Hanna – stagione 2: recensione della serie TV Amazon
Avvincente e pronta a sorprendere. Alla serie Amazon, su Prime Video dal 3 luglio, manca solo il pubblico. Perché la sua protagonista è un'icona in attesa.
Ogni adattamento ha i propri obblighi. Lo sa bene David Farr, sceneggiatore di Hanna e responsabile dell’omonima serie TV Amazon. Nella prima stagione dovette infatti sacrificare l’originalità per un calco necessario e un po’ freddo degli eventi del film. Ma compiuto il dovere, arriva il piacere. O come lo chiameremo d’ora in poi: la seconda stagione. I toni che questo sequel afferra erano già inscritti nell’esordio della serie. Nascosti in un finale straripante di promesse. La strada era quindi battuta, e la seconda stagione la percorre con decisione. Spezzati i rapporti col film, la serie inizia a brillare. Staziona tra Bourne Identity e Atomica Bionda, ma guarda a James Bond.
La seconda stagione, disponibile su Amazon Prime Video dal 3 luglio, pone fine alle promesse e inizia a raccontare. Concede nuovi comprimari, rinnova i moventi e accenna intrecci ad ampio respiro. Perché, pubblico permettendo, siamo solo all’inizio.
Hanna, una seconda stagione ad alto impatto
Veniamo gettati nel racconto con un ultimo richiamo alla stagione passata. Siamo in un bosco, come quello in cui Hanna (Esme Creed-Miles) è cresciuta col padre. Ma la giovane guerriera è cambiata. Non scappa più. Uscita dalla fitta radura della Bukovina non si guarderà indietro. Con lei Clara (Yasmin Monet Prince), fuggitiva del progetto UTRAX. Programma militare ideato per trasformare un gruppo di ragazze dal dna modificato in super spie. Alla loro presentazione la seconda stagione dedica ampio spazio. Le seguiamo all’interno delle Meadows, struttura segreta in cui vivono. Qui imparano a combattere e a mentire. A ognuna di loro viene affidata una falsa identità. Con finti genitori e relativi ricordi. Una copertura per ogni missione. Alcune finiscono anche per crederci. Tra queste Sandy (Aine Rose Daly), che ogni giorno scrive alla madre, anche se sa che dietro lo schermo siede un dipendente dell’UTRAX. Jules (Gianna Kiehl) interpreta invece la ribelle disincantata. In mensa legge Il giovane Holden (“il libro più importante che esista”) e si arrabbia perché ogni loro copertura segue una visione eteronormata delle relazioni.
La dinamica del gruppo sostituisce l’azione più concitata. I dialoghi si allungano e le sparatorie vengono meno. L’aspetto corale prende il posto dell’avventura solitaria. Ma Hanna eviterà l’inganno: dietro i sorrisi delle giovani spie si annida la truce mano del nemico.
Tra guerra psicologica e conflitto generazionale
L’azione si concentra negli ultimi episodi. Quando la serie conclude un graduale percorso verso la spy story più classica. Prima però un thriller psicologico di tutto rispetto. Hanna deve resistere al fascino dell’UTRAX. Una guerra strategica che getta la serie in un’atmosfera claustrofobica, costruita sull’alternanza tra conflitto armato e scontro interiore.
Nelle Meadows Hanna apprende i pericoli contro cui le super spie sono addestrate. Il loro compito è eliminarli, in nome degli Stati Uniti d’America. Il nuovo mondo resta però escluso dalle vicende. Il centro dell’azione è ancora l’Europa, che interessa Hanna in tutta la sua estensione. La attraversiamo con rigore, e mentre i nomi delle città scorrono su schermo sorge il dubbio che per l’America di oggi sia qui il nemico da affrontare. La seconda stagione accenna poi a un tema inedito per i generi a cui la serie fa riferimento. Un conflitto generazionale all’apparenza fuori luogo. Nei piani dell’UTRAX scopriamo esserci l’abbattimento di giovani pericoli internazionali. Perché “i giovani sono bellissimi, ma anche pericolosi per ciò che potrebbero diventare”, spiega John Carmichael (Dermot Mulroney), responsabile del progetto. Il terrorismo internazionale va fermato alla radice di una nuova generazione. Se per ora le spie dell’UTRAX, tutte classe 2004, sono quindi spinte a un conflitto tra coetanei, la futura ribellione (di facile previsione) vedrà al centro della serie uno scontro intergenerazionale. Il risultato parlerà dell’ottimismo con cui Hanna guarda al futuro.
La lista degli obiettivi dell’UTRAX diventa il mcguffin di fine stagione. Il movente di tutto. E l’inizio di una storia in pieno stile Bond. Alleata di Hanna nella missione è Marissa Wiegler (Mareille Enos). Un tempo rilegata al ruolo di villain. La sua evoluzione, sempre giustificata, conferma lo spessore del personaggio. Più macchinosa è invece la soluzione di molti intrecci. Da morte certa, Marissa e Hanna vengono salvate con continui deus ex machina. Nello stile del genere, ma in numero sufficiente da reclamare una buona sospensione dell’incredulità. Tra le fila dei problemi anche una regia dell’azione non sempre chiara. Rari i piani sequenza in combattimento (uno lodevole nella seconda puntata), mentre più comune è l’approccio frammentato all’azione. Quando il ritmo in scena accelera, la camera a mano insegue la dinamica con eccessiva frenesia e monta inquadrature troppo brevi per godere delle arti marziali in scena. Una ragione in più per sperare che Bourne Identity resti tra i punti di riferimento della serie anche nelle prossime stagioni.
Da Eleven di Stranger Things a Natasha Romanoff di Avengers. Hanna è un’icona in attesa. Inarrestabile coi capelli platinati della vedova nera ne Il soldato d’inverno. Inscritta in un perimetro di riferimenti positivi, ad Hanna manca solo il pubblico. La serie Amazon è infatti la risposta perfetta a chi attende invano che James Bond diventi donna. Non un reboot al femminile. Ma un percorso nuovo, rilanciato da un seconda stagione che porta a casa più di un risultato. Figlia dell’atomica Charlize Theron, Hanna è pronta a brandire il successo in un franchise di ampio respiro. La sfida torna però a David Farr, al quale resta solo da rispondere all’interrogativo finale della sua protagonista: “Allora, che si fa ora?”