Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America: recensione del documentario Sky Original
Il documentario di Francesco Zippel si presenta come un saggio visivo sull'opera di Sergio Leone e sulla capacità del regista romano di costruire un'immagine moderna e mitica dell'America
Sergio leone – L’italiano che inventò l’America è il documentario Sky Original, diretto da Francesco Zippel, che ha vinto il Nastro d’Argento come “Documentario dell’Anno 2023”.
Il film ripercorre la vita di Sergio Leone, regista romano che, da solo, fra gli anni sessanta e settanta, ha traghettato il genere western nella modernità, reinventando lo spazio simbolico dell’epos, in cui è radicato il mito della fondazione degli Stati Uniti d’America.
Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America – America e libertà: la giovinezza
Leone era cresciuto durante il fascismo. Di indole ribelle, si formò con quei pochi film statunitensi di cui il regime permetteva la visione. Coltivò così un’immagine astratta degli Stati Uniti, percepiti come lontana terra di libertà e avventura. Un luogo in cui la modernità industriale delle metropoli si incontrava con un individualismo eroico, arcaico e quasi mitologico. Gangster, cowboy e detective erano gli eroi di questo mondo che si contrapponeva, nell’immaginario del giovane, al grigiore conformista e oppressivo della vita in camicia nera, nell’Italia in guerra, occupata dai nazisti. Infine con la liberazione da parte delle forze alleate, il giovane Sergio potè vedere per la prima volta gli americani reali, incarnati nelle figure dei soldati entrati a Roma sui carri armati. L’incontro con una realtà umana variegata e dai comportamenti meno eroici di quelli propagandati dall’immaginario hollywoodiano piantarono, nel futuro regista, i semi per quella profonda riflessione sull’America, che egli avrebbe portato avanti attraverso tutta la sua filmografia, negli anni a venire – con l’unica eccezione del peplum Il colosso di Rodi (1961).
Un documentario analitico
In Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America Zippel non si limita a ricostruire la figura umana del regista, per mezzo dei ricordi di famigliari, amici e attori. Invece si concentra soprattutto sul processo creativo in atto durante la realizzazione di un film. Interroga collaboratori di Leone come il regista Dario Argento e il compositore Ennio Morricone, per indagare i nessi fra immagine e musica al cinema o i meccanismi della scrittura di una sceneggiatura. Dando dunque prevalenza al fantasma dell’arte filmica che ha impregnato di sé l’intera esistenza dell’uomo, l’autore inserisce la vita di Leone fra gli scaffali di una ideale cineteca universale. E lo fa col supporto di un ampio numero di immagini e spezzoni, tratti dall’opera del regista romano, grazie anche alla collaborazione della Cineteca di Bologna, il cui direttore compare, peraltro, fra gli intervistati.
A rendere davvero interessante questo lavoro sono, però, le interviste a registi del calibro di Steven Spielberg, Darren Aronofsky, Giuseppe Tornatore, Carlo Verdone, Damien Chazelle, Jacques Audiard, Tsui Hark e soprattutto Martin Scorsese e Quentin Tarantino. Attraverso le analisi fornite da tali maestri della settima arte, il documentario Sergio leone. L’italiano che inventò l’America individua i punti forti delle innovazioni linguistiche che la visione di Leone ha apportato al cinema. Si va dall’importanza che assume, nella sua opera, l’ambiente naturale, in quanto paesaggio dell’anima di un’intera cultura, alla capacità di Leone di trasformare l’ontologia stessa dell’arte cinematografica. Il regista mostrò infatti come quello che era un linguaggio di sintesi spaziotemporale potesse facilmente divenire un linguaggio capace di restituire la percezione di un rallentamento infinito dello scorrere del tempo, attraverso la dilatazione dei tempi di messa in scena e della durata delle singole inquadrature.
Un altro nodo centrale dell’analisi che Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America porta avanti, consiste nel rapporto fra le situazioni e i personaggi creati da Leone e l’immaginario avventuroso contemporaneo. Per esempio Frank Miller, fumettista e regista noto per aver avuto una parte fondamentale nella rielaborazione della figura del supereroe così come la concepiamo oggi, non solo sottolinea quanto il cinema del regista romano lo abbia influenzato, ma sostiene che Leone sia stato in grado di comprendere la natura più profonda della mitologia eroica presente nell’epopea della conquista del West, rielaborandola alla luce di un quadro di pensiero contemporaneo. Meglio ancora, secondo quanto afferma Martin Scorsese, l’opera di Leone si pone come spartiacque fra il cinema classico e quello moderno e riesce a riscrivere continuamente il mito fondativo della cultura statunitense. Il mito cioè dell’individuo impegnato in una lotta per la sopravvivenza, che perde i connotati darwiniani e si fa avventura picaresca. Secondo la lettura che suggerisce il lavoro di Zippel, dunque, film come Per un Pugno di Dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965)e Il buono, il brutto e il cattivo (1966) inseriscono questa lotta dell’individuo all’interno di un meccanismo storico più grande, i cui attori principali finiscono per essere il capitalismo e la tecnologia industriale. Mentre C’era una volta il West (1968), Giù la testa (1971) e C’era una volta in America (1984) tirano le fila del discorso, restituendo un’immagine grandiosa, crepuscolare e disillusa del mito americano.
Insomma Sergio leone – L’italiano che inventò l’America più che una classica biografia dai toni agiografici, riesce a essere un piccolo saggio di storia del cinema. Il documentario non solo non annoia, ma apre qualche squarcio interpretativo originale sull’opera di un uomo che, a tutti gli effetti, ha contribuito alla costruzione di un immaginario, in grado, ancora oggi, di influenzare la rappresentazione e l’autorappresentazione dell’America e dei suoi miti, nella mediasfera globale.