The Hateful Eight: recensione da letto ***SPOILER***
Lei: The Hateful Eight, film di Tarantino che non potrebbe essere più “di Tarantino”
Lui: spettatore intento a bilanciare lacrime di commozione ed una massiccia cine-erezione.
– Ma cosa fai, piangi?
– Eh… È più forte di me… Mi sei tanto piaciuta, The Hateful Eight.
– Oh, tesoro… Non è che dici così perchè ti piace Quentin Tarantino?
– No, davvero! Non lo dico spesso in giro, ma Django Unchained, per dire, non mi è piaciuto troppo.
– Ah, no?
– Insomma, è un bel film, con degli spunti interessanti. E Christoph Waltz è uno spettacolo e Di Caprio funziona bene, però boh, mi aspettavo qualcosa di meglio. Invece tu, The Hateful Eight, mi hai lasciato completamente soddisfatto. Hai detto tutto quello che dovevi dire, hai mostrato tutto quello che dovevi mostrare e hai sancito senza ombra di dubbio che ogni film di Tarantino ha raccontato sempre la stessa storia.
– E io che storia racconto?
– Tu racconti il cinema western. Lo omaggi, lo evochi. Ne riprendi l’estetica, la semantica e il ritmo. Sguazzi nel genere come una scrofa in una pozza di fango…
– Ah. Grazie.
– … ma poi ne esci splendida, radiosa e impeccabile. Perchè Tarantino obbliga i generi a piegarsi su se stessi ancora, ancora e ancora, fino a diventare qualcosa di nuovo. Tu sei l’esempio perfetto: i tuoi personaggi riassumono le figure chiave della mitologia western, su cui ormai si è detto tutto.
– Il cacciatore di taglie, lo sceriffo, il boia, il confederato, il reduce di guerra, il messicano, il mandriano o supposto tale, e il galeotto. O la galeotta, nel mio caso. Sì, direi che ci siamo. Che poi, a voler ben vedere, sono tutti lo stesso personaggio: dei bastardi col grilletto facile, induriti dalla guerra, dalla frontiera e dalla vita in generale, disposti a tutto pur di sopravvivere e a non dover confessare le proprie miserie.
– Potrei anche essere d’accordo. E cosa fa Tarantino? Qual è il colpo di genio? Li piazza tutti dentro ad uno stanzone da cui non possono uscire.
– Hai presente La Cosa di John Carpenter, no?
– Ho presente, The Hateful Eight. L’Emporio di Minnie diventa la tavola calda della scena iniziale de Le Iene, o la taverna nel seminterrato di Bastardi Senza Gloria, o il ristorante della scena finale di Pulp Fiction.
È in queste scene che Tarantino apre i rubinetti e dà il meglio di sé. Per te vale lo stesso discorso, The Hateful Eight, solo che anzichè durare pochi minuti questa scena dura due ore.
– Scommetto che la parte in cui il personaggio di Samuel L. Jackson racconta di come ha ucciso il figlio del vecchio generale ti è piaciuta da morire, porcello che non sei altro…
– Mi dichiaro colpevole. Se la prima mezz’ora hai un ritmo a tratti un po’ lento, da quando il Major Marquis Warren fa secco Sanford “Sandy” Smithers sei un crescendo rossiniano. I tuoi sono tutti personaggi memorabili, ma ognuno trova il suo posto e il suo equilibrio.
– Tarantino non perdona. E poi, hai visto che cast che mi ritrovo? Di Samuel L. Jackson non occorre dire nulla, è una garanzia.
– Kurt Russell è stata una rivelazione. È un crimine che non si sia mai fatto crescere dei baffoni…
Mi ha convinto poco Tim Roth, invece. Non sembrava che volesse fare il verso a Christoph Waltz?
– Ma che mi dici di Bruce Dern? O di Walton Goggins? O di Channing Tatum?
– Tutti bravi, ma la migliore in campo resta Jennifer Jason Leigh. Che di tutto il gruppo è la più cattiva, e chissà che si becchi l’Academy Award.
– Ah, quindi non sei di quelli che contestano a Quentin che l’unica “hateful” di genere femminile venga presa a pugni in faccia tutto il tempo?
– Ma ti prego. Sono stronzate che girano dai tempi di Kill Bill. Vorrei proprio sapere se quelli che si indignano per una Daisy Domergue presa a pugni hanno detto qualcosa quand’è uscito 50 sfumature di grigio. Daisy Domergue non è solo un personaggio cattivo: è intelligente, affascinante e ha le palle che fumano.
– È quello che dico anch’io. Come quando hanno contestato che Django Unchained si usava troppo spesso la parola “negro”. Ma ti pare? Vai a vedere un film di Quentin e ti offendi per le parolacce? È come guardare un film porno e lamentarsi che il finale è scontato!
– Poi dimmi se sbaglio, ma per come la vedo io non gliene potrebbe fregare di meno delle ideologie. È come ti dicevo prima: ogni film di Tarantino dice la stessa cosa.
– Cioè?
– “Io amo il cinema in ogni sua declinazione, io celebro il cinema in quanto forma d’arte, mezzo di espressione e somma fonte di gioia. Io credo che il modo migliore di raccontare una storia sia tramite una sapiente giustapposizione di immagini, parole e musica.”
È tutto qui. Tarantino fa cinema per amore del cinema. Il sangue e le volgarità che infarciscono te e gli altri suoi film sono sempre e comunque funzionali alla storia.
Perciò nel tuo finale Daisy, con il cervello di suo fratello ancora tra i capelli e il braccio di John Ruth ancora ammanettato al polso, viene impiccata da Mannix e Warren che stanno morendo dissanguati. E Mannix e Warren ridono mentre guardano Daisy scalciare appesa alla corda.
– Pesante?
– No, è deliziosamente coerente. Non potevi finire in un altro modo. Come tutti gli altri, Mannix e Warren sono vissuti odiando e muoiono odiando, godendo delle disgrazie altrui. Potrebbero semplicemente sparare a Daisy ma decidono di impiccarla per rispetto della memoria di John Ruth. C’è tutto il cinema di Tarantino in questa scena.
– Amore, stai avendo un’altra cine-erezione…
– Oh. Già. Credi di poter fare qualcosa a riguardo?
– Certo, dolcezza. Ci vuole solo la musica giusta.