Sergio Castellitto al LFFEC17: “Recitare è un gesto confessionale, come la psicoterapia”
L'incontro con Sergio Castellitto dal Lucca Film Festival e Europa Cinema 2017: una disquisizione che va dall'arte della recitazione al rapporto tra cinema e psicologia.
La penultima giornata del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2017 ha visto Sergio Castellitto presenziare a una conferenza stampa a margine dell’incontro Piano d’ascolto: cinema e terapia in programma al Teatro del Giglio nel pomeriggio.
Il celebre attore italiano ha parlato a ruota libera del mestiere di attore e del suo rapporto con le serie televisive e con la psicoterapia, argomenti che ha vissuto sulla propria pelle grazie anche al clamoroso successo di In Treatment, show targato Sky giunto alla terza e ultima stagione.
Sergio Castellitto ha esordito disquisendo su cosa significhi per lui recitare:
Recitare è un gesto confessionale, come la psicoterapia. Recitare significa incontrarsi a metà strada fra te e un fantasma. Io non sono mai andato in terapia, ma ho fatto l’attore per 30 anni, quindi possiamo dire che l’ho fatta gratis con i registi e gli altri personaggi che ho incontrato.
L’attore però ogni tanto deve smagazzinare, ha bisogno di liberare la memoria da quello che ha accumulato, come per esempio le parole esatte che deve dire. Sembra banale, ma una parte del cervello si occupa solo di quello e un’altra di colorare e dare enfasi a quello che si dice. Il vero frustrato della situazione, al cinema come in teatro, è però sempre il regista, perché deve tentare di costruire un mondo attraverso il plastico della vita, senza mai riuscire a essere completamente contento e soddisfatto del proprio lavoro.
Sergio Castellitto ha poi parlato della crisi del cinema italiano, anche in relazione alla recente esplosione delle serie televisive di qualità:
Io sento parlare della crisi del cinema da quando faccio questo mestiere. C’è un’oggettiva crisi industriale, e il cinema è una poesia che costa un sacco di soldi, a volte senza neanche riuscire a essere veramente poetico. Nelle produzioni italiane degli ultimi anni c’è la corsa alla commedia a tutti i costi.
I produttori sembrano cercare solo quello, la prima cosa che ti chiedono quando gli proponi sceneggiature è: “Fa ridere?”. In Italia spesso si usa il cavallo di troia della commedia per cercare e inserire trovate e spunti inventivi. Io al posto delle trovate sono abituato alla scrittura, al racconto e alla drammaturgia. Per tanti anni senza la televisione non si poteva fare cinema. Siano benedette le serie televisive e la libertà di narrazione verticale! Viva Black Mirror per esempio, o serie del genere che permettono di sperimentare.
Mi sono accorto che non c’è più il vietato ai minori, ma il consigliato o sconsigliato. Il cinema ai tempi della mia gioventù era invece quasi sempre vietato ai minori. Adesso è tutto semplicistico, disperso, disossato. Io ho scoperto le serie televisive grazie ai miei figli, che mi hanno consigliato prodotti di grande qualità, come per esempio Breaking Bad.
Questo percorso verso la narrazione più approfondita della televisione lo stanno intraprendendo anche altri registi, ad esempio Paolo Sorrentino con The Young Pope. Il cinema per certi versi mi sembra in questo momento, con tutto il rispetto, un po’ archeologico, e gode di molta meno libertà rispetto alla serie televisive.
Rileggetevi Pasolini, il suo giudizio su arti e spettacolo. Mi chiedo quante possibilità espressive avrebbe avuto in più oggi un’artista della sua caratura. Dobbiamo fare tutti i conti con le serie tv in quando a drammaturgia e possibilità narrative. Bryan Cranston in Breaking Bad ha avuto la possibilità di approfondire il personaggio in tantissime maniere e da diversi punti di vista, e ha potuto realizzare qualcosa di veramente straordinario.
Sergio Castellitto ha poi approfondito il tema parlando delle produzioni televisive italiane:
La televisione italiana deve fare i conti con un pubblico storico e abitudinario. La RAI in particolare è anche un luogo politico. Per fortuna le tv commerciali hanno creduto anche in qualcosa di diverso. Io ho fatto tanti anni di televisione generalista, per esempio con le fiction su Padre Pio a Fausto Coppi.
Io l’ho fatta la televisione che si accende nella corsia degli ospedali, e c’è davvero qualcosa di benemerito in questo. Però poi trovato con In Treatment una possibilità straordinaria e ho capito che quella era una svolta commerciale e narrativa. Il successo di In Treatment conferma che si può fare un altro tipo di televisione: ciò che cambiano sono le parole, i silenzi, le battute, gli ascolti e come li utilizzi.
La cosa che un artista dovrebbe sempre cercare è lo scandalo. Lo scandalo significa avere il coraggio di sperimentare un’altra possibilità narrativa, e non fermarsi a quella più semplice. Un regista mi diceva sempre: “Fatevi venire almeno una seconda idea, perché la prima è già venuta a qualcun altro.” Prendete per esempio Black Mirror: quale rete italiana avrebbe il coraggio di fare una cosa del genere?. Per raccontare il 1992, che è stato il Vietnam italiano, hanno dovuto aspettare molti anni e munirsi di una vera e propria squadra di avvocati.
Sergio Castellitto ha poi parlato di Piccoli crimini coniugali, il film interpretato da lui e Margherita Buy da poco in sala:
È stata un’esperienza molto divertente, abbiamo girato in 14 giorni. È stata una scommessa narrativa e recitativa. Io e Margherita lo abbiamo fatto con grande piacere. I film devono prendere il loro pubblico, poco o tanto non ha importanza. L’importante è partecipare un progetto per un motivo: in questo film mi interessava molto la relazione con la protagonista femminile e la critica alla borghesia.
Sergio Castellitto ha poi concluso la conferenza stampa parlando del rapporto fra cinema e psicologia:
La capacità di ascolto viene vista quasi come un sacrificio. In realtà tutti abbiamo bisogno di salire su un palco e da lì vedere la collina e raccontare cosa abbiamo dentro. Sento parlare del disagio da tanti anni, e io faccio un mestiere particolarmente privilegiato, che mi ha dato una grande libertà interiore. Ho maneggiato l’ipocrisia per mestiere per 30 anni, quindi nella vita privata ho bisogno di sostanza umana.
Recitare può aiutare a superare disagi psicologici. Il coraggio di mettersi in mostra e di rovesciare fuori quello che si ha dentro è un gesto profondamente liberatorio. Le possibilità umane che la recitazione può dispiegare sono straordinarie, poi ovviamente esiste il talento ed esiste l’intelligenza.
C’è chi fa tesoro della propria esperienza e chi no, ma un attore fa sempre scorrere la sua vita, ogni volta si maschera e si inventa qualcosa di diverso.