Tori e Lokita: i Dardenne spiegano come si gira una scena di violenza (e altri segreti)

Tori e Lokita, nelle sale italiane dal 24 novembre 2022, è il ritorno dei maestri del cinema sociale Jean-Pierre e Luc Dardenne, a Roma per incontrare la stampa italiana e parlare del film.

Jean-Pierre e Luc Dardenne, sarebbe meglio riferirci a loro come ai fratelli Dardenne, perché è così che li conosce il pubblico di mezzo mondo, pluripremiato mostro cinefilo a due teste, sono a Roma per presentare al pubblico e alla stampa italiana Tori e Lokita. Premio Speciale del 75° anniversario al Festival di Cannes 2022, in sala per Lucky Red a partire dal 24 novembre 2022. Paladini di un umanesimo capace di conciliare sentimento, rigore formale e vocazione realista, stavolta i fratelli ci parlano della storia di due rifugiati africani e dell’incredibile amicizia/fratellanza che li tiene uniti malgrado tutto. Nel Belgio di oggi, come d’abitudine, sul fondo di un esilio doloroso e al netto di un oceano di ingiustizie.

Jean-Pierre e Luc Dardenne; cinematographe.it conferenza stampa
Jean Pierre (a sinistra) e Luc (a destra) Dardenne.

Quanto alla scelta dei protagonisti, che si chiamano Pablo Schils (Tori) e Joely Mbundu (Lokita), Luc Dardenne spiega come “non parliamo di professionisti, non lo erano quando li abbiamo scelti, lo sono diventati girando. Ci siamo arrivati come d’abitudine, con i casting. Semplicemente, erano i più bravi. In genere noi non discutiamo molto la sceneggiatura, non spieghiamo i personaggi. Ma loro, Lokita aveva 16 anni e mezzo al momento delle riprese, Tori 12, li hanno capiti immediatamente, ce ne siamo resi conto già provando”.

Di fronte alla sfida del film i due giovani attori non hanno però reagito allo stesso modo. “Mentre lei ha sempre cercato di mettere una distanza tra sé e il personaggio, indossando una parrucca quando non girava e togliendosela al momento di girare, per rimarcare le differenze tra Joely e Lokita – addirittura ci ha rivelato alla fine delle riprese che sentiva di aver un po’ perso l’innocenza lavorando al film – il piccolo Tori, complice l’età, l’ha presa come un’avventura. Avrà tempo di capire, crescendo. Sul set, scherzava sempre sul fatto che era lui, dei due, quello che non moriva. Le diceva, guarda che sono io che ho più scene e che sopravvivo alla fine, sono il più importante!”.

Jean-Pierre e Luc Dardenne sull’origine di Tori e Lokita e sui segreti del loro modo di intendere il cinema

Tori e Lokita cinametographe.it conferenza stampa

L’ispirazione arriva in momenti diversi da fonti diverse. “In origine c’è una sceneggiatura di una decina d’anni fa” ricorda Jean-Pierre Dardenne “su una madre immigrata e i suoi due figli, che però non ha portato a nulla. Più recentemente, si parla di un paio d’anni fa, siamo rimasti sconvolti leggendo sui giornali belgi, so che se ne è parlato anche in Italia, di tutti questi minori non accompagnati che arrivano in Europa e poi spariscono nel nulla. Inaccettabile, in moderne società democratiche come le nostre. Da qui siamo partiti per raccontare la storia di due giovani e della loro amicizia”.

Senza lieto fine. Luc Dardenne ha ben chiaro il motivo. “Semplicemente non ci sembrava appropriato, per Tori e Lokita. La morte della ragazza però testimonia, a un livello più alto, dell’amicizia tra i due. Lei non vuole morire, non ha nulla della martire, anzi dice al ragazzo di nascondersi quando si tratta di fare l’autostop perché vuole andare avanti”. In realtà, a proteggere i minori da abusi e violenze ci sarebbero importanti dispositivi giuridici, ma c’è sempre spazio per fare qualcosa in più. “La Convenzione di Ginevra protegge i minorenni. Andrebbe rivista per estenderne la protezione anche oltre il diciottesimo anno di età”.

Il metodo Dardenne si sviluppa a partire da un’elaborata operazione di riconoscimento. Jean-Pierre Dardenne si spinge a parlare di ossessione. “L’ossessione di dar vita a Tori e Lokita. Restituirli come individui, persone, non semplicemente personaggi, o simboli di un gruppo, gli immigrati. No, noi cerchiamo di raccontare la vita di due esseri umani, nella speranza di ingaggiare con lo spettatore un dialogo silenzioso”. Più laconico, comunque incisivo, Luc Dardenne. “Cerchiamo di trasformare i personaggi in persone. Meno intrigo c’è nella storia, più risalta l’umanità”. In un mondo in cui si può parlare di uomini e donne in termini di carico residuale, è importante “fermarsi, dare il via a una conversazione, non lasciarsi travolgere dalle parole. Il cinema questo lo può fare. Ovviamente è un’espressione orribile quella utilizzata dal Ministro dell’Interno italiano. Col nostro film mettiamo al centro del racconto due individui, non due simboli. Due individui in cerca di una vita normale. Insieme a noi, non contro di noi”.

Alla fiera dell’est, la Brexit e i suoi effetti, come si filma una scena di violenza

Tori e Lokita cinematographe.it
conferenza stampa

Luc Dardenne parla anche per il fratello quando rivendica le possibilità di un cinema che vada oltre il semplice intrattenimento. “Se non credessimo di poter fare film in questo modo, neanche ci proveremmo. Oggi in Europa la gente è inquieta, c’è tanta paura in giro. Paura per la crisi, l’energia. Alcuni, effettivamente, si lasciano condizionare da tutte queste preoccupazioni. Ci sono però anche tante altre persone che resistono e si chiedono come sia possibile arrivare a costruire una società più giusta, anche in relazione a fenomeni come migrazioni e accoglienza. Come registi crediamo davvero che il nostro film possa avere un impatto. Poi, può avere successo o no, ma questa è la vita. Raggiungere anche poche persone può fare la differenza”.

Dal punto finanziario, “in Europa le cose vanno ancora bene. Certo abbiamo parlato con Ken Loach, che ci ha spiegato come lì da lui, per effetto della Brexit, le cose sono decisamente peggiorate. Con la Brexit i fondi, inevitabilmente, si sono ridotti”. Una curiosità musicale che risulterà sfiziosa per il pubblico italiano è la presenza in colonna sonora di Alla fiera dell’est, il popolarissimo brano reso celebre da Angelo Branduardi e che, col suo tono fiabesco e la circolarità della struttura, entra davvero nel cuore, emotivo e narrativo, di Tori e Lokita. Ma perché proprio Alla fiera dell’est?

Ce lo rivela Jean-Pierre Dardenne. “Nella sceneggiatura, i ragazzi sbarcano in Italia e lì una donna gli insegna una canzone del posto. Non sapevamo quale usare. Ci siamo confrontati con un amico, italiano di terza generazione, che doveva aiutare i ragazzi con la lingua e ovviamente gli abbiamo chiesto un parere. Lui ci ha raccontato che quando a otto anni i genitori, con cui in casa parlava solo francese, l’hanno mandato a scuola d’italiano, la prima cosa che ha imparato è stata proprio la canzone di Branduardi, di cui comunque siamo grandi ammiratori. Sembra che il pezzo, per molti italiani di seconda o terza generazione, sia la prima cosa che si impara della lingua madre”.

Tori e Lokita è un film commovente ma non facile. Forse che per questo meriterebbe di esser visto anche da un pubblico di più piccoli? “Ne dovremo parlare con il nostro distributore!” scherza Jean-Pierre Dardenne “sicuramente è una storia difficile, come in fondo anche quella di Pinocchio. Magari farlo vedere a bambini di sei anni è esagerato, ma salendo a dieci-undici, si può fare”. La difficoltà del film è anche la rappresentazione di una violenza soffocante. Raccontata, comincia Luc Dardenne “in modo non esplicito. Abbiamo scelto di adottare il punto di vista di Lokita, che è la vittima. Non c’era bisogno di mostrare lo striptease, basta rendere l’idea della sottomissione. Tra l’altro in scena c’è anche Tori, che funge da testimone silenzioso. In sceneggiatura avevamo pensato di mostrarlo che si copre gli occhi con le mani, ma è una soluzione che abbiamo scartato”. Anche perché, spiega Jean-Pierre Dardenne “la forza dell’immagine deriva da quello che scegliamo di non mostrare, la violenza è più vivida in questo modo. Il fatto che ci sia un testimone la rende ancora più forte”.