The Hater: intervista agli autori del thriller, tra Joker, Fincher e i videogame

In occasione della 12° edizione del CiakPolska Film Festival, abbiamo incontrato Jan Komasa e Mateusz Pacewicz, gli autori del film Netflix The Hater, opzionato da HBO per la realizzazione di una serie televisiva. Ecco la nostra intervista

In occasione della 12° edizione del CiakPolska Film Festival, abbiamo incontrato Jan Komasa e Mateusz Pacewicz, rispettivamente regista e sceneggiatore di The Hater, thriller socio/politico sulla crescita e formazione di un hater professionista e non solo, nella Polonia dei nostri anni. Il film è disponibile da diversi anni sul catalogo di Netflix.

La nostra intervista

Come nasce l’idea di The Hater?

Jan Komasa – È curioso. Ho sempre cercato di visualizzare il mio film come una sorta di algoritmo. Fortemente radicato nel presente e capace di restare impresso nella memoria dello spettatore perfino una volta finito e così a distanza di tempo. Mi sono sempre concentrato su questa questione dell’ancoraggio, centrale tanto rispetto al cinema, quanto alla serialità televisiva. Un elemento che ho ritenuto interessante e che è presente nel film in molti modi e così nella nostra società di oggi, è quello della promessa. Tutti noi promettiamo qualcosa a qualcun altro. Soldi, sogni, perfino qualcosa di non aderente alla realtà, perciò di irraggiungibile. Accade molto più frequentemente di quello che si può immaginare. Anche se a dirla tutta, il film nasce da un dialogo che io ho avuto molto tempo fa con il mio produttore. Prima di lavorare con me, lui lavorava all’interno di una stazione radiotelevisiva polacca, dalla quale poi ha scelto di allontanarsi a causa dei cambiamenti del vento politico, capaci di rendere davvero insostenibili le condizioni lavorative lì.

Così un giorno ci siamo incontrati e lui mi ha confessato: “Nella nuova realtà che ci circonda, si investono moltissimi fondi per foraggiare gli haters e i troll. La situazione sta cambiando radicalmente, condizionando totalmente la nostra realtà”. Questo mi ha dato molto a cui pensare e così ho deciso di dare vita a questo film. Io avevo già il mio protagonista in mente, per tutta una serie di circostanze e così l’ho unito e reso partecipe di questa confessione e fotografia del reale, rivelatami dal mio produttore. Una combinazione perfetta no? C’è da dire, che trattando di politica, era decisivo per me che questo film non fosse in alcun modo schierato. Non è infatti né di destra, né di sinistra. Tornando per un attimo al mio protagonista, potremmo definirlo una versione alternativa di Joker. Se in America da decenni, anzi da ventenni, ci si concentra sulla costruzione di più versioni di Batman, qualcuno ad un certo punto si interessa a Joker. Così è stato anche per me. È una figura che colpisce così duro, perché se ci pensiamo bene la figura di Joker in qualche modo, appartiene a ciascuno di noi, in modo differente questo è certo. E questo è tutto sul processo del film e del mio protagonista.

Il film ha un taglio evidentemente Fincheriano. Quanta influenza ha avuto su di te il tuo lavoro questo autore? Penso a The Social Network e Millennium – Uomini che odiano le donne

Jan Komasa – Sì certo, io adoro il cinema di David Fincher, soprattutto in quanto autore e maestro del new thriller, genere che a me interessa particolarmente. Fincher indaga spesso la psicologia condotta all’estremo, le derive pericolose della mente umana, altro elemento che mi interessa. È qualcosa che spesso annoia, io invece lo trovo avvincente. Anche se in qualche modo la cosa che mi è più aderente non è Fincher, ma Il talento di Mr Ripley, il romanzo di Patricia Highsmith e quindi il suo protagonista.

The Hater sfrutta sorprendentemente i linguaggi del videogame, rompendo la barriera e il confine che da sempre separa il linguaggio cinematografico, da quello videoludico. Quanto il futuro del cinema e quindi di quel modello di scrittura secondo te, è destinato a sconfinare nel videogame?

Mateusz Pacewicz – Domanda interessante. Io non sono un videogiocatore, non ho moltissima esperienza in questo senso, però osservando come evolve il mondo e così la tecnologia, penso che sia sempre più frequente questo spostamento. Tutti coloro che prima scrivevano per il cinema, sono destinati si sposteranno presto verso il mondo dei videogame e quindi come dici tu, un altro modello di scrittura, differente eppure simile a quello cinematografico. Un mio grande amico, autore del film commerciale più forte al momento in Polonia, che si intitola Kos, che è proprio un prototipo di quello che tu dici, un ibrido, si è spostato di recente a lavorare per la realtà dei videogame. Anche perché in Polonia, a differenza del cinema, il mercato del videogame ha un enorme successo. Ci sono moltissimi autori di videogame di incredibile talento. Basti pensare a The Witcher. Questo è il futuro.

Intervista agli autori di The Hater, tra Joker, Fincher e i videogame

Parlando delle origini di The Hater. Qual è stata la fonte originaria? Come nasce il film?

Mateusz Pacewicz – L’idea è nata dal fatto che in Polonia da qualche tempo, è tornato in auge la cultura popolare delle fasce più basse e così la storia popolare, che non è quella che si racconta normalmente, ossia la parte alta, brillante della società, piuttosto quella degli ultimi. È infatti nata un’altra prospettiva, che ha dato vita ad una nuova letteratura capace di raccontare questa classe sociale fino a qui poco considerata. È una sorta di trend e ho pensato che mi sarebbe piaciuto raccontarlo, dal punto di vista di un vero e proprio servo della gleba, che guarda la classe della nobiltà polacca e la racconta così dal suo punto di vista, modellandola quindi secondo il suo sguardo e la sua personalissima ricezione. Tutto poi assume una maggior importanza se si tiene a mente il passato recente, tanto politico, quanto sociale della Polonia, sempre rispetto a questa profonda spaccatura e lotta tra classi.