Tutto può succedere: recensione della prima stagione
È giunta al termine la prima stagione della fiction RAI, prodotta insieme a Cattleya, Tutto può succedere.
Già prima del termine della prima serie di Tutto può succedere è stata annunciata la produzione della seconda, prevista per il 2017.
Il prodotto ha presentato al grande pubblico una serie di aspetti in qualche modo già affrontati e consolidati nella tv italiana – c’è da apprezzare molto il lavoro della Rai nelle produzioni seriali degli ultimi anni – ma rinnovati e rimescolati in una lettura tutto sommato piacevole e originale.
Gli ingredienti che l’hanno resa vicina alla realtà, con ascolti inizialmente deboli e poi rimasti stabili intorno ai quattro milioni di spettatori, sono quelli appartenenti alla vita quotidiana: famiglia, amore, lavoro, scuola, amicizia. Ogni elemento è stato affrontato con i punti di vista dei diversi personaggi, per coprire un arco di età che va dai 4 ai 70 anni.
Tutto può succedere infatti ha avuto come punto focale la famiglia Ferraro, composta dai due genitori/nonni Ettore ed Emma (interpretati da Giorgio Colangeli e Licia Maglietta) e i loro figli con i rispettivi nuclei familiari, tutti diversi fra loro.
Alessandro e Cristina (Pietro Sermonti e Camilla Filippi) con i figli Federica e Max (Benedetta Porcaroli e Roberto Nocchi) hanno rappresentato la famiglia che ha tutti i presupposti per essere solida ma che presenta comunque delle criticità: lui è il classico figlio maggiore su cui si può contare, si muove tra il lavoro e la famiglia, ama Cristina, che ha una laurea in architettura ma ha deciso di fare la mamma e la moglie full-time, ed è gelosissimo di Federica: 16 anni e tutti i problemi tipici dell’adolescenza, primi amori e prime delusioni. Questa famiglia, inoltre, si interfaccia con i problemi di Max che è affetto da sindrome di Asperger.
Sara (Maya Sansa) con i figli Ambra e Denis (Matilda de Angelis e Tobia de Angelis) è una donna separata, si trasferisce a casa dei genitori per problemi economici, la sua story-line all’interno di questa prima stagione è stata piuttosto turbolenta: prima ha un flirt con il professore di sua figlia Ambra, poi con il suo capo nell’azienda dove lavora anche suo fratello Alessandro, poi viene licenziata e nel finale di stagione tenta, invano, di riavvicinare i propri figli al padre e suo ex- marito, un personaggio che abbiamo visto poco e che presenta la tipica irresponsabilità di chi lavora in mare: marito irresponsabile e padre assente.
Giulia e Luca (Ana Caterina Morariu e Fabio Ghidoni) con la piccola Matilda (Giulia de Felici) rappresentano invece la famiglia in cui è lei ad indossare i pantaloni: è un avvocato ambizioso e di successo, mentre il marito, sicuramente talentuoso, è privo di ambizione e quindi si trova ad occuparsi molto di più della loro bambina. Nel corso delle puntate Luca sembra maturare un desiderio di rivalsa, tenta varie strade, ha vissuto momenti di riflessione che hanno messo in crisi il rapporto con Giulia, quest’ultima accecata dal desiderio di rimanere incinta. Al termine di questa prima serie li lasciamo esattamente come li abbiamo trovati all’inizio, anzi con qualche negatività in più rispetto all’inizio.
Carlo (Alessandro Tiberi) è il più piccolo dei fratelli Ferraro, il personaggio che vive l’evoluzione più interessante: viveva su un barcone sul fiume Tevere sopra il suo locale, il Major Tom poi per puro caso rincontra Feven (Esther Elisha) una violinista eritrea con cui ha avuto un flirt anni prima e scopre di avere un figlio, Robel (Sean Ghedion Nolasco). Carlo è un personaggio che non subisce gli avvenimenti, li affronta, si innamora di Feven e, seppur con difficoltà, vive la sua condizione di padre con gioia, imparando a gestire imprevisti e dando dimostrazione di maturità a chi non avrebbe scommesso su di lui.
Ettore e Emma, trait d’union ma non solo tra i loro figli, vivono le loro difficoltà: sono sempre stati molto diversi, si sono traditi e si sono riappacificati con maturità e consapevolezza. Sul finale di stagione li abbiamo visti uniti non solo per i loro figli e nipoti, ma anche per se stessi.
Il Parenthood (serie della NBC su cui si basa la fiction RAI, a sua volta tratta dall’omonimo film di Ron Howard) all’amatriciana, come è stato definito, ha, nonostante le basi prese da un contesto americano, le caratteristiche italiane. Lo sfondo è Roma, anche se le case dei protagonisti sembrano essere collocate in una Fiumicino ricca di verde e soleggiata.
Sia il regista Lucio Pellegrini che l’attore Pietro Sermonti hanno sottolineato in varie interviste la difficoltà di italianizzare una serie americana: unire il dramma alla commedia, creando un genere adatto a sentimenti e emozioni altalenanti è una sfida i cui presupposti devono risiedere in un cast preparato e variegato. Ciò è avvenuto in Tutto può succedere: il cast, con particolare attenzione ai personaggi più giovani, si è dimostrato convincente.
Ciò che meriterebbe di trovare una chiave risolutiva all’interno delle vicende è l’aspetto di maturità femminile e materna: purtroppo tutte le giovani mamme della fiction non rappresentano donne sicure di se e realizzate, una controtendenza rispetto a quella che pare essere la condizione femminile attuale. La risoluzione e l’evoluzione di quasi tutti i personaggi non avviene e, non perché sia necessario un happy-ending sempre e comunque, ma gli snodi delle vicende devono puntare lontano, guardare oltre la semplice funzione specchio con i telespettatori.
Il valore aggiunto è conferito anche dalla colonna sonora: la sigla iniziale è il brano musicale Tutto può succedere scritto da Giuliano Sangiorgi e dal compositore Paolo Buonvino ed è eseguita dai Negramaro, è inoltre presente un altro brano originale, intitolato Pinzipo, eseguito da Raphael Gualazzi.
La direzione per innovarsi c’è, è stata delineata, ma per vederla percorsa dobbiamo attendere ancora un po’. Si spera che avvenga per questa fiction, ma non solo.