Ecco perché Silence di Martin Scorsese è un film da vedere assolutamente
La fede e Martin Scorsese tornano a confrontarsi sul grande schermo dando vita ad una delle opere più intimiste e intense del grande regista americano. Con protagonisti i giovani Andrew Garfield e Adam Driver, la ricerca dell’universale verità è la strada principale del tormentato e contenutisticamente importante Silence, ultimo grande lavoro del maestro del cinema.
Inseguendo la vita e la missione di due giovani gesuiti pronti ad affrontare le persecuzioni nei territori del Giappone, il film è in uscita al cinema dal 12 gennaio e noi di Cinematographe vi diamo 5 buoni motivi per intraprende, nel buio della sala, un ritiro artistico e spirituale senza precedenti.
La potenza dei dubbi
Tornato al cinema dopo le scorribande tra dollari e droga dello spregiudicato broker Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street (2013), Martin Scorsese affronta ancora una volta – dopo l’esperienza de L’ultima tentazione di Cristo (1988) – il doloroso, inevitabile salto nel profondo dubbio. Alla scrittura insieme al fidato Jay Crocks, Martin Scorsese lascia sullo fondo maestranze tecniche e spettacolari per riporre l’animo fondamentale e necessariamente ingombrante del film nella parola, realizzando una sceneggiatura potente che con la chiarezza delle semplici – forse più comuni – domande sa racchiudere la grandezza di una religiosità in grado di mostrare la sua ineluttabile forza. Un dialogo fatto di silenzi, che affolla l’aria di voti e tragiche speranze, un confronto che l’uomo finisce ogni volta per fare con sé stesso, alla ricerca di una conferma che può essere ritrovata solamente nella purezza del proprio cuore.
Il suono del silenzio
Una colonna sonora definitiva ed efficace: il silenzio dell’opera di Scorsese non risiede solo nel titolo, non soltanto nelle mute risposte di un essere superiore, il silenzio in Silence è l’annullarsi di qualsiasi nota non provenga dal territorio circostante, un sacrificio a livello musicale fatto per sottolineare la riflessione durante la vacillante mancanza di certezze. Si odono a volte degli inni cantati sulla croce, a volte le urla di fedeli spaventati. Ma per l’intera durata del percorso da Silence non proviene un suono che non sia assolutamente diegetico all’interno del racconto, accentuando un’assenza che col tempo e con le atrocità subite diventa troppo ingombrante, specialmente per il più puro dei seguaci.
Due gesuiti, una missione
Giovani, ferventi, devoti: Andrew Garfield e Adam Driver sono i volti della speranza in paese straniero, Padri in grado di assolvere dai peccati e donare pace agli spiriti, due attori che dalle strappate vesti da gesuiti fanno trasparire la compostezza della fede e la persecuzione del bene, portando a termine delle ammirevoli interpretazioni grazie all’espressività straziata e al contempo fiduciosa dei loro volti.
Il perdono nel peccato
Tra i personaggi chiave di un’opera che presenta le complessità di un Dio misericordioso, la bieca vulnerabilità del giapponese Kichijiro sembra la summa di un divenire che ondeggia in un continuo flusso di rinnegazione e prima necessità. Nelle logore vesti del fedele per eccellenza, Kichijiro – intepretato da Yōsuke Kubozuka – rappresenta l’umano che preferisce far morire una parte di quella immutabile religiosità per poi rinascere tramite la purificazione del perdono, imparando a ripetizione una lezione da pestare sotto i piedi ogni volta che bisogna salvare non la propria anima, ma la propria vita. Un personaggio che è lo specchio di qualsiasi persona troppo debole per professare la propria fede; la copia esatta, ma non per questo malvagia, di una fetta di umanità.
La pragmatica dell’Inquisitore
Interpretato con garbo dall’attore Issei Ogata, l’Inquisitore di Silence offre i momenti di confronto più interessanti del film. Dialoghi e riflessioni che inquadrano un senso pragmatico, lontano dall’apparente sete di crudeltà con il quale è facile disegnare i malvagi delle storie; l’Inquisitore integra il viaggio del gesuita Rodrigues e dello spettatore con intelligente saggezza, aiutando il pensiero a sviluppare un modello critico da applicare, non mancando di quella poetica che, seppur semplice, aleggia sull’intero film.