SanPa: polemiche per il documentario Netflix su San Patrignano e Vincenzo Muccioli
Secondo la comunità di San Patrignano, il documentario lascerebbe spazio ad un resoconto unilaterale che sembra voler soddisfare la forzata dimostrazione di tesi preconcette.
La comunità di San Patrignano ha condiviso una nota con cui si dissocia da SanPa, il documentario Netflix sulla comunità di Vincenzo Muccioli
Il 30 dicembre è stato aggiunto nel catalogo Netflix il documentario SanPa, incentrato sulla comunità di recupero fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli. Quarant’anni fa, quando quella della droga e soprattutto dell’eroina rappresentava più che mai una piaga sociale, nel centro di recupero di San Patrignano venivano accolti centinaia di ragazzi che, dopo mesi e anni trascorsi lì dentro riuscivano molto spesso a fare ritorno alla vita, riacquistando una dignità ed un valore personale. La docuserie di cinque episodi, però, ha scatenato subito alcune polemiche per il modo in cui viene descritta la comunità ed in particolare la figura di Vincenzo Muccioli, osannato da molti ma anche criticato da chi lo ha sempre giudicato troppo violento e a tratti disonesto.
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“La comunità di San Patrignano si dissocia completamente dal documentario Netflix“, si legge in una nota condivisa nelle scorse ore, secondo la quale la docuserie sarebbe fin troppo “unilaterale“, basato su un racconto “sommario e parziale“. Per quanto riguarda la narrazione di SanPa, la nota la accusa di focalizzarsi “in prevalenza sulle testimonianze di detrattori o di persone con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla comunità stessa“. Insomma, parole di denuncia che mettono in guardia i tantissimi che in questi giorni hanno scelto di guardare il documentario Netflix, dando per vero tutto ciò che emerge nel corso dei cinque episodi. Sempre attraverso la nota, la comunità di San Patrignano ci tiene a spiegare di aver accolto la regista Cosima Spender “per trasparenza e correttezza“, ospitandola per diversi giorni, durante i quali Spender avrebbe avuto l’opportunità di parlare con chiunque volesse, salvo poi scegliere di far emergere dalla docuserie soltanto “un resoconto unilaterale che sembra voler soddisfare la forzata dimostrazione di tesi preconcette“.
“Avevamo espresso fin dall’inizio la preoccupazione per gli effetti che un prodotto televisivo di ricostruzione delle vicende trascorse all’interno della comunità, se non ricostruite e presentate in maniera equilibrata e adeguatamente contestualizzate, poteva avere sulla odierna realtà di San Patrignano, con i suoi oltre mille ospiti. Purtroppo, ci troviamo a constatare che i timori erano assolutamente fondati“, si legge ancora nella nota che conclude denunciando “le spettacolarizzazioni, drammatizzazioni e semplificazioni presenti in un prodotto chiaramente costruito per scopi di intrattenimento commerciale più che di seria ricostruzione documentaria che rispetti i canoni di oggettività per essere chiamata tale“. Questi elementi potrebbero “colpire le purtroppo numerosissime persone e le loro famiglie che affrontano il grave problema della tossicodipendenza, oggi ancora emergenza nazionale. Persone alle quali San Patrignano ha sempre aperto le proprie porte e accolto gratuitamente in un programma terapeutico basato su principi e metodi molto distanti da quelli descritti nella docu-serie, come dimostrato da diversi studi indipendenti di prestigiosi atenei sia nazionali che internazionali“.