Stefano Gariglio parla di Cure di Kiyoshi Kurosawa, tra curiosità e difficoltà del cinema odierno
La nostra intervista a Stefano Gariglio, fondatore di Double Line, la casa di distribuzione che ha portato al cinema (finalmente!) Cure di Kiyoshi Kurosawa.
Ci voleva l’audacia e la passione per il cinema orientale della Double Line per portare nelle sale italiane Cure, il capolavoro di Kiyoshi Kurosawa. Una pietra miliare del cinema nipponico anni ’90 della portata di Cure, presentato per la prima volta al Tokyo International Film Festival 1997, che però, “a eccezione di pochissimi passaggi in festival e rassegne cinematografiche”, non aveva mai visto la luce nel Bel Paese e questa, dice Stefano Gariglio, fondatore (insieme ad Antonio Scuzzarella) della suddetta etichetta distributiva, “Ci è sembrata una grossa lacuna, anche perché sulle web community molti cinefili ritornavano regolarmente su questo titolo, invocandone quantomeno un’edizione italiana in blu-ray”.

La nostra chiacchierata con Stefano Gariglio è partita proprio dal percorso distributivo italiano di Cure. Il fondatore dalla Double Line ci ha raccontato che il loro lavoro è iniziato lo scorso autunno: “abbiamo contattato la Kadokawa, produttrice del film, per avviare la trattativa. Una volta assicuratici i diritti per l’Italia, abbiamo iniziato le lavorazioni sui materiali inviando al contempo una prima comunicazione a tutti i cinema. Abbiamo proposto il film principalmente alle sale d’essai, molte delle quali avevano già proiettato i nostri film precedenti, e al circuito The Space. I risultati sono stati incoraggianti, fin dall’anteprima a Torino che ha registrato un sold-out, per cui continueremo a mostrare il film anche prossimamente, nelle rassegne. Siamo i primi al mondo a doppiare il film e speriamo che proporlo anche in questa veste possa aiutare un maggior numero di spettatori ad avvicinarsi al cinema di un autore raffinato come Kurosawa“.
Stefano Gariglio spiega Cure di Kiyoshi Kurosawa e ci svela qualche curiosità sul film
Addentrandoci nella trama del film, abbiamo portato all’attenzione di Gariglio un parallelismo tra quanto narra Cure e i fatti di cronaca, scivolando poi nel rapporto tra rappresentazione della violenza e società. Facendo perno soprattutto su una frase riportata nella pellicola: “Non c’è spiegazione al crimine”, abbiamo indotto Stefano Gariglio a darci la sua interpretazione a riguardo.
“Cure utilizza il thriller psicologico per indagare la natura umana, mostrando come la violenza possa emergere non solo da influenze esterne, ma anche dalle profondità inesplorate della mente. Il film invita lo spettatore a riflettere sulla propria vulnerabilità e sulla sottile barriera che separa la ragione dalla follia. Kurosawa però non cerca di spiegare la violenza in termini razionali: la rappresenta come qualcosa di contagioso, che si insinua nelle crepe della società e dell’individuo. Non è un’indagine sulle cause, ma una riflessione sul vuoto, sull’alienazione, sul potenziale oscuro che esiste in ognuno di noi.
La cronaca odierna ci parla spesso di omicidi compiuti da persone apparentemente insospettabili, che si tramutano in assassini dal giorno alla notte, e al contempo i social ci mettono davanti a situazioni estreme, in cui soprattutto i giovanissimi arrivano a rischiare la vita per futili motivi e spesso per emulazione (una forma di contagio anch’essa!). In questo senso, il film è sicuramente attuale nel tema. Aggiungo che inizialmente il titolo doveva essere Evangelist, ma i produttori preferirono cambiarlo perché in Giappone era ancora aperta la ferita legata al terribile caso degli attentanti col gas sarin per mano della setta Aum Shinrikyo in cui un fanatico religioso aveva indotto alcuni seguaci a commettere un gesto assolutamente folle. In Cure, Mamiya dice di voler svuotare le persone tirando fuori i loro fantasmi interiori e le porta all’omicidio. A mio avviso, Cure si inserisce tra quei film che ci mettono di fronte al rischio di una violenza priva di senso, figlia della crisi dell’uomo moderno, come fanno per esempio, pur con registri diversi, i film di Michael Haneke e dei fratelli Coen. Ma di certo non può darci una risposta precisa su questo problema”.

Riallacciandoci sempre alla domanda di prima: Cure si porta benissimo i suoi 28 anni e, probabilmente, se lo vedessimo da comuni spettatori, senza sapere nulla a riguardo, potremmo facilmente pensare che sia stato prodotto nel 2025. È merito della mano di Kurosawa o è colpa di una società che continua a fare sempre gli stessi errori?
“Direi che la risposta sta proprio nel punto d’incontro tra le due cose. Da un lato, Cure si mantiene attuale per la lucidità con cui Kiyoshi Kurosawa osserva e mette in scena l’alienazione, il vuoto esistenziale, la perdita di identità. Quindi sì, c’è senza dubbio la forza della sua regia: asciutta, ambigua, magnetica. È lui a darci un film che sfugge alle mode, che non si piega al tempo.
Dall’altro lato, il fatto che sembri così ‘contemporaneo’ ci dice molto su quanto poco siano cambiate certe dinamiche sociali. L’apatia, la violenza insensata, l’incapacità di comunicare… sono ferite ancora aperte.”
Parlando di sale, streaming e festival, se potesse, cosa e come cambierebbe il sistema?
“Purtroppo noi di Double Line abbiamo conosciuto questo settore quasi esclusivamente nell’epoca pandemica e post-pandemica. Una cosa che abbiamo imparato quasi subito, però, è che lo step più difficile nel nostro lavoro è proprio il ‘piazzamento’ del film nelle sale: i titoli in circolazione sono tanti quanto in passato, ma il numero di schermi in Italia è diminuito sensibilmente, quindi spesso ci si muove a gomitate”.
In Double Line siete cultori del cinema asiatico, quali sono gli altri film del genere che vorreste portare in Italia?
“Sì, lo siamo sempre stati. Amiamo tutto il cinema orientale e in particolare quello giapponese, inclusi gli anime. Non abbiamo nessun altro titolo prenotato al momento, stiamo pensando solo a Cure. Posso però dire che guardiamo con favore sia ai titoli nuovi che a quelli più vecchi che, per una ragione o per l’altra, sono stati trascurati dalle precedenti distribuzioni. Questa primavera in sala c’è una discreta concentrazione di film orientali (gli ultimi di Tsukamoto e Jia Zhangke, per esempio) e la cosa ci fa ben sperare“.