Manfredi Lucibello su Non riattaccare: “mi sento a mio agio nella notte”

L’intervista al regista fiorentino Manfredi Lucibello, nelle sale dall'11 luglio con il suo nuovo film dal titolo Non riattaccare, un noir con Barbara Ronchi e Claudio Santamaria, che è un viaggio emozionale nella notte.

Non riattaccare, il nuovo film di Manfredi Lucibello, uscirà nelle sale italiane l’11 luglio 2024, grazie alla distribuzione di I Wonder Pictures. Il film, prodotto da Mompracem, in collaborazione con Rai Cinema e Rosebud Entertainment Pictures, è liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Alessandra Montrucchio. Il regista fiorentino ha realizzato un’opera noir che è un viaggio emozionale nella notte, un road movie che tiene con il fiato sospeso. Non riattaccare è stato presentato in concorso al 41° Torino Film Festival ed è stato proiettato in anteprima al Biografilm di Bologna lo scorso 15 giugno, occasione in cui abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il regista, proprio in vista dell’uscita al cinema di questo suo secondo lungometraggio, che vede protagonisti gli attori Barbara Ronchi e Claudio Santamaria.

La nostra intervista al regista Manfredi Lucibello, realizzata in occasione dell’uscita nelle sale del suo secondo lungometraggio Non riattaccare, un’opera noir ad alta tensione

Manfredi Lucibello sul set di Non riattaccare

Che cosa vuol dire fare cinema per lei?
“Il cinema mi ha donato, e continua a farlo tutt’oggi, emozioni tra le più grandi che la vita mi abbia riservato. Tutto questo comodamente seduto in una poltrona, mentre per altre ho dovuto sudare! Faccio cinema per restituire allo spettatore almeno una piccola parte di queste emozioni”.

Manfredi Lucibello: “Non riattaccare è un film essenziale dove c’è stato un meticoloso lavoro di preparazione, per far rendere al massimo i pochi elementi in campo. Ma la realtà è che ho puntato tutto sull’interpretazione dei due protagonisti

Non riattaccare è essenziale, funziona con un numero ristretto di elementi, attori e ambienti. Su che cosa ha voluto puntare?
Si è vero, è un film essenziale dove c’è stato un meticoloso lavoro di preparazione per far rendere al massimo i pochi elementi in campo. Ma la realtà è che ho puntato tutto sull’interpretazione dei due protagonisti. Sono molto felice del lavoro che abbiamo fatto insieme. Lascio però al pubblico dire se è stata una puntata vincente“.

Dopo Tutte le mie notti, ripropone di nuovo un viaggio inaspettato lungo strade desolate, l’atmosfera claustrofobica e angosciante; e soprattutto l’elemento della notte, che stravolge ogni cosa. Sono alcune delle sue ossessioni?
Si. Come nel cinema anche nella vita mi sento a mio agio nella notte. Credo che tutto diventi più interessante e soprattutto misterioso. Il noir, per usare un termine cinematografico, è stato sempre al centro dei miei racconti; prima con i cortometraggi, dopo nei documentari, adesso nei film per il cinema, e credo che lo sarà ancora per un po’. Irene, interpretata da Barbara Ronchi, sale in auto, e durante il tragitto si susseguono le telefonate“.

Il regista sul set, con la protagonista Barbara Ronchi

A proposito di Irene, un personaggio di difficile interpretazione. Risulta particolarmente originale il modo in cui questa donna si trasforma, in piena pandemia, in una ‘creatura della notte’…
Si c’è assolutamente una trasformazione, ma credo che Irene non ne sia consapevole: non ha il tempo di riflettere su quello che sta facendo. Lo fa e basta, mossa dall’istinto e dalla voglia di raggiungere Pietro“.

Visto che l’intero lavoro è girato sotto forma di conversazione al cellulare, ci fa pensare a Tom Hardy in Locke. Dal film di Steven Knight ha tratto ispirazione?
Il film è tratto dal libro di Montrucchio, ma è chiaro che, se si fa un film al telefono, non si può non pensare a Locke: un capolavoro che ha segnato la storia recente del cinema. Credo che ci sia un prima e un dopo Locke per chiunque giri una scena in auto o al vivavoce. È il capostipite di un certo tipo di cinema, chiamiamolo essenziale (un po’ come Nosferatu del 1922 se si parla di film sui vampiri). Tutto è partito da lì. I due film però hanno in comune il contenitore e non il contenuto, che sono due cose molto diverse“.

Il regista sulla scena d’apertura del film: “Ogni elemento su cui mi sono soffermato ritornerà in seguito. La scena inziale è una mappa per orientare lo spettatore nel mondo di Irene

Abbiamo notato inoltre che la scena d’apertura anticipa il clima del film e si collega al finale: è tutto un mulinare attorno a Roma e ai due corpi vicini, e si chiude con un fermo immagine sugli occhi (che portano i segreti e le verità) della protagonista. Potrebbe dirci qualcosa di più?
Nella scena iniziale ci sono svariati indizi che raccontano tutto il film. Ogni elemento su cui mi sono soffermato, ogni immagine a cui ho dedicato un dettaglio, ritornerà in seguito. Potrei dire che la scena iniziale è come una mappa per orientare lo spettatore nel mondo di Irene. Però non aggiungo altro, non voglio togliere il gusto allo spettatore di cercare questi indizi“.

Tutto scorre sullo schermo, ma la pellicola riesce anche a chiamare in causa chi guarda. La lama ci taglia dove siamo più fragili, volendo parafrasare la parte della sceneggiatura che ci ha toccato di più, affidata alla voce di Pietro (Claudio Santamaria). Ne è consapevole?
Ho cercato di costruire un dialogo, non solo tra i due protagonisti, ma anche con lo spettatore. È chiaro che la notte che racconto è straordinaria, ma i due protagonisti sono persone normali, alle prese con le loro fragilità, come tutti noi siamo stati almeno una volta nella vita. Se lo spettatore empatizza con Pietro e Irene, se sono riuscito a suscitare qualche emozione, allora ho fatto il mio lavoro…”.