5 registi iraniani che ogni cinefilo dovrebbe conoscere
Un compendio per conoscere cinque registi iraniani imprescindibili per chi ama il cinema
Il cinema iraniano ha avuto il suo picco di visibilità negli anni ’90, durante la sua “seconda nouvelle vague”, avviatasi sul finire degli anni ’80. Tuttavia, ancora oggi gode di una più che discreta attenzione festivaliera, ma non sempre adeguata nel grande pubblico. Andiamo a scoprire quali sono quei registi iraniani che hanno segnato percorsi notevoli all’interno del cinema del proprio Paese e che hanno saputo raccontare realtà territoriali e contesti sociali di una nazione che vive ancora sotto rigide regole morali e sociali.
1. Abbas Kiarostami tra i registi iraniani da conoscere
Forse, colui che tra i registi iraniani è il più noto e apprezzato nel mondo, Abbas Kiarostami è stato un delicato cantore del neorealismo iraniano, narratore mesto e sobrio, di sottile poetica.
Ha raccontato di persone comuni alla costante ricerca di qualcosa, di luoghi perduti, della memoria, del senso della vita, della vita nel cinema e del cinema della vita, in maniera talvolta autobiografica.
Registi che ritornavano sul luogo delle riprese, devastato da un terremoto, per ritrovare i giovani protagonisti del proprio film, come in E la vita continua (1992), o uomini che vagano, in auto verso le periferie di Teheran per trovare assistenza al suicidio, come ne Il sapore della ciliegia (1997), forse il suo film più apprezzato dalla critica.
E ha narrato ancora di uomini che tornano sul luogo del passato per farci i conti come in Sotto gli ulivi (1994), un esempio di come il cinema si intagli nel cinema o ancora Close Up (1990) in cui ricostruisce una vicenda metacinematografica tra realtà e finzione.
Da non dimenticare nel suo operato anche l’ottimo Dov’è la casa del mio amico (1987), un racconto ad altezza bambino.
2. Jafar Panahi
Allievo di Kiarostami, per il quale ha lavorato come assistente alla regia, Panahi è certamente tra i più influenti registi iraniani degli ultimi trent’anni. Finito spesso anche nelle mire della censura e delle rigide leggi del Paese, scontando perfino il carcere, è considerabile uno dei più lucidi e critici osservatori della condizione sociale dell’ Iran. Con il bellissimo Il palloncino bianco (1995) esordisce raccontando la storia di una bambina di famiglia povera, alle prese con lo smarrimento di una banconota. Con Il Cerchio (2000) racconta la condizione femminile nel suo Paese, vincendo il Leone d’Oro a Venezia. Mentre con i documentaristici Taxi Teheran (2015), Tre volti (2018) e Gli orsi non esistono (2022) interpreta se stesso per condurre delle indagini personali su diverse situazioni, riflettendo in particolare sullo status del poter fare cinema e raccontare storie di denuncia nella sua nazione.
3. Majid Majidi tra i registi iraniani da conoscere
Uno dei meno noti in Italia, tra i grandi registi iraniani, Majid Majidi ha raccontato di storie realiste dal sapore vagamente favolistico e poetico. Realizza un film meraviglioso come I ragazzi del Paradiso (1997) che racconta di un ragazzino che deve rimediare alla perdita del paio di scarpe della sorellina, pensando di gareggiare ad una corsa a premi. Si fa notare anche con Il colore del Paradiso (1999) che racconta di un bambino cieco ed il suo rapporto con il padre vedovo, in un villaggio avvolto tra colori, suoni e natura. Ma lascia un segno anche il delicato The song of sparrows (2008) che racconta le tribolazioni di un uomo, licenziato, che deve affrontare ingenti spese per mandare avanti la famiglia.
4. Mohsen Makhmalbaf tra i migliori registi iraniani
Altro regista di spicco nella filiera del cinema iraniano degli anni ’80 e ’90, Mohsen Makhmalbaf recita anche in uno dei film di Abbas Kiarostami, l’apprezzatissimo Close Up (1990) che trae spunto da un episodio accaduto al regista. Nella filmografia di Makhmalbaf spiccano opere come il folkloristico e poetico Gabbeh (1996) e il delicato Pane e fiore (1997), sorta di docufiction che ricostruisce un episodio di cronaca. Inoltre, l’ottimo Viaggio a Kandahar (2001) che racconta la storia di una rifugiata afgana che fa ritorno al suo Paese per far visita alla sorella in condizioni di pericolo.
5. Asghar Farhadi
Probabilmente il regista iraniano più coccolato e considerato dalla critica internazionale degli ultimi dieci anni, Asghar Farhadi ha ottenuto due Oscar per il miglior film straniero, con Una separazione (2012) e Il Cliente (2017), ma ha vinto anche l’Orso d’argento a Berlino per il film About Elly (2009). Il suo cinema si concentra sulle relazioni umane, dando attenzione al contesto sociale del paese, muovendo le linee narrative tra il melodramma e la tragedia, spesso. Con Un eroe (2021) realizza un altro interessante spaccato tra il dramma ed il noir, raccontando di un uomo in libera uscita dal carcere che trova una preziosa valigetta che lo pone di fronte ad un dilemma.