Zerocalcare racconta la sua serie Netflix: Valerio Mastandrea è “la mia coscienza che mozzica”
Ospite della quinta giornata del Roma FF16, Zerocalcare presenta Strappare lungo i bordi, la serie animata Netflix disponibile sulla piattaforma dal 17 novembre.
“Provo a non attacca la pippa. A un certo punto m’era venuta voglia di prova a racconta una storia a cartoni invece che a fumetti”. Zerocalcare ci ha insegnato l’arte della sintesi, quel particolare procedimento riassuntivo che ti permette di “arrivà al nocciolo della questione senza fa er giro de Peppe”. E la conferenza di presentazione di Strappare lungo i bordi, la serie Netflix che ha scritto, diretto e interpretato, è un chiaro riferimento esplicativo a quanto detto sopra.
La produzione è partita dalle sceneggiature che arrivavano insieme ai primi video animati registrati col telefono da Michele. “Abbiamo lavorato sulla produzione con il supporto della regia tecnica. Ogni due giorni avevamo dei check. Trasformare un prodotto a fumetto in un prodotto audiovisivo – fatto di tanti box e parentesi, flashback, mondi paralleli, citazioni – richiede una traduzione densa ma fruibile. Ci siamo confrontati col tema del colore (prima presente solo nelle locandine e nelle cover), con il linguaggio cinematografico, profondità di inquadrature, tecnicismi. Michele ha dato voce a tutti i personaggi, anche in quello non dovevamo perdere la sua spontaneità”.
La trama di Strappare lungo i bordi aka “De che stamo a parla e chi ce sta”
In Strappare lungo i bordi Zerocalcare racconta come un essere umano – di qualsiasi sottogenere categoricamente definito – si trovi a fronteggiare le incombenze, altresì note come pezze, della vita. Il titolo della serie fa riferimento a quelle traiettorie tratteggiate, definite dal destino, che non puoi far altro che strappare nel verso suggerito dalla direzione della linea. Insieme agli amici storici – Secco, Sarah e l’Armadillo, voce più intima della sua coscienza – Zerocalcare viaggia verso qualcosa di importante che si troverà costretto ad affrontare, collezionando momenti particolari e riflessivi nel corso degli episodi.
Zerocalcare presenta a Roma FF16 Strappare lungo i bordi: la nostra intervista a Michele Rech
Com’è nata l’idea di Strappare lungo i bordi e come si è sviluppato il progetto?
“Volevo un linguaggio diretto e accessibile. I cartoni scemi fatti al volo a casa mia erano molto più guardati de un fumetto sullo stesso tema, io poi sono molto verboso nei fumetti, so’ un maniaco del controllo, intorno alle vignette ce metto le note musicali coi testi delle canzoni pe suggerì l’atmosfera che ce sta in quel preciso momento. Uno su un milione avrà ascoltato quella roba lì. Con la serie glielo puoi imporre e controllare l’esperienza della percezione. Mi sembrava fico. Ho preso misura dei miei limiti e l’incontro con Movimenti Production ha messo dei professionisti a colmare le mie lacune con un linguaggio cinematografico e una fluidità dell’animazione che non m’ha snaturato.”
Nei tuoi lavori, le tribù sociali vengono sempre ritratte accuratamente. Quale valore hanno per te oggi rispetto a ieri?
“C’ho un grosso senso di appartenenza tribale, a cui tengo evidentemente ancora oggi. Tutte le cose che mi portano fuori da quel mondo, a maggior ragione una serie, mi spaventano perché ho paura di incontra l’incompatibilità tra questi due mondi. Ho sempre trovato un equilibrio, ci ho tenuto che fossero evidenziate.”
Strappare lungo i bordi è una questione di ascisse e ordinate, “fatti orizzontali interrotti da sequenze verticali”. Che ruolo gioca la scelta musicale nella serie?
“Dentro c’è tutta la roba mia musicale, da Tiziano Ferro a Manu Chao. Il pezzo di Ron va detto che era un altro pezzo de un cantautore che m’ha pisciato e ce l’ha negato, ma forse non se po’ dì. Il livello de commozione musicale è legato al testo e ai ricordi che ti suscita. Per questo il brano de Ron sembrava perfetto”
Netflix nel corso degli anni si è imposto con una fisionomia e dei paradigmi precisi, così com’è stato anche per il linguaggio adottato dal tuo personaggio nei lavori precedenti. Hai avuto piena libertà creativa o ti sei dovuto misurare con dei limiti imposti da Netflix all’esuberanza verbale?
“Ogni cinque parole ce sta na parolaccia, quindi evidenti limiti verbali nce so stati. M’hanno dato piena libertà creativa, ma l’incontro co Netflix è stato virtuoso, non censorio. In merito a questo, racconto un piccolo aneddoto. Quando ho consegnato la bozza della scena del bagno dei maschi (nel primo episodio) m’hanno fatto ragionà sul fatto che sta cosa esisteva pure peggio all’inverso. Trattà le minoranze, che adesso pare sempre che pe forza devi dì qualcosa su qualcuno, quando non è fatto da compitino ti dà la possibilità di trattare le diverse prospettive.”
La cifra crepuscolare di Zerocalcare: per la “coscienza che mozzica” serviva un doppiatore esterno
Michele doppia i suoi personaggi, inventa le voci, le disegna, le distingue, le sfuma: dal compagno di classe tozzo che si scaccola, all’amica secchiona, alla madre, al bengalese col cric. Quasi tutti, tranne l’Armadillo. La voce dell’Armadillo è infatti quella di Valerio Mastandrea che “s’ammazzerebbe se je dicessi che m’assomija”, dice Rech.
“Nella mia vita, Valerio incarna la figura dell’Armadillo ancora prima di pensà a qualsiasi doppiaggio. Lui aveva già pensato di fa la Profezia dell’Armadillo e c’aveva dimestichezza col linguaggio mio. Io non c’avevo idea della voce dell’Armadillo, la mia coscienza che mozzica non la poteva fa io. Quando l’ho sentito e ho visto la faccia dell’Armadillo che parlava co la voce de Valerio m’è sembrato perfettissimo. Un plus gigantesco all’impalcatura. Super naturale”.