Thierry Frémaux racconta Lumière – L’avventura del cinema: “Senza film la vita è un errore”

Thierry Frémaux incontra a Roma la stampa italiana per parlare di Lumière - L'avventura del cinema, nelle sale italiane dal 3 aprile 2025 per Cineteca di Bologna e Lucky Red.

Ha ragione Gian Luca Farinelli, il direttore della Cineteca di Bologna, a sottolineare l’importanza del lavoro di Thierry Frémaux. Per i più è solo (!) il boss del Festival di Cannes; in sordina, è anche il regista e il curatore di uno straordinario progetto di recupero di gemme risalenti agli albori del cinema. Lumière – L’avventura del cinema, nelle sale italiane il 3 aprile 2025 per Cineteca di Bologna e Lucky Red – con un pregevole lavoro di restauro del laboratorio L’immagine Ritrovata – assembla, organizza e dà coerenza a più di 100 filmati realizzati dai fratelli Louis e Auguste Lumière tra il 1895 e il 1905. I filmati, conosciuti come “vedute” e della durata di 50 secondi ciascuno, fotografano brevi scene di vita quotidana, in Francia e all’estero. La breve durata, spiega Farinelli, ne rendeva impossibile una programmazione coerente; organizzati nell’ampio collage di Thierry Frémaux – il commento, per la versione italiana, è di Valerio Mastandrea – le cose cambiano, drasticamente. Addirittura, scherza Gian Luca Farinelli, veniamo a sapere che sono stati i fratelli Lumière a inventare il format di maggior successo della storia: i video sui gatti!

Lumière - L'avventura del cinema; cinematographe.it

“In questo caso” esordisce ironicamente Thierry Frémaux “posso dire di aver girato un film sublime, dal momento che le vedute sono dei Lumière e non c’è niente di mio! Il loro posto nella storia del cinema è bizzarro. Tecnicamente, non sono gli inventori, e nemmeno vengono equiparati ai primi cineasti. Io ne sapevo poco finché, nel 1982, sono andato a Lione per partecipare alla conferenza stampa di presentazione dell’Institut Lumière (di cui oggi Fremaux è il direttore, ndr). Partecipava anche Bertrand Tavernier e, se devo essere sincero, ci ero andato essenzialmente per vederlo. Conoscevo i due tre filmati più famosi, come l’Uscita dalla Fabbrica, L’innaffiatore innaffiato e L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat. Pensate che hanno realizzato più di 2000 vedute”. Il suo è stato un lavoro di recupero, assemblaggio e riscoperta, sorretto dal rigore dello storico e dalla passione del cinefilo.

“Porto sempre con me una chiavetta Usb con dentro tutte le 2000 vedute, per guardarle quando ne ho voglia. Louis Lumière (è lui, più che il fratello Auguste, a dirigere la gran parte dei filmati, ndr), con il supporto dei suoi collaboratori, pur non figurando come inventore del mezzo, è stato fondamentale per lo sviluppo del cinema. Lo stereotipo è che il vero padre del cinema sia stato Georges Méliès (il celebre autore del Viaggio nella Luna – 1902) e i Lumière fossero dei meri documentaristi. Non è così. Méliès reinventa il mondo, e da lui si parte per arrivare a James Cameron; i fratelli Lumière raccontano le cose in modo più naturale. Da Méliès discende Fellini, i Lumière sono già Rossellini. Dal primo viene Hollywood, dai secondi la Nouvelle Vague, Murnau, Kiarostami e Alice Rohrwacher. I film di Louis Lumière non li puoi raccontare, esistono per il gesto del cinema, per il posizionamento della macchina da presa, per come raccontano la vita”.

Lumière – L’avventura del cinema: l’immagine è questione di responsabilità, ieri come oggi

Thierry Fremaux, direttore di Cannes: "l'Oscar? Solo i film americani dovrebbero vincerlo" - Cinematographe.it

L’errore sarebbe pensare che il film, nel perorare la causa cinefila dei Lumière, sia un velato attacco al cinema di finzione. Thierry Frémaux ci tiene a fare chiarezza. “Io sono per E la nave va di Fellini (1983) come per Viaggio in Italia (1954) di Rossellini, amo entrambi i modi di fare cinema. D’altronde, nella letteratura anglosassone si parla spesso di letteratura non-fiction; non è finzione, ma è sempre letteratura. Vale anche qui: quella dei Lumière non è finzione, ma è pur sempre cinema”. Scopriamo che le domande che i primi cineasti si ponevano non erano poi così diverse dalle attuali. Anche allora, prima di tutto, bisognava chiedersi “dove mettere la macchina da presa. Si comincia sempre scegliendo la posizione. Bertrand Tavernier citava John Ford che, prendendosi un po’ in giro, si vantava di saper sempre dove mettere la macchina, con un’eccezione. Quando c’era gente seduta intorno a un tavolo per mangiare, non sapeva che pesci prendere! Raoul Walsh, Howard Hawks, Alfred Hitchcock, mettevano sempre la macchina da presa nel posto giusto. Vale anche per Louis Lumière. La difficoltà ulteriore, nel suo caso, è che si trattava di lavorare con una macchina senza visore, che costringeva a calcoli accuratissimi per costruire l’inquadratura“.

La differenza fondamentale tra ieri e oggi, cinematograficamente parlando, è riassunta dalla parola responsabilità. “Oggi si filma di tutto senza la minima assunzione di responsabilità nei confronti di quello che si riprende, e infatti su Internet si trova qualunque cosa, anche video con morti. Claude Lanzmann (l’autore di Shoah – 1985), di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, sottolineava come il cinema si sia fermato ai cancelli di Auschwitz. L’orrore non si filma, il cinema è un’arte etica e uno strumento di pace. Fateci caso: i nazisti non hanno mai filmato quell’orrore perché sapevano bene che la macchina da presa è una cosa seria, al contrario dei cellulari, che non sono seri per niente. Il film invita a riflettere sulla responsabilità che ci assumiamo scegliendo un’immagine e veicolando un certo tipo di significato”.

C’è un ironico e involontario gancio con l’attualità che arriva dalle vedute americane. Quando i collaboratori di Louis Lumière sbarcano in America Thomas Edison, ricorrendo a una legge che vietava l’importazione di prodotti stranieri in presenza di un equivalente americano – era l’inventore del kinetoscopio, precursore del cinematografo – li costringe a tornarsene in Francia sguinzagliando gli agenti della Pinkerton, come succedeva in Butch Cassidy (1969) a Paul Newman e Robert Redford! Ci vorrà un anno per risolvere la questione e permettergli di tornare in America. Anche allora c’era un forte protezionismo. Come vedete, Trump non si è inventato proprio nulla!”. Parentesi di attualità a parte, Thierry Frémaux ricorda con gratitudine il lavoro di restauro del team de L’Immagine Ritrovata.

“Il restauro è stato realizzato rispettando la velocità, l’inquadratura, l’idea che c’era dietro l’immagine originale e originaria”. Non sempre il materiale si presentava in buone condizioni, come nel caso di una veduta cittadina di Kyoto. “Abbiamo verificato la possibilità di un recupero della qualità dell’immagine ma non è stato possibile, e non c’erano nemmeno versioni alternative. Ma è talmente bella, questa veduta, che l’abbiamo tenuta così com’è”. Niente intelligenza Artificiale, per Lumière – L’avventura del cinema, solo “quella umana. Il problema è la pirateria. In Russia c’è un tipo che pirata le vedute, le colora, le adatta alla sensibilità di oggi servendosi dell’IA; lo stiamo combattendo con ogni mezzo. Come sosteneva Bertrand Tavernier, non ha senso modificare e scimmiottare le opere del passato, meglio farne di nuove. Sarebbe come prendere Proust e Dante e imbottirli di espressioni moderne per attualizzarne il messaggio. Il cinema degli albori è un patrimonio da difendere”.

Ottimismo francese, pessimismo americano e il futuro del cinema nel suo passato

Lumière - L'avventura del cinema; cinematographe.it

Il cinema dei Lumière regge il confronto con la modernità non solo per la brevità del modello o per l’immediatezza dei soggetti. Anche la nuova “casa” delle vedute sarà in perfetta sintonia con le innovazioni del XXI secolo. “A settembre del 2025” spiega Thierry Frémaux, “inauguriamo Lumière+, la piattaforma streaming che consentirà a tutti gli interessati di accedere alle vedute, senza commento musicale o narrazioni”. In effetti, Lumière – L’avventura del cinema prende di petto il secolo (e più) che ci separa dalle vedute per dimostrare che il tempo e il cinema dei Lumière è anche il nostro, e viceversa. Oggi come allora, c’erano sale cinematografiche. Adesso, però, il modello è in crisi. Thierry Frémaux, guarda al futuro con paura o ottimismo? “La pandemia è riuscita dove nemmeno due guerre mondiali ce l’avevano fatta: a chiudere tutti i cinema, nello stesso momento. A quel punto sono esplose le piattaforme streaming, che ci hanno consentito di vedere i film anche restando a casa; credo siano un’invenzione straordinaria. Tutti i media erano concordi nel ritenere che la sala fosse spacciata. Del resto, si è detto lo stesso negli anni ’50 con l’arrivo della tv, negli ’80 con i vhs, poi con il digitale. Quando ho cominciato a lavorare a Cannes, nei primi anni ‘2000, l’epoca dei reality show, il ritornello era: il cinema è morto. Alla fine, però, ha sempre trionfato”.

Ottimismo, pessimismo; è anche, soprattutto, questione di prospettive. “Quentin Tarantino mi ripete spesso che sono ottimista perché sono francese, ed è vero che nel mio paese c’è un forte sostegno mediatico, professionale, culturale verso il cinema. Il gesto dei Lumière è fare il cinema, e fare il cinema, per loro, significava andare al cinema. L’hanno inventata loro la sala, l’idea della sala. Non Edison, che era un affarista e pensava soprattutto ai soldi, e si diceva: ma riunendo così tanta gente nello stesso spazio, facendogli vedere il film una volta sola e per di più pagando un misero biglietto, dove sono i soldi, dov’è lo sfruttamento commerciale? Pensava che quei francesi fossero pazzi. Non lo erano. I 2000 filmati servivano a suscitare e consolidare la curiosità verso il mezzo”.

Non si vive (bene) senza cinema. “Nietzsche diceva che senza musica la vita è un errore. Benissimo, aggiungo che anche senza cinema la vita è un errore. Ma dobbiamo farlo capire a tutti”. Lumière – L’avventura del cinema è la seconda tappa della riscoperta cinefila di Auguste e Louis Lumière. C’era stato, nel 2016, il primo della serie, Lumière – La scoperta del cinema, “che in Francia” ricorda Thierry Frémaux, “ha catturato 135.000 spettatori, e spero che con il secondo si possa migliorarne il successo. Vedere un film di questo tipo è come pulirsi gli occhi da tante brutture e imparare a riconsiderare il silenzio. Come avrete notato, alcune vedute sono lasciate deliberatamente senza commento, parlato o musicale. Hanno molto da insegnarci sul cinema”.

La chiusura è sugli sforzi e le ricompense di un lavoro di questo genere. “Sia chiaro che di sostegno dello Stato non ne abbiamo ricevuto. Servono soldi e coraggio per creare un film di questo tipo, e abbiamo dovuto cavarcela da soli. Ci siamo riusciti, perché avevamo una forte convinzione”. Per andare avanti, bisogna guardare all’ottimismo dei Lumière. “A quell’epoca, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la sensazione era di essersi lasciati alle spalle un secolo complicato, cominciato con Napoleone e proseguito con tante guerre e sconvolgimenti. Invece, di lì a pochi anni, è arrivata la Prima Guerra Mondiale e, più avanti, la Shoah, la pagina più nera della storia umana”. Ma non potevano prevederlo; molto semplicemente, avevano fiducia nel futuro. “Tra l’avvento del cinema e la fotografia a colori, che risale al 1903, l’idea era che quello che sarebbe venuto dopo sarebbe stato straordinario”.