David Lynch su Twin Peaks: il revival, lo storytelling e quel finale misterioso
Il filmmaker David Lynch parla del suo revival di Twin Peaks, dell'atmosfera della serie, della costruzione narrativa e del finale inspiegabile
È notevole il fatto che David Lynch, metodico e imprevedibile, abbia diretto tutti e 18 gli episodi del revival di Twin Peaks di questa estate e che Showtime abbia permesso all’autore esoterico di realizzare una serie inquietante e confusa che sembrava, come spesso accade con Twin Peaks, più vicina all’onirico che alla realtà. Il surrealismo da incubo si è fuso con spettacoli musicali di artisti del calibro di Eddie Vedder e si è accanito con la tristezza delle morti di diversi importanti membri del cast. Nella sua maniera evasiva, Lynch ha discusso il suo rinnovato amore per la televisione, il finale della stagione di Twin Peaks e altro ancora con The Hollywood Reporter.
Ho amato quelle 18 ore tanto quanto il pubblico, ma non sai mai come verranno percepite le cose nel mondo. Ero curioso, infatti, ma nulla di più. L’impegno del pubblico nei confronti della serie è meraviglioso. Vi dirò, è stato davvero incredibile quando è stato diffuso nel mondo esterno. A volte le cose non vanno così, ma questa volta è stato davvero grandioso.
Quando si ha a che fare con un esperimento televisivo come è Twin Peaks, diventa ovvio pensare alla produzione (il network Showtime) e a quello che deve aver pensato durante gli screening test del progetto di David Lynch:
Bene, all’inizio, penso, ovviamente, i dirigenti si preoccupano di come andranno le cose. Ma devo dire che sono stati molto bravi con me e ho avuto completa libertà. Quindi è stato molto buono. David Nevins e Gary Levine e Robin Gurney alla Showtime sono diventati grandi fan. Ed è stato davvero bello lavorare con loro. Mi hanno fatto parecchie domande in corso d’opera: sono esseri umani. Quindi hanno domande come tutti gli altri. E amavano vedere indizi e cercare di capire le cose. E loro ci hanno lavorato per tutto il tempo. Erano davvero coinvolti. Soprattutto quando tutto si è combinato con il suono e la musica mescolati. Erano davvero dei fan.
Come si posiziona un filmmaker e artista come David Lynch rispetto all’incontro tra gli istinti di storytelling e il mezzo televisivo?
Amo una storia continua, numero uno. E penso che il lungometraggio stia attraversando un momento difficile in questo momento. Quindi la televisione, la televisione via cavo, è la nuova casa d’arte. Ed è così bello perché puoi raccontare una storia continua. La qualità del suono e dell’immagine non è buona come al cinema, ma sta migliorando sempre. E se le persone lo vedono su un grande schermo nella loro casa con le luci abbassate e un buon suono, o se lo vedono con le cuffie, è possibile entrare davvero in quel mondo. Quindi è un momento di speranza, e la televisione via cavo sta migliorando continuamente ed è un bel posto per queste cose.
Ma David Lynch come vive la costruzione di un progetto come Twyn Peaks? Continua a modificare quello che scrive o va a colpo sicuro?
No. C’è un punto in cui dici “Questo è tutto”. Ma è l’alta tensione. Sai che la scadenza è incombente, quindi continui a lavorare. Ma poi hai abbastanza tempo per dire “Sì, ora è finito”. La sceneggiatura la costruisci. È come, non lo so esattamente. Puoi dire che la sceneggiatura è come le note musicali, pagine e pagine e pagine di orchestrazioni. E lo stai costruendo. Ma puoi vedere le note, come dovrebbero andare e dove va dolce e silenzioso e dove si costruisce. E dove va qua e là, le transizioni. Ed è tutto lì nella musica. Devi solo tradurlo nel cinema.
E quel finale? Si tratta di un cliffhanger oppure è una sorta di ampia domanda filosofica che, forse, non necessita di una risposta?
Non dico veramente cose del genere. Ma sai, dico sempre che dovrebbe esserci spazio per sognare.