Intervista a Valerio Carocci. Verso il Cinema America e oltre
Abbiamo incontrato il presidente dell’Associazione Piccolo America, che da alcuni anni organizza arene gratuite a Roma. Ne è venuta fuori un’intervista fiume su cinema, star passate per Trastevere e progetti, che riportiamo integralmente.
Intervista a Valerio Carocci, il fondatore dell’Associazione Piccolo America
C’è qualcuno dei tanti ospiti del Cinema in Piazza che ti è rimasto nel cuore, che non dimenticherai mai?
“Il rapporto con ogni attore o regista è sempre stato interessante. Poi questa curiosità reciproca, da un lato un gruppo di ragazzi cinefili arrivato a costruire questa storia, dall’altra parte ciò che gli ospiti vengono a dire alle piazze, creano ogni sera una nuova chimica grazie soprattutto al pubblico che spesso interviene con domande particolari. Sempre rispetto all’evento, mi piace seguire anche come lo promuoviamo e lo costruiamo, l’arena dove lo inseriamo. Quanta gente e quali tipologie si avvicinano a noi. Mentre il dato più interessante ci dice quante persone hanno visto o non hanno visto il film, e quante sarebbero andate al cinema se non ci fosse stato quell’evento quella sera. Chiediamo spesso, infatti, quanti di loro oggi, se non ci fosse stato questo evento, sarebbero andati a vedere questa o quella proiezione in un cinema normale o un’arena a pagamento. L’altra domanda è quanti hanno visto il film, da che quartiere vengono, quindi m’interessa tanto la relazione tra l’ospite e la composizione del pubblico. Tra gli incontri più memorabili ricordo veramente con tanto affetto ed emozione quello per L’Odio, le conversazioni con Mathieu Kassovitz, Jeremy Irons, e poi le volte che salirono sul palco Bernardo Bertolucci con Ultimo tango, o Roberto Benigni. Ma fu bellissima anche la serata con Valeria Golino e Francesca Marciano per Miele. E non dimenticherò mai quando Debra Winger ha ricordato Bernardo, commuovendosi”.
Anche il Piccolo America si è dovuto adeguare alle procedure anti-covid. Come avete organizzato le arene e il flusso di spettatori rispetto a questa nuova necessità?
“Abbiamo applicato tutte le misure necessarie al distanziamento fisico degli spettatori. Ci sono delle piazzole assegnate per ogni persona che accede. In un’unica piazzola possono sedere congiunti o persone alternate, quindi rimangono due posti vuoti su quattro. C’è la prenotazione obbligatoria con il nominativo, quindi per partecipare alle arene si apre sul sito la possibilità di prenotarsi per la proiezione. C’è il gel disinfettante all’ingresso e il termoscanner viene utilizzato per tutto il pubblico. Il personale naturalmente con la mascherina e igienizzazioni ogni serata. Il numero del pubblico praticamente è molto a fisarmonica perché dipende da quante persone stanno in una piazzola di congiunti. Se arrivano quattro congiunti per ogni piazzola, di fatto non abbiamo ridotto le platee. Ma se su ogni piazzola sono tutti non congiunti, naturalmente si dimezzano i posti totali”.
Valerio Carocci: “Si al distanziamento fisico, no al distanziamento sociale”
Sempre a proposito di questo aspetto, come immagini sarà la nuova stagione cinematografica?
“La stagione dal punto di vista della gestione degli spazi a livello fisico l’abbiamo già vista su alcune sale che hanno riaperto, e c’è poco da immaginare. Ciò che possiamo sperare è che a un certo punto si riattivi il sistema della distribuzione, e quindi che ci sia un momento di grande solidità dal punto di vista della programmazione, perché naturalmente se tante opere non sono uscite, ma vengono immesse all’interno della filiera distributiva e dell’esercizio insieme, ci potrebbe essere una maggiore pluralità e possibilità di accesso per gli esercenti al prodotto. Noi abbiamo sempre avuto difficoltà ad ottenere film perché ancora non siamo esercenti. Però questa cosa è sempre stata così in quanto c’era un numero limitato di film che uscivano. Nel momento in cui c’è stato un blocco e a un certo punto si distribuiranno più film insieme, magari tante più sale, anche indipendenti, riusciranno ad avere titoli particolari e forti da proporre al pubblico”.
Quindi potrebbe esserci qualcosa di positivo.
“Sì, perché in quel momento lì forse si potrà recuperare quel che si è perso in questi mesi, anche a livello di incassi, e di offerta”.
E nella vostra nuova realtà che si sta per aprire con la Sala Troisi?
“La Troisi possiede 298 posti da rivedere rispetto alle misure anti-covid. Speriamo di riuscire a confermarne l’apertura per ottobre o novembre. Naturalmente qualche rallentamento c’è stato. Il cantiere va avanti tra forniture difficili per i trasporti e difficoltà delle ditte, nonché degli operai in cantiere a lavorare perché non possono essere più di un certo numero negli ambienti. Però stiamo procedendo spediti e l’attività estiva delle arene non ha inficiato sulla gestione del cantiere”.
Finora avete cavalcato diversi generi cinematografici e anche tante cinematografie internazionali, ma quali sono i tuoi film preferiti?
“Allora a me piace un sacco Sergio Leone, lo rivedo all’infinito. Per il resto sono curioso. In realtà vedo tutto. Non c’è una cosa che mi annoia, un genere che non mi piace, e alla fine mi dedico apertamente a tutto. Poi dipende dalle fasi di vita, umore e sensazioni. A volte si ha voglia di Guerre Stellari o di un film di Milani, altre volte si ha voglia di un Guadagnino. Per esempio, quando sto male per amore guardo Guerre Stellari”.
E quando stai bene per amore?
“Solitamente faccio l’amore… O comunque sceglie lei il film”.
Invece ho letto che ti è stato proposto un documentario da Rai Cinema sull’esperienza del Piccolo America. Accade non di rado, nel cinema, di raccontare storie che si stanno ancora svolgendo. Per esempio Il divo lo vide e ripudiò a modo suo Andreotti, su Papa Francesco si è raggiunta quasi un’inflazione tra doc e biopic, mentre in Faccia d’angelo Elio Germano impersonava un famoso criminale allora in prigione. Insomma, per te quando è giusto raccontare in un film una storia vera, o una vita realmente vissuta?
“Ci sono due fattori, il primo è: il soggetto raccontato è coinvolto, o no? Deve essere lui il motore di quel racconto, o no? Perché non penso che sul suo film Felice Maniero sia stato coinvolto. Invece nel nostro caso la situazione è particolare perché il documentario era stato proposto in qualche modo a noi su noi stessi. A quel punto devi aver maturato tutta la tua esperienza. Devi essere arrivato, secondo me, ad essere pronto per analizzare quello che è successo. Non puoi parlare al pubblico di te stesso senza aver fatto una forte analisi e aver concluso il percorso. Se invece il racconto viene dall’esterno ed è indipendente, qualunque momento è buono. A decidere è l’osservatore su cosa, quando e perché raccontarlo”.
L’anno scorso sono venuti anche Emanuele Crialese e Roberto Saviano. Hanno portato Terraferma.
“Sì, è stata una delle serate che ho vissuto con maggiore apprensione perché dovevo moderare quindi ero agitatissimo. Saviano e Crialese sono due teste gigantesche”.
Invece sei appena uscito dalla nuova esperienza con Mathieu Kassovitz, che è ritornato dopo un anno, quando portò proprio L’Odio. So che ha reso omaggio a Pasolini, a Ostia. Lui come ha reagito a questa nuova situazione della tua scorta?
“Mathieu è un fratello maggiore nel vero senso della parola. Mi ha adottato, passiamo le giornate a parlare di qualunque cosa privata. Amicizia, amore. Ha un atteggiamento anche molto paterno perché è molto più grande di me. Quindi era preoccupato della situazione però ha risposto pubblicamente. C’è un video del suo intervento, che abbiamo caricato il giorno dopo, dove commenta la cosa. Molte realtà che in qualche modo ci hanno criticato in questi giorni hanno fatto riferimento a me come al primo film di Mathieu, sul rapporto con istituzioni eccetera eccetera. Lui però ha detto che chi non capisce sbaglia, perché il rapporto con le istituzioni per lavorare e cambiare le cose è necessario. Ha detto anche: ‘Con L’Odio ho dovuto chiedere i permessi, dialogare con le istituzioni, e per raccontare e fare qualcosa di forte c’è sempre bisogno di saper dialogare con le istituzioni mantenendo naturalmente la propria indipendenza’. Da un lato era preoccupato, dall’altro era felice di vederci ancora al centro del nostro percorso. Era anche interessatissimo alla questione dell’Antitrust”.
E a livello di ingressi, quest’anno com’è la situazione delle tre arene con il nuovo strumento della prenotazione online?
“Una bomba. Naturalmente ci sono le rassegne che vanno meglio e altre peggio. Un conto è Agnès Varda, un conto è Zalone, anche rispetto a Lanthimos o Shinkai, sono sempre strade diverse. Però siamo felici perché il pubblico abbia risposto molto meglio di come pensassimo. Eravamo pronti a un’estate molto difficile. Invece la promozione è veramente andata in automatico. Le persone hanno voglia di fare proprio quello che noi abbiamo lanciato, cioè mantenere distanziamento fisico ma opporsi al distanziamento sociale. C’era voglia di tornare a vivere collettivamente gli spazi pubblici. E di questo siamo veramente orgogliosi perché quando hanno imposto le misure di prevenzione per le Messe all’aperto, di fatto sdoganandole, abbiamo fatto subito assemblea dicendo: ‘Ok, è arrivato il momento’. Però non abbiamo bruciato i tempi, siamo stati tra i primi ma non l’abbiamo fatto quando ancora era troppo presto, non quando era irrispettoso farlo. Anzi, mi levo un sassolino dalla scarpa: non vedo aperte le centinaia di arene annunciate o le decine di drive-in come nel Lazio la CNA aveva in qualche modo sventolato. Per parlare, in Italia e in generale, bisogna prima avere contezza di quello che si può fare. Noi non abbiamo mai parlato senza prima aver lavorato. Ma in questo Paese c’è la tendenza ad aprire bocca e darle fiato. Noi abbiamo detto che avremmo aperto le arene con le misure anti-covid, così abbiamo fatto e si sono riempite di pubblico e di ospiti. Non era scontato nemmeno quello. La gratitudine va sia al pubblico che ha riempito le piazze e che ha animato le nostre strade, sia agli ospiti, che mettendosi in contatto con così tante persone anche se un po’ distanti, con la mascherina, hanno avuto coraggio di esserci.
Un’ultima curiosità invece sul cinema Troisi, perché leggo sempre di questa sala studio che sarà aperta 24 ore su 24. Perché? Che cosa si può anticipare su quello che potrebbe essere un’attività h24?
“La questione studio è il progetto 1 del nostro percorso nel 2011, e qui rivendichiamo sempre una grande coerenza. Quello che abbiamo fatto lo abbiamo presentato al Municipio I all’allora presidente Orlando Corsetti. Era un progetto per la creazione di uno spazio in cui volevamo essere protagonisti e non semplici fruitori, ma di fatto era un’aula studio aperta h24. In questa città, da ragazzi nati e cresciuti in periferia, non abbiamo un’aula studio, un posto dove studiare. Come aula studio intendiamo i tavoli delle biblioteche, non la biblioteca in sé. Vivendo in periferia attraversavano la città per studiare nelle scuole del centro, ma non avevamo un luogo dove fermarci e incontrarci, quindi nove anni dopo la nascita del nostro cinema, abbiamo ritenuto necessario che ci fosse quel fattore originario del gruppo, perché nasce tutto attorno a quell’idea. Non sulla salvaguardia del Cinema America. E prima ancora dell’assemblea che occupò il Cinema America c’era l’assemblea Giovani al Centro che poi si è trasformata nell’assemblea di gestione dell’America, ma nei documenti dei primi sei mesi di quell’assemblea i cinema e il Cinema America non erano minimamente gli obiettivi. L’obiettivo era l’aula studio, e la stiamo per fare alla Sala Troisi”.
E una volta riaperta la Sala Troisi cosa farete? Cosa c’è in futuro?
“Riapriremo altri cinema, sempre a Trastevere. Ma l’obiettivo principale sarà il Cinema America”.