Donne che sfidano la mafia: speciale Lea Garofalo su Crime+Investigation
Lea Garofalo viene uccisa dall’ex marito Carlo Cosco, esponente della ‘Ndrangheta. Perché? Aveva denunciato le attività malavitose della famiglia. A sei anni dall’omicidio Crime+Investigation ricorda il coraggio e il sacrificio della Garofalo con un speciale dedicato alle donne che hanno osato sfidare le organizzazioni criminali.
Le organizzazioni mafiose si fondano su regole ben precise: rispetto e onore. Incastrare i propri familiari e consegnarli nelle mani della giustizia è un atto di tradimento, che si paga con la vita. Alcune donne hanno avuto il coraggio di farlo. Lea Garofalo ha rivelato i dettagli dei crimini di suo marito. Dopo aver deciso di collaborare con la giustizia, Maria Concetta Cacciola è stata costretta a bere una bottiglietta di acido. La morte della Garofalo e della Cacciola non è stata però vana: le loro denunce sono servite ad arrecare un duro colpo alla criminalità organizzata.
Lea Garofalo – un delitto pieno di misteri
Testimone di giustizia sottoposta a protezione dal 2002, decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. L’azione di repressione del clan Garofalo si concretizza il 7 maggio 1996, quando i carabinieri di Milano svolgono un blitz in via Montello 6 e arrestano anche Floriano Garofalo, fratello di Lea, boss di Petilia Policastro dedito al controllo dell’attività malavitosa nel centro lombardo. Floriano Garofalo, nove anni dopo l’arresto e dopo l’assoluzione al processo, viene assassinato in un agguato nella frazione Pagliarelle di Petilia Policastro il 7 giugno 2005. In particolare, Lea, interrogata dal Pubblico ministero Antimafia Salvatore Dolce, riferì dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo.
Inoltre, Lea dichiara al Pubblico ministero «L’ha ucciso Giuseppe Cosco (detto Totonno U lupu), mio cognato, nel cortile nostro», attribuendo così la colpa dell’omicidio al cognato, Giuseppe, detto Smith (dal nome di una marca di pistole) e all’ex convivente, Carlo Cosco, e fornendo anche il movente. Ammessa già nel 2002 nel programma di protezione insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, si vede estromessa dal programma nel 2006 perché l’apporto dato non era stato significativo. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma, ma nell’aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – decide all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di riallacciare i rapporti con Petilia Policastro rimanendo però a vivere a Campobasso per permettere alla figlia di terminare l’anno scolastico. la nuova abitazione la trova insieme all’ex compagno Carlo Cosco.