Wes Anderson: The French Dispatch non è “una lettera d’amore al giornalismo”… ma una citazione a De Sica
La sospensione del realismo e l’eccentricità dei suoi personaggi sono due cifre stilistiche che hanno caratterizzato l’intera produzione di Wes Anderson, elementi che all’interno del suo ultimo lavoro raggiungono l’apice grazie a un racconto corale dai molteplici quadri, i quali si incastrano tra di loro come in un puzzle perfetto. La conferenza di The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun, più semplicemente The French Dispatch, al cinema dall’11 novembre 2021, dimostra come Wes Anderson sia riuscito nuovamente a plasmare il linguaggio cinematografico nelle sue molteplice forme.
La trama di The French Dispatch, ovvero “storie deliziosamente folli e dolcemente eccentriche”
La decima opera del regista americano Wes Anderson è un insieme di molteplici racconti. Il titolo del film coincide con la rivista protagonista della pellicola: The French Dispatch è un supplemento settimanale del quotidiano statunitense Evening Sun di Liberty, Kansas, scritto e pubblicato nella piccola cittadina immaginaria di Ennui-sur-Blasé in Francia e che si occupa di cronaca e cultura generale. Alla morte del direttore, con la rispettiva chiusura del supplemento, la redazione sceglie di pubblicare un’ultima edizione commemorativa composta dai migliori articoli pubblicati nel corso degli anni. Ed ecco così che ha inizio un viaggio turbolento, divertente e commovente tra le più originali e folli storie che Anderson potesse inventare traendo ispirazione della sua lunga esperienza di lettore del New Yorker.
A interpretare gli eccentrici personaggi di The French Dispatch numerosi attori, americani e francesi, molto amati dal pubblico tra i quali compaiono Benicio del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri, Jeffrey Wright, Mathieu Amalric, Stephen Park, Bill Murray e Owen Wilson.
The French Dispatch, l’intervista al regista e sceneggiatore Wes Anderson
In occasione dell’incontro stampa italiano, abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con Wes Anderson, traendo dalle sue risposte una serie di curiosità sul film e sulla sua carriera. Ve le riportiamo di seguito!
The French Dispatch è una lettera d’amore nei confronti del giornalismo, della scrittura, della cultura. Qual è il tuo rapporto con la carta stampata?
“L’ispirazione nasce dal New Yorker, che leggevo già quando ero ragazzino, poi ho cominciato a interessarmi alla realtà che vi era dietro questa rivista. Ho iniziato a studiare, per capire chi vi fosse in redazione, come veniva realizzata la pubblicazione, che tipo di persone ci lavoravano, che tipo di personaggi animavano la redazione del New Yorker. Ho iniziato ad appassionarmi alla storia di questa prestigiosa rivista interessandomi a coloro che vi contribuivano, sviluppando un particolare interesse nei loro confronti. La prima cosa che mi ha attirato sono stati quei racconti brevi che tradizionalmente erano all’inizio della rivista, racconti di fantasia. Successivamente, invece, il New Yorker ha iniziato a puntare di più sul giornalismo, ma all’epoca era la narrativa. Questo film per altro si presenta come un racconto giornalistico, ma in realtà si tratta di storie immaginarie. Esso tratta del giornalismo, ma non è giornalismo”.
Dove è stato girato The French Dispatch? Wes Anderson spiega perché ha scelto quella piccola città della Francia come location
Il film è stato girato in Francia ad Angoulême che è stata ricostruita in un set cinematografico per realizzare la cittadina fittizia di Ennui-sur-Blasé. Come mai ha scelto Angoulême e come è stato girare in Francia in questa splendida cittadina?
“L’idea era quella di fare un film francese anche per quanto riguardava parte del cast. Io e il mio partner Adam Stockhausen, lo scenografo, ci siamo messi a girare per la Francia alla ricerca di una cittadina. Volevamo che fosse una città vera, con una storia, ma non troppo grande e affollata, con una certa tranquillità, questo perché volevamo poter vivere e girare lì, senza fare i conti con la realtà economica e industriale di una città, esperienza già avuta in passato e che mi aveva dimostrato come tale situazione ti permetta di girare meglio il film. Ed è così che abbiamo trovato Angoulême, cittadina che ci ha consentito di lavorare come si faceva una volta nei vecchi studi cinematografici, trasformando alcuni scorci della città, delle strade e dei vicoli, costruendo anche alcuni set da zero. Abbiamo così potuto includere tutta la città compresi mille dei suoi abitanti che hanno fatto le comparse. Mi ricordo benissimo che quando abbiamo fatto vedere il film abbiamo distribuito due sale cinematografiche solo con le persone che vi avevano partecipato“.
Nei suoi film passati è sempre stato centrale l’uso del colore, elemento fondante della sua stessa estetica. Qual è il motivo che l’ha portato a scegliere in The French Dispatch il bianco e nero?
“In realtà il mio primo film, un cortometraggio, era stato girato proprio in bianco e nero. Non molto tempo fa mi è capitato di parlare del bianco e nero con un regista che utilizza questo tecnica in diversi formati per il suo lavoro, abbiamo parlato del colore e della forma dello schermo, le proporzioni. Si tratta di un regista che ha realizzato una ventina di film e che ha affermato che se fosse per lui, se ne avesse la possibilità, userebbe sempre il bianco e nero in formato accademico, poiché ritiene che semplifichi l’immagine. La sua idea è che si tratti di una garanzia di bellezza, il mezzo stesso è bellezza. Questa, tuttavia, non è la mia posizione, io tendo a cambiare a passare dal bianco e nero al colore, a cambiare formato dello schermo secondo le mie esigenze, ma capisco quello che stava dicendo questo regista.
All’interno di The French Dispatch, ad esempio, c’è un particolare momento in cui era evidente la scelta del bianco e nero, si tratta delle scene con Benicio del Toro, Adrien Brody e Léa Seydoux, in altri casi ho preferito invece il colore. Questo mi porta a riflettere sull’uso del colore e della luce, ci sono alcuni compiti specifici legati all’uso del colore o del bianco e nero. Per me è stata una gioia poter usare tutte queste tecniche insieme al direttore della fotografia e allo scenografo ragionando su tutto il procedimento e a volte la scelta ricadeva su un bisogno narrativo, far sì che il racconto si distinguesse da chi stava raccontando. Il tutto dipende alla fine da una scelta, quella che pensi sia la scelta giusta, come un pittore che sceglie il suo pennello”.
The French Dispatch: la realtà e le favole che raccontiamo per rappresentarla
Il grande Wes Anderson con The French Dispatch sceglie di volgere la sua attenzione su una forma di narrazione che ancora non aveva indagato: la cronaca. Il rapporto con il giornalismo per Wes Anderson è una straordinaria tradizione alla quale è molto affezionato, soprattutto per quanto riguarda i quotidiani: “Io ogni giorno compro e leggo un quotidiano“, ma a differenza di quanto è stato scritto The French Dispatch non è “una lettera d’amore al giornalismo”.
Questa definizione, erroneamente attribuita anche allo stesso autore, è stata una lettura esterna dell’opera, il che non significa cancellarne la legittimità, ma per Anderson questo non è mai stato lo scopo finale della sua opera. Il giornalismo è solo una fonte d’ispirazione, tanto che alla fine del suo film vi è una lista delle persone che hanno influenzato il suo lavoro. Anderson ha affermato “Quando faccio un film non si tratta di fare un omaggio a qualcuno, oppure mostrare il rispetto verso qualcuno da cui ho imparato qualcosa o che ammiro, anche se ovviamente sono sempre sentimenti che provo, ma è talmente evidente per me il debito che ho nei confronti di queste persone, che proprio per evitare una potenziale accusa di plagio rendo molto evidente la fonte della mia ispirazione, come se facessi una nota a piè di pagina“. Con questa pellicola non ci troviamo quindi di fronte a un omaggio, ma banalmente si tratta di “rubare, riconoscendo l’origine del materiale” per far sì che i suoi film siano la versione migliore che lui potesse realizzare in base all’argomento di suo interesse e al fine che vi sia un identificazione in tal senso usa tutto ciò che ha potuto imparare per creare delle storie.
Nella storia del giornalismo vi è una lunga tradizione di giornalisti ed editori che hanno creato storie immaginarie al fine di vendere di più le loro riviste. La storia di The French Dispatch cerca di evidenziare il ruolo di un direttore e di una testata che, invece, si impegna al fine che la pubblicazione rappresenti in maniera “giusta “la realtà, creando e facendo rispettare delle norme per quanto riguarda il lavoro dei giornalisti e mettendo insieme un certo numero di giornalisti e scrittori al fine di creare un senso di appartenenza nella squadra.
Tra le citazioni fatte da Wes Anderson anche quella a De Sica
Le ispirazioni per questa pellicola sono state molte anche dal punto di vista cinematografico e tra queste primeggia L’oro di Napoli di Vittorio de Sica: “Quando vidi quel film decisi che dovevo fare qualcosa di simile, ossia un film che raccogliesse storie diverse. Si tratta di una tradizione molto italiana, questo tipo di antologia la troviamo anche in Fellini, Visconti, Pasolini, è vero che molti altri registi nel mondo l’hanno utilizzata, ma è molto italiana“. Questo film nasce così in parte dal cinema italiano nella sua forma, anche se si tratta di un film francese. Parlando ancora dell’Italia, Wes Anderson ha ricordato, nel corso della conferenza, quando lavorò a Cinecittà per la realizzazione di uno dei suoi cortometraggi e del film The Life Aquatic with Steve Zissou, affermando: “Quando inizio a pensare a un nuovo progetto cerco sempre di trovare un modo per tornare a Cinecittà e girare a Roma. Sono certo che prima o poi questo succederà”.
Oggi è molto raro che Anderson giri negli Stati Uniti, tanto che il suo prossimo film, le cui riprese si sono concluse due settimane fa, sarà ambientato negli Stati Uniti, ma è stato girato in Spagna. “All’inizio della mia carriera ho sempre girato in Texas, Rushmore è il posto dove sono cresciuto e dove ho vissuto fino ai vent’anni. Oggi invece giro per il mondo perché c’è un vantaggio. Quando lavoro su un film, non so come, nasce l’idea per quello successivo, ogni mia esperienza mi conduce alla prossima. Lavorando in diversi paesi il cast artistico e tecnico si compone da professioni di diverse nazionalità, questo rappresenta sempre un esperienza istruttiva”. Per raccontare quanto ha imparato lavorando con persone di diverse nazioni Wes Anderson sceglie di utilizzare l’esempio delle apple boxes, scatole di legno simili a quelle usate per la frutta e che invadono i set cinematografici in tutto il mondo. La funzione delle apple boxes è quella di alzare, ad esempio, una sedia, così che chi vi è seduto possa essere nell’inquadratura in linea con la cinepresa. In ogni paese l’apples boxes sono diverse ma negli ultimi settantacinque anni nel cinema francese hanno messo appunto un tipo specifico che si blocca secondo una serie di marchingegni e ora usa solo questo tipo di apples boxes, a prova che l’esperienza internazionale ti insegna sempre qualcosa.