Incontro con Vincent Lindon, miglior attore a Cannes per La legge del mercato
Dopo il grande successo di Cannes 2015, dove il protagonista Vincent Lindon si è aggiudicato il premio per la miglior interpretazione maschile, La legge del mercato arriva oggi nelle sale cinematografiche italiane. Noi di Cinematographe abbiamo incontrato il celebre a amatissimo attore francese in occasione dell’anteprima stampa romana del film, ecco cosa ci ha raccontato a proposito di se stesso e della sua ultima intensa interpretazione.
La grande emozione di Cannes, dove ha ricevuto il premio per la miglior interpretazione maschile e c’è stata anche un po’ di commozione…ci parli di quel momento.
Sono stati tre i motivi per i quali mi sono commosso: innanzitutto perché è il premio più grande sul pianeta Terra che un attore possa auspicare di avere – ci sono grandissimi attori di tutte le nazionalità che non lo hanno mai ricevuto – il secondo motivo è che io non avevo mai vinto prima un premio come miglior attore, io sono l’attore francese che ha il record di candidature ai César senza esser mai riuscito a vincerlo, cosa che per altro non mi dà particolarmente fastidio, è semplicemente un dato di fatto; la terza ragione è che è un momento estremamente commovente perché sei in questa grande sala dove è riunito davvero tutto il mondo del cinema, in una cerimonia che viene trasmessa in mondovisione, è molto toccante, lo è stato per me probabilmente anche perché questo premio arriva avanti con l’età, forse se uno lo vince quando è giovane c’è il rischio di perdere la testa, nel mio caso diciamo che non me lo aspettavo neanche più.
Un film, La legge del mercato, molto importante per quello che dice. In un titolo di giornale si è parlato di “Capitale disumano”, in riferimento al film di Virzì (Il Capitale Umano, n.d.r.). Cosa ha provato facendo un film che in Francia ha fatto parlare molto di “riscoperta della coscienza sociale”, tanto più che è stato realizzato a basso budget e con un cast di attori non professionisti?
Innanzitutto il regista (Stephan Brizé, nd.r.) è anche un amico, La legge del mercato è il terzo film che realizziamo insieme, il soggetto lo abbiamo trovato insieme, abbiamo pensato la stessa cosa contemporaneamente. Avevamo voglia di realizzare un film che costasse poco, che rispecchiasse le persone di cui dovevamo parlare, persone che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese con il denaro a disposizione. Quindi abbiamo deciso di corrispondere la paga minima sindacale a tutti quelli che hanno lavorato a La legge del mercato e per far questo abbiamo noi rinunciato al nostro caché. Il film è stato girato in 16 giorni con attori non professionisti perché il regista era convinto che solo dei non professionisti sarebbero riusciti a dare una verità molto intensa al film e alle situazioni descritte, Stephan era convinto anche del fatto che dei non professionisti potessero lasciarsi “sfuggire” qualcosa che non sarebbe potuto arrivare da dei veri attori e per questo motivo abbiamo cercato delle persone che nella vita reale svolgessero lo stesso tipo di mestiere che poi svolgono nel film. Brizé mi conosce talmente bene che sapeva che sarei stato in grado di dimenticarmi del mio statuto di attore e di dimenticarmi di fatto chi sono (cosa che per altro non mi è tanto difficile fare – ride, n.d.r.-) per mettermi alla loro altezza. Per questo motivo non potevo arrivare con un’automobile nera con i vetri oscurati e gli occhiali da sole a specchio o in compagnia di una segretaria, perché queste persone sono come tutti noi ed è un po ‘come succede con i bambini: se uno si pone in un certo modo diventa difficile per loro credergli, dargli fiducia, non sarebbero riusciti a credere al nostro autentico interesse verso di loro e avrebbero pensato che noi fossimo lì per prenderli in giro ed avrebbero quindi negato qualunque tipo di contributo. Credo che la riuscita de La legge del mercato sia proprio dovuta al fatto che sia io che il regista abbiamo adottato (e in generale abbiamo) uno stile di vita molto simile al loro, io magari non vivo in un monolocale ma non ho né un autista, né una segretaria, e nel sentire questa vicinanza il cast è riuscito a lasciarsi andare, ad esprimersi liberamente. Pranzavamo insieme, andavamo sul set con lo stesso mezzo di trasporto, siamo davvero riusciti a creare un gruppo e a sviluppare dei legami che hanno fatto sì che io diventassi via via meno “professionale” e che loro acquisissero invece più professionalità nel recitare.
Vincent Lindon: La legge del mercato e il risveglio della coscienza sociale
Avete fatto delle prove prima di cominciare a girare? Quanto di se stesso ha trovato nel personaggio di Thierry?
No, non abbiamo fatto prove perché se le avessimo fatte gli attori non professionisti lo sarebbero in qualche modo diventati, rendendo meno naturale la loro performance. Arrivavamo la mattina sul set, il regista ci dava la scena, la leggevamo due o tre volte e poi giravamo. Io passo molto tempo ad osservare la gente, spesso in un bar davanti ad un bicchiere di vino. Osservo i movimenti delle persone, i gesti di un barista, di un benzinaio o, per esempio, di voi giornalisti, conosco il vostro modo di lavorare. Se ho un talento è quello di riuscire a cogliere molto rapidamente la gestualità delle persone, io non credo alla filosofia o al testo ma alla capacità di cogliere la fisicità e la postura per entrare dentro ad un personaggio. Andando a fare la spesa al supermercato, ad esempio, ho osservato che gli addetti alla sicurezza parlano al walkie-talkie tenendolo inclinato ed avvicinandosi molto per poter parlare e quando camminano per i vari reparti incrociano le braccia dietro alla schiena ad un’altezza precisa. Osservare questi particolari mi diverte e mi permette di calarmi completamente nella parte, una volta assunta la fisicità del personaggio le parole poi escono naturalmente. In questo caso, poi, La legge del mercato ha la caratteristica di parlare di un problema reale e tangibile, di un tragedia che riguarda tutti e i fratelli Cohen lo hanno capito subito. La coscienza sociale si è risvegliata, certo, per sei minuti circa…questa è una cosa molto triste. Se i politici hanno bisogno di un film per risvegliare la propria coscienza, allora noi non abbiamo bisogno di questi politici. Dovrebbero vivere almeno per una giornata i problemi di cui dovrebbero farsi carico, per capire davvero. Thierry sono io, sono stato io: ho sentito le stesse sue cose, sono io che l’ho fatto agire e parlare, i baffi erano i miei.
Lei si sta specializzando in ruoli socialmente impegnati, politici (penso anche a Welcome). Crede che il cinema nel 2015 abbia ancora la possibilità di cambiare le vite delle persone?
Mio padre mi disse un giorno: “se un film può cambiare anche una sola persona su questo pianeta, allora è bene che sia stato fatto”. Io credo che il cinema e la cultura in generale, la letteratura, la musica, possano davvero aiutare le persone a capire, visualizzare attraverso delle immagini esterne una fantasia riferita ad una situazione non ancora nettamente definita. La musica può alleviare delle sofferenze, dare gioia, stessa cosa possono fare la pittura, il cinema o la letteratura, quindi sì, credo che possano di fatto cambiare qualcuno e risvegliare la coscienza anche se poi si riaddormenta poco dopo. Scegliere un film con tematiche intelligenti, piuttosto che un programma televisivo di varietà apparentemente “leggero”, se di primo acchito può sembrare una scelta più noiosa, potrebbe aiutare il nostro inconscio a lavorare in direzione del nostro benessere, trasmettendoci contenuti importanti, invece di riempirci la testa con contenuti vuoti che a lungo andare ci rendono depressi e aggressivi. Un popolo può essere educato, istruito. Quando i fan mi fermano per strada per fare una foto insieme a loro, io rispondo di no, dicendo che se vogliono possiamo passare un quarto d’ora insieme bevendo una cosa, chiacchierando, dandoci pure un bacio alla fine dell’incontro. La risposta è che vorrebbero la foto per avere un ricordo e io ribatto dicendo “hai una testa e hai un cuore per ricordare”. Tutti nel momento in cui faccio questa osservazione mi dicono “Ha ragione”. Quindi le persone di per sé sono intatte e possono essere educate alle cose belle, alle cose vere. Se abituiamo un bambino a vedere fin da piccolo film di qualità, ricchi di contenuto, non sarà più in grado di vedere la televisione spazzatura.
Del percorso che fa Thierry attraverso questo agghiacciante mondo della disoccupazione e poi il suo nuovo lavoro, quali sono gli elementi che l’hanno colpita di più?
Forse la mia risposta vi stupirà ma il momento in cui lo ammiro di più e quando pulisce i pensili della cucina. È un momento che mi colpisce molto perché Thierry è un uomo che sceglie di non lasciarsi abbattere dagli eventi, non trova lavoro ma non si autocommisera, al contrario è solido, decide di aiutare la moglie il più possibile, è un uomo di una grandissima integrità e dignità. Un’altra scena che preferisco è quella della negoziazione per la vendita della mobil home, in cui Thierry ad un certo punto dice basta, fissa un limite invalicabile per non lasciarsi calpestare nella dignità, cosa che trovo assolutamente rassicurante e coraggiosa. Thierry è una persona che mi piacerebbe avere come fratello, o mi piacerebbe che se un domani mio figlio o mia figlia si trovassero in una condizione del genere, fossero come lui.
Ha mai conosciuto un Thierry nella sua vita? Qualcuno dopo l’uscita del film è venuto a ringraziarla perché si è ritrovato nel film e nel suo personaggio?
Mi è successo prima del film. Ho quattro amici strettissimi nella vita, e due di loro sono divenuti Thierry . Hanno perso il lavoro, hanno divorziato, il fatto di essere decaduti da una situazione di partenza più agiata di quella del personaggio rende forse la cosa più difficile da accettare. Dopo l’uscita del film ne ho conosciuti tanti altri e continuo a conoscerne, la gente mi ferma e mi ringrazia dicendomi di essersi indentificata con Thierry. Io non vivo in una torre d’avorio, mi piace passeggiare, incontrare le persone, lo faccio da 35 anni e parlare con loro è la cosa che mi piace di più. Di Thierry in Francia ce ne sono circa 10 milioni, in Spagna 11, in Italia e in Germania 7.