Valeria Golino si racconta al LFFEC17: il suo nuovo film, i fallimenti e il cinema che ama
Durante il Lucca Film Festival 2017 Valeria Golino ha parlato del suo nuovo film da regista, delle differenze tra il cinema italiano e americano, di Netflix, Tom Cruise e Tim Roth
Valeria Golino incontra il pubblico del Lucca Film Festival e assieme alla giornalista Silvia Bizio, racconta la sua esperienza nel mondo del cinema, attraverso i suoi primi film da attrice al suo ruolo di regista e produttrice.
Una delle prime cose dichiarate da Valeria Golino concernono la preparazione di un suo nuovo film da regista in pre-preparazione che, afferma la regista, è il momento più difficile, poiché è il momento in cui tutto quello che si immagina sembra impossibile da realizzare.
“Si vedono tutti i problemi e nessuna delle cose belle che avevi pensato. Da attrice non mi rendevo conto quanto è difficile questo lavoro per il regista. Essendo attrice soffro quando non riesco a dare un’opportunità a persone che se lo meritano per esigenze di produzione.”
Nel suo nuovo film, ci racconta Valeria Golino, i protagonisti sono due fratelli le cui parti non sono state pensate per attori specifici.
Per il primo film, Miele, la protagonista era una donna, affiancata da un uomo. Durante la scrittura però Jasmine Trinca (che poi è diventata la protagonista) si è intrufolata letteralmente nella mente della regista e, continua la Golino, anche se non ha fatto il provino più bello, ha scelto lei. Cosi anche per Carlo Cecchi. Alla fine però l’istinto ha avuto la meglio e i protagonisti sono stati loro.
“Spesso quando vieni rifiutato come attore ci rimani male e pensi di non essere bravo, ma in realtà non ha a che vedere con quello, ma con la particolare alchimia col personaggio che viene a mancare.”
Quando si passa dall’altra parte della macchina da presa c’è sempre l’ambizione o la presunzione di fare qualcosa di diverso dagli altri, afferma la regista, che sottolinea quanto parallelamente alla costruzione di una pellicola esista un mondo arduo e ingrato che è la produzione, che è una delle cose più difficili dell’ambito.
Il produttore è un mestiere che è molto cambiato rispetto al passato e oggi rimane davvero poco remunerativo.
Silvia Bizio continua la sua conversazione con Valeria Golino trasferendo la tematica sui suoi gusti filmici e la regista e attrice risponde asserendo che apprezza tutto il cinema se è bello, anche i Blockbuster, ad esempio un film bellissimo per lei è Gravity. Non c’è una contrapposizione fra cinema d’autore bello e commerciale non bello. Ci sono film che le piacciono, afferma la Golino, e le interessano tantissimo a prescindere da queste cose.
Ma d’altra parte il cinema, soprattutto americano, secondo lei negli ultimi quindici anni ha preso una strana deriva, una via di mezzo con i videogame, un cinema che le capita di vedere ma cui non aspira.
“Una volta era più vivo l’interesse per il cinema in sala e di conseguenza la voglia di farlo. Tutti gli anni ci sono bellissimi film, anche in Europa, ma il pubblico m sembra sempre meno affezionato a questo tipo di film. Quando ho cominciato io per esempio era molto più vivo l’interesse per il cineasta d’autore. Mi dispiace che il cinema sia diventato così poco frequentato, probabilmente anche a causa di Internet.”
Queste nuove piattaforme (es. Netflix) sono tutte interessanti, ma, continua la Golino, le dispiace che vadano a discapito della sala cinematografica, poiché l’esperienza cinematografica è tale anche perché vista insieme ad altre persone, creando una coscienza collettiva. Andare al cinema è bellissimo proprio per la situazione che si crea. Tutti i modi di fruire il cinema sono validi, ma, conclude la regista, le piacerebbe che una cosa non facesse scomparire l’altra.
La conversazione continua attraverso l’esperienza di Valeria Golino in America e durante il suo vissuto nella meravigliosa Los Angeles. La regista afferma di essere molto legata a Los Angeles, una città strana, diversa da tante nostre città. È un non luogo, una non piazza, una città per certi versi pericolosissima, in cui l’industria cinematografica regna e in cui tutti vanno lì per questo motivo.
È una città che può impaurire, in cui ci si può perdere, ma che con lei è stata molto clemente.
“Ci ho vissuto anni belli e divertenti, ma adesso non ci vivrei più bene. Non è una città per le persone di mezza età, ma ci torno spesso volentieri. Non si deve andare lì allo sbaraglio per cercare la fama, ma con un progetto solido in mente. Una volta c’era un divario più grande fra cosa si poteva fare lì o in Europa, adesso meno.”
La parola passa al pubblico che incede con numerose domande alla regista tra le quali una che si sofferma su quali possano essere stati i suoi fallimenti più grandi.
La Golino chiarisce che divide fallimento e rimpianto, essendo due cose diverse, per cui ha fatto tante cose diverse ma non ne ha fatte moltissime altre. Poi si sofferma con una piccola considerazione su Tom Cruise e Tim Roth, con i quali ha lavorato, che hanno un grandissimo talento, ma in maniera diversa.
“Tom Cruise aveva il dono di essere un piacere da guardare, che per un attore è fondamentale. Adesso secondo me l’ha un po’ perso. Tim Roth non ha quel dono, ma è un attore di una tale intelligenza e un tale senso dell’umorismo che rende interessantissimo lavorare con lui, come Dustin Hoffman. È sempre interessante lavorare con persone diverse da te e che hanno un’idea di cinema lontana dalla tua, perché c’è sempre da imparare.”
Una domanda a Valeria Golino si sofferma sulle differenze fra cinema americano e italiano, e lei risponde asserendo che a livello di studio e mezzi cinema americano e italiano sono due pianeti completamente diversi.
In America la loro è un’industria, in Italia è un artigianato. Sono due esperienze completamente diverse. In America è una cosa enorme, anche spersonalizzante forse.
“C’è una gerarchia evidente fra i vari reparti, è un meccanismo ben oliato. Ognuno sa qual è il proprio posto e cosa deve fare. Lo stesso regista diventa una parte di un meccanismo. Da noi invece il punto di vista del regista è la cosa più importante di tutte. Ci sono lavori che possono travasarsi l’uno nell’altro, ma mi irrita un po’ il trend di “tutti facciamo tutto”, anche se io stessa lo faccio. Per esempio mi hanno chiesto di scrivere un libro, cosi dal nulla, senza che io avessi nulla da scrivere. Penso che sia meglio che ognuno faccia il suo lavoro.”
Ma, infine, afferma Valeria Golino, sicuramente se dovesse scrivere un libro non lo farebbe su lei stessa.
“Provo orrore nel raccontare me stessa, mentre altri, per esempio Valeria Bruni Tedeschi, nelle loro opere ci riescono benissimo.”