Jonas Brander parla di Until the Sun Dies: tra inchieste ed esseri umani stimolanti, documentare è “ascoltare”

Brillante regista del docufilm Until the Sun Dies, Jonas Brander ci racconta il suo lavoro in Colombia tra ingiustizie e violenza.

Credo che molte risposte alle domande più urgenti del nostro tempo si possano trovare in America Latina, nei movimenti sociali, nei processi di resistenza e nelle forme di organizzazione, nella saggezza dei popoli indigeni”. Così Jonas Brander, regista e produttore, ci spiega perché ha deciso di raccontare una storia toccante come quella affrontata nel suo docufilm Until the Sun DiesHasta Que Se Apague El Sol, in originale – premiato come Miglior Documentario al Sole Luna Doc Festival 2024. Una storia che può sembrare a noi lontana ma che, in fondo, non lo è.

Appassionato di fotografia, scrittura, produzione, montaggio e del mondo del cinema in generale, Brander è un artista a tutto tondo che ama fare ciò che fa – e questo traspare perfettamente dai suoi lavori – senza mai smettere di cercare di apprendere il più possibile, facendo delle riflessioni critiche sul mondo in cui viviamo. Dal 2014, si occupa della produzione di documentari ponendo l’accento sulle ingiustizie, disuguaglianze e violazioni dei diritti umani nella nostra società, in particolar modo in Colombia in America Latina. In questa intervista, Jonas Brander ci racconta com’è nata l’idea di un lavoro impegnativo come quello di Until the Sun Dies e molto altro.

Jonas Brander: la nascita di Until the Sun Dies e l’incontro con Albeiro Camayo e Luz Marina Bernal Parra

Jonas Brander - Cinematographe.it

Com’è nata l’idea di realizzare un documentario, che è praticamente un’inchiesta giornalistica, come Until the Sun Dies?
“È stato un processo durato molti anni e non un’idea unica. Per me, una delle cose più importanti nel fare documentari è ascoltare, prendersi davvero il tempo per imparare e vedere cosa c’è, arrivando con un concetto e un’idea chiari. Ho girato per molti anni in Colombia, in contesti diversi. Quindi, oltre a stare con la comunità indigena, con Luz Marina e molte altre persone nel corso degli anni, la storia ha iniziato a scriversi da sola ed è diventato più chiaro che volevo raccontare in un film la storia di Albeiro e Luz Marina. Un’altra parte, ad esempio, su cui sto ancora lavorando, riguarda i processi degli sfollati afro-colombiani nella regione del Pacifico colombiano”.

Come è entrato in contatto con il leader indigeno Albeiro Camayo, ucciso nel 2022 e Luz Marina Bernal Parra, candidata al Premio Nobel per la Pace nel 2016? Come mai ha deciso di raccontare questa storia proprio attraverso i loro occhi?
“La ricerca mi ha portato in Colombia e in contatto con Luz Marina, con la Guardia Indígena, con Albeiro, prima di tutto per ascoltare. Sono due degli esseri umani più stimolanti che abbia mai incontrato nella mia vita e ho imparato moltissimo da loro. Quindi, c’è sempre stata l’idea che il film dovesse essere realizzato dal loro punto di vista, che la storia fosse raccontata attraverso le loro voci. Sono loro che hanno le risposte”.

Il lavoro in Colombia e le responsabilità del cinema

Until the Sun Dies - Cinematographe.it

Ha incontrato particolari ostacoli per girare questo documentario in Colombia?
La difficoltà principale è stata di natura finanziaria, poiché non abbiamo mai ricevuto fondi o denaro esterno per il progetto e abbiamo dovuto finanziarlo completamente da soli e con l’aiuto di molte persone di incredibile talento, convinte – come noi – dell’importanza di raccontare quelle storie. Riuscire a finire un film cinematografico in questo modo per me è ancora un piccolo miracolo. Oltre a ciò, ovviamente, la violenza nei territori e le minacce da parte dei gruppi armati hanno rappresentato una grande sfida, soprattutto quando sono iniziati i tentativi di omicidio contro Albeiro”.

Che emozioni le ha lasciato questa incredibile esperienza? C’è da immaginare un bagaglio non da poco, visti gli anni trascorsi immersi nella realtà colombiana e la morte di Albeiro Camayo…
Innanzitutto, la gratitudine: per tutto quello che ho imparato da Albeiro, da Luz Marina, dalla comunità indigena. Tante lezioni che porto adesso con me, in ogni passo che sto facendo e che hanno cambiato molte cose e convinzioni nella mia vita. Questo non ha prezzo. Così come l’amicizia con loro, i ricordi. Naturalmente, anche molto dolore e rabbia: perdere un amico, ucciso a colpi di arma da fuoco e non aver potuto mostrare il film con Albeiro, la violenza continua, la continua impunità. Tutto lascia, ovviamente, cicatrici”.

Secondo Lei, il cinema ha anche dei doveri in un mondo che, oggi, può essere considerato una polveriera?
Penso che ci sia così tanto potenziale per trasformare il cinema in spazi di discussione, di apprendimento, di pratica comune, di critica, in una risorsa su come rendere questo mondo un posto migliore. Il cinema ha un grande potere di trasformazione e molte persone hanno molte buone idee su come utilizzare tali poteri. Ciò di cui abbiamo bisogno è che l’industria e le istituzioni aprano più spazi e che i cineasti riflettano e lavorino sulla reciprocità nella propria pratica”.