Stefano Mordini parla di Race For Glory e dell’intuizione di Riccardo Scamarcio: “nel rally si perde contro se stessi”
È uscito il 14 Marzo 2024 nelle sale Race For Glory – Audi vs Lancia, l’ultima fatica di Stefano Mordini che racconta l’epica stagione del Campionato Mondiale di Rally dove Lancia e Audi si sono contese il titolo mondiale fino all’ultima curva. Scritto a sei mani con Riccardo Scamarcio (presente anche nel ruolo di produttore e attore protagonista), Filippo Bologna e lo stesso Stefano Mordini, il film ha rappresentato un “prototipo del genere” per il regista come da lui stesso sottolineato in questa intervista. Attraverso questa breve conversazione ripercorriamo il processo creativo, le sfide e le scelte che hanno portato alla realizzazione di questa pellicola che al suo debutto si è già piazzata al secondo posto del Box Office, subito dopo l’egemone Dune – Parte Due.
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Stefano Mordini racconta la nascita di Race For Glory – Audi vs Lancia
Iniziamo con una domanda semplice: com’è nata l’idea di fare Race For Glory?
“È un’idea di Riccardo Scamarcio. Ha avuto quest’idea e, visto che collaboriamo da tempo, mi ha detto che gli sarebbe piaciuto raccontare questa storia. Così abbiamo iniziato a costruire uno studio partendo dal personaggio di Cesare Fiorio, che lui aveva incontrato apposta, per raccontare quell’anno, quel duello epico del 1983. Nasce tutto da lì. Da un’urgenza, un’intuizione di Riccardo“.
Data la vostra lunga collaborazione insieme, definirebbe il rapporto lavorativo con Riccardo Scamarcio più come un rapporto d’intesa o più un confronto continuo?
“Il nostro sodalizio nasce da Pericle il Nero, il primo progetto che abbiamo fatto insieme. Da lì è nato un rapporto creativo, ognuno nei propri ruoli con Riccardo anche produttore, con uno scambio d’idee anche nella voglia di affrontare generi diversi. Di navigare nel cinema, per quello che il cinema permette. Se la domanda si rivolge a com’è fatto questo sodalizio: è sicuramente un rapporto fatto di scambi, di urgenza, anche nel tempo che uno ha per fare un progetto insieme. Quel tavolo dove ci incontriamo è un tavolo legato anche ai propri desideri, nel ricercare un po’ più di libertà, cercare storie che ci appartengono e ci entusiasmano”.
La necessità di raccontare la storia di Cesare Fiorio è nata dalla volontà di raccontare lo sport del rally, i suoi retroscena e la sua realtà, o un modo per evidenziare come in generale non vince solo la tecnica e il bravo pilota, ma si premia soprattutto la strategia e quel pizzico di follia tipico di questo mondo?
“Un elemento scivola nell’altro, in realtà. Per fare una metafora: abbiamo deciso di raccontare le emozioni che portano al movimento ‘di sfida’ di Cesare Fiorio nei confronti dell’Audi che si era guadagnata il mercato, e le vittorie, dall’81 in poi. Quindi l’idea di dover trovare una soluzione per battere una macchina che sembrava imbattibile porta ad un confronto fra il livello tecnologico, e anche finanziario, della casa tedesca contro alcune impossibilità della Lancia di affrontare lo sviluppo dell’auto. A questo punto, un uomo come Fiorio rappresenta un po’ quello stile italiano di appoggiarsi alla propria creatività nei momenti difficili, anche con l’idea di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Poi però il cuore devi anche andarlo a riprendere (sorridendo). Questo è il racconto di un uomo che non avendo i mezzi per vincere, si inventa degli escamotage, sempre all’interno del regolamento, pur di riuscire. Oltre alla ricerca (ndr. tecnica), c’è anche bisogno di una buona dose di creatività e d’intuito, uniti da una sana follia. Volevamo mostrare l’ossessione per la vittoria che aveva Fiorio, nel riuscire a creare situazioni che potessero portarlo fino a lì. […] Lo sport prevede un vincitore, altrimenti non si avrebbe competizione. Bisogna vedere però come la si ottiene quella vittoria “.
Ad un certo punto del film la sfida non sembra più con Audi, ma contro la Lancia stessa, è stata una cosa voluta?
“Fioro stesso diceva che lui si comportava come un produttore cinematografico, sempre alla ricerca di soldi. Tanto che lui opera una serie di invenzioni: trova lui gli sponsor, inventa i ponti radio durante la gara che tra l’altro si vede nel film attraverso gli elicotteri, avere un dottore sempre dietro. Tutta una serie d’invenzioni per sopperire alla differenza tecnologica. Chiede cose alla casa che non erano mai state chieste. Bisogna dire però che la sfida più grande lui in realtà ce l’ha con se stesso.“
Era proprio qui che volevamo arrivare, alla fine il film sembra tutta una guerra interiore di Cesare Fiorio, è così?
“Nel rally si perde contro se stessi. Non è uno sport di ‘sorpasso’ come potrebbe esserlo la Formula 1. Di conseguenza quando perdi, perdi contro te stesso. Sei tu che devi fare il miglior tempo“.
La produzione a tappe e le difficoltà tecniche raccontate da Stefano Mordini
Si tratta di una produzione multi-linguistica. Si parla francese, italiano, tedesco e inglese. Come avete fatto ad unire sapientemente tutte queste lingue a livello produttivo?
“Abbiamo scelto fin dall’inizio di rispettare le nazionalità di provenienza dei protagonisti della storia, conservando di conseguenza la lingua. Dopo di che, come succede nel ciclismo o nel motociclismo, c’è sempre una lingua comune, ad esempio paradossalmente per il motociclismo è l’italiano. In questo caso ovviamente fra di loro parlano inglese, ma quando ci si rivolge fra connazionali ognuno parla la sua lingua. Sicuramente è stato interessante e anche molto divertente perché in qualche modo sonorità diverse, portano intenzioni diverse, ed è stato piacevole scoprirlo“.
La produzione è stata tecnicamente difficoltosa o tutto è andato liscio e si è semplicemente divertito nel affrontare un nuovo genere?
“Beh, è stato ovviamente molto difficile. Raccontare storie di macchine, con vere macchine d’epoca sul set che si portano dietro tutta una serie di problemi, non è semplice. Le macchine da rally per di più sono fatte per partire e arrivare, non come si fa nel cinema che è un continuo partire e fermarsi. Poi come si vede, abbiamo attraversato territori tappa per tappa, è stata una produzione in itinere. Ovviamente come succede nello sport: se pioveva, pioveva, se faceva freddo, rimaneva il freddo, non ci si poteva fermare. Certo, difficile, faticoso ma vissuto con una grande dose di avventura. Alla fine, in qualche modo anche noi ci siamo fatti un campionato del mondo”.
Qual è secondo lei l’elemento di congiunzione fra il mondo delle corse e il cinema?
“Per fare una sintesi, ciò che unisce il cinema al mondo delle corse è il tempo. Il cinema dilata, costringe il tempo nell’arco di un paio d’ore di racconto. Invece quando corri, il tempo è fondamentale per capire se hai vinto o perso. Questo prendendo in prestito un elemento di questi due modi di vivere le emozioni. Il cinema in un senso, la gara sportiva nell’altra. […] C’è anche l’accelerazione del racconto emotivo rispetto alla velocità reale delle macchine. Un’altra cosa che abbiamo fatto è quella di scegliere una distanza nel racconto visivo, ritornando a quegli anni lì. Abbiamo cercato di restituire il verosimile. Si è lavorato molto sul ciò che si poteva vedere e su ciò che non si poteva vedere, e mai si potrà. […] Si è dentro la scena perché ci si può stare, senza usare effetti che differiscono da ciò che vedresti da dentro la macchina. Su questo siamo stati molto attenti.“
Si cimenterebbe di nuovo in un film sulle corse?
“No (ridendo). No, scherzo. Ho attraversato vari generi. Lo faccio perché secondo me il cinema è Il Genere e mi diverto ad affrontarli nel momento in cui mi si da la possibilità. È stata un esperienza bellissima, ma sai benissimo che quando affronti un tema fino in fondo si rischia di ripetersi. Così come le macchine, i film sono prototipi. Questo è stato il mio prototipo nel mondo delle corse automobilistiche, non credo che lo vorrei far diventare altro. […] Credo che in questo caso dall’idea di Riccardo abbiamo deciso di raccontare quell’anno, che era una grande sfida, e il film è questo: il racconto di una sfida. La sfida di un uomo contro se stesso.“
Sta preparando qualcosa di nuovo in questo momento?
“In questo momento no. Sto finendo una serie Netflix (ndr. Adorazione), adesso sono al montaggio, però in questo momento il mio pensiero va tutto a questo film. Siamo nella fase in cui lasci il film al pubblico, che per quanto non sia come quella di girare, è una fase che richiede una presenza anche emotiva importante”.