Nella mente di Putin. I perché della guerra Ucraina-Russia spiegati da Oliver Stone
Trasmesse su Rai Tre il 5 e 12 ottobre dell’ormai lontano 2017, le conversazioni tra Oliver Stone, coscienza critica degli Stati Uniti, e Vladimir Putin tornano di grande attualità: disponibili alla visione su Prime Video, ci permettono di comprendere la genesi della “minaccia” ucraina, così come percepita dal presidente russo.
Nato nell’ottobre del 1952, a pochi anni dalla fine di una guerra che aveva ferito fisicamente e moralmente suo padre (ingegnere impiegato in una fabbrica) e ucciso un fratello maggiore (morto di difterite durante l’assedio di Leningrado), Vladimir Putin – una laurea in Giurisprudenza come naturale titolo d’accesso al KGB, dove, a inizio carriera, gli interessava operare – vive ancora seguendo i principi del judo, lo sport che lo ha salvato, ragazzino, dalla delinquenza: «Il segreto è essere flessibili, sfruttare le debolezze dell’avversario; serve disciplina, è impensabile affrontare i grandi problemi di oggi senza disciplina».
A Oliver Stone, che dal luglio 2015 al febbraio 2017 lo raggiunge a Mosca per intervistarlo, il presidente della Russia, saldamente al potere dal 1° gennaio del 2000 (con una pausa, durata dal 2008 al 2012, in cui è stato ‘solo’ primo ministro), concede di entrare nelle stanze del governo e in quelle, al pari blindate, della sua vita privata, anche se – a quanto pare – non c’è quasi differenza tanto Putin è identificato con il suo ruolo di ‘padre’ della patria.
Nelle viscere del putinismo: Oliver Stone intervista il presidente della Russia
Oggi, che la guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina chiude la sua prima settimana all’insegna dell’inevitabile violenza e dell’incertezza sui suoi esiti, rivedere le quattro parti in cui l’intervista, disponibile alla visione on demand su Amazon Prime, è segmentata offre importanti chiavi di lettura. È senz’altro vero che Stone, da sempre coscienza critica (pure troppo) del suo Paese, non sembra torchiarlo abbastanza e, anzi, a tratti pare persuaso dalle sue narrazioni, narrazioni che a sua volta piega a conferma della propria opinione su quegli esponenti della Sinistra americana da lui definiti “neoconservatori”: in particolare, il regista sembra condannare Hillary Clinton che, una volta, durante la sua corsa alla presidenza, aveva osato paragonare Putin a Hitler in quanto anche questo ultimo aveva trovato nella volontà di proteggere il popolo tedesco in Romania e Cecoslovacchia l’argomento a legittimazione del suo operato. Ora che il paragone Putin-Hitler è stato rispolverato – sotto forma di meme satirico – dagli stessi Ucraini, la solidarietà mostrata da Stone al presidente russo pare ‘invecchiata’ molto male.
È, tuttavia, altrettanto innegabile che la morbidezza dell’intervistatore – quasi uno slancio amichevole, una forma di empatia, tra l’altro unidirezionale – consente all’intervistato di emergere per quello che è: indecifrabile. Quasi sempre è così il volto del potere: una parete neutra su cui proiettare le proprie intime inquietudini e a cui delegare un bisogno di garanzie. Putin ce la racconta e, naturalmente, tutto torna in quel che dice, ma in fondo non è interessante tanto afferrare ciò che è vero quanto capire come Putin percepisca gli scenari dei quali è divenuto protagonista così da poterci insinuare anche noi nelle viscere del suo sistema, dei suoi immaginari (paranoici?) e delle sue grammatiche politiche.
La crisi in Ucraina secondo Putin
La questione ucraina viene evocata più volte, ma occorre attendere la terza parte dell’intervista perché venga approfondita debitamente. Putin accetta di parlarne, a patto di poter cominciare dall’inizio. A Stone spiega che, a seguito dell’indipendenza nel 1991, l’Ucraina è stata sottoposta a una privatizzazione selvaggia che ha accentuato l’impoverimento del suo popolo anziché consegnare quest’ultimo a migliori condizioni di vita. Benché Putin rifiuti a più riprese l’etichetta di nostalgico dell’Unione Sovietica e anzi ribadisca che è necessario guardare a un futuro non più radicato su paradigmi bipolari (né, d’altra parte, unipolari), quel che sembra sottolineare, neanche troppo implicitamente, è fino a che punto la dissoluzione dell’Urss non abbia portato a quanto sperato e abbia accentuato sperequazioni economiche, nazionalismi, radicalizzazioni sovraniste, sentimenti di estraneità da parte dei suoi ex cittadini all’interno di quella che fino a poco tempo prima era casa loro. Putin non nasconde che, secondo lui, “Russia e Ucraina sono un unico popolo e, del resto, la Russia ha sempre rispettato le differenze culturali e linguistiche dell’Ucraina”.
Contro l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, “minaccia” per la Russia
Putin spiega che il desiderio dell’Ucraina di entrare nell’UE risponde ad aspettative di natura economica; chiarisce, inoltre, che, se la classe dirigente ucraina “ha tutto il diritto di operare le sue scelte, non è però giusto che queste ricadano sulla Russia” e riconduce la genesi della rivoluzione ucraina del 2014 e il conseguente “colpo di Stato” all’accordo rimandato dall’allora presidente in carica Janukovyč (filorusso) con l’Unione Europea: “Nessuno gli chiese allora quali fossero le ragioni di quel ritardo né quali fossero i termini dell’accordo; gli Americani e gli Europei, anziché indagare le cause di quel fallimento, appoggiarono il colpo di Stato, fomentando le proteste, cavalcando il malcontento e accentuando la spaccatura interna al Paese stesso”.
Se, tuttavia, Putin non rifiuta categoricamente lo scenario di un accordo a tre – Ucraina, Russia e UE –, quel che senza dubbio lo spaventa è la possibilità di un ingresso dell’Ucraina nella Nato. Secondo il presidente russo, l’eventuale accordo tra Nato e Ucraina rappresenterebbe “una minaccia” per la Russia perché la Nato, per giustificare la sua permanenza in essere – per continuare a esistere legittimamente – avrebbe bisogno di individuare un nemico esterno contro cui combattere: “Né la leadership politica ucraina né il popolo ucraino potranno sottrarsi all’influenza della Nato, una volta entrati a farne parte. Non potranno, ad esempio, rifiutare il posizionamento di un sistema d’arma.
“L’America”, continua Putin, “percepisce ancora sé stessa come superpotenza. Deve, perciò, riaffermarsi in Europa e, per riaffermarsi, ha bisogno di un nemico: la Russia è ai suoi occhi il potenziale aggressore da arginare. Ma, presto o tardi dovrà capire che noi Russi non rappresentiamo un pericolo. Dovremo dire la parole fine. E, se dobbiamo mettere la parola fine, che ciò avvenga attraverso il dialogo”. Un dialogo, quello evocato da Putin, che però non si è prodotto o comunque non è riuscito a scongiurare il conflitto armato con l’Ucraina, ‘rea’ di subire un po’ troppo le seduzioni euroatlantiche. A giudicare dalle parole affidate alcuni anni fa al regista di Platoon e Nato il quattro luglio e oggi tornate triste oggetto d’interesse, il presidente della Russia, attaccando l’Ucraina, avrebbe aggredito per primo per non essere a sua volta ‘aggredito’ non tanto dall’Ucraina quanto dalla Nato, per evitare, cioè, di diventare quel nemico che la Nato stessa continuerebbe a far sussistere per garantirsi la sopravvivenza.