoci dentro gli ridonavamo la vita. Fortuna poi che sono ripartiti”. Quanto al finale di Grazie Ragazzi, si è concesso qualche libertà. “Un finale originale, il nostro. Il punto è che io, da italiano, soffro per l’assenza della certezza della pena. Volevo dare ai ragazzi un’opportunità, l’opportunità della cultura. Penso di conoscere questo tipo di umanità. Ho girato film in quartieri impegnativi, non ritrovando poi alcune persone quando ritornavo per il seguito”.
Riccardo Milani ha pochi dubbi quando si tratta di identificare il tema dei temi. “Questo film mette al centro la cultura. Volevo raccontare un luogo all’interno del quale fa capolino la cultura. E come si comportano le persone che non hanno mai avuto l’opportunità di assaporarla (dentro e fuori il carcere). Mi è capitato spesso di girare in carcere o di portare lì i miei film. Ce ne sono anche, Rebibbia è un esempio, che fanno molto in questo senso“. Antonio Albanese, che protesta per il fatto che “nell’ultima campagna elettorale non c’è stata una voce, una sola, che abbia pronunciato neanche una volta la parola cultura. Trovo che sia vergognoso. Dare delle possibilità con la cultura è fondamentale”. Nicola Rignanese precisa e conlude, con una lucidità ammirevole. “Di esperienze teatrali in carcere ce ne sono fin troppe. La cosa che mi è piaciuta del film è che Riccardo non ha ostentato troppo l’aspetto terapeutico del teatro. Perché si tratta di una cosa concreta, pragmatica. In carcere il teatro è un lavoro”.